13 maggio 2008

AMORE E VERITÀ

Salvatore Mazza - Avvenire - 11/5/2008

Sono passati 40 anni da quando Paolo VI decise la promulgazione dell’enciclica, ma «quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi, proprio alla luce delle scoperte scientifiche»
«Mai la sessualità diventi una droga»

Benedetto XVI: l’amore sia sempre segno di rispetto


Sono passati quarant’anni, ma «quan­to era vero ieri, rimane vero anche og­gi ». Anzi, la «verità» espressa dalla «sofferta» Enciclica Humanae vitae di Pao­lo VI non solo «non muta», ma «proprio al­la luce delle nuove scoperte scientifiche, il suo insegnamento si fa più attuale e pro­voca a riflettere sul valore intrinseco che possiede». Appare infatti ancora più evi­dente oggi come è la dignità stessa della persona a essere messa in gioco quando «l’esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispet­tare i tempi della persona amata».
Benedetto XVI, ricevendo ieri i partecipanti al congresso internazionale promosso dal­la Pontificia Università Lateranense nel­l’anniversario dell’Enciclica montiniana, ha dunque ribadito con forza i principi pro­clamati dall’Humanae vitae. Un testo, ha detto, divenuto «ben presto segno di con­traddizione », e che ancora oggi «non solo manifesta immutata la sua verità, ma rive­la anche la lungimiranza con la quale il pro­blema venne affrontato». Documento, ha aggiunto, nel quale «l’amore coniugale vie­ne descritto all’interno di un processo glo­bale che non si arresta alla divisione tra a­nima e corpo né soggiace al solo senti­mento, spesso fugace e precario, ma si fa carico dell’unità della persona e della totale condivisione degli sposi che nell’acco­glienza reciproca offrono se stessi in una promessa di amore fedele ed esclusivo che scaturisce da una genuina scelta di libertà». E come, allora, «potrebbe un simile amore rimanere chiuso al dono della vita?».
In un tempo nel quale la cultura è «sotto­posta alla prevalenza dell’avere sull’essere», la Chiesa «non può esonerarsi» dal «riflet­tere in maniera sempre nuova e approfon­dita sui principi fondamentali che riguar­dano il matrimonio e la procreazione». E «la legge naturale, che è alla base del ricono­scimento della vera uguaglianza tra le per­sone e i popoli, merita di essere ricono­sciuta come la fonte a cui ispirare anche il rapporto tra gli sposi nella loro responsa­bilità nel generare nuovi figli». Infatti «la trasmissione della vita è iscritta nella natura e le sue leggi permangono come norma non scritta a cui tutti devono richiamarsi.
Ogni tentativo di distogliere lo sguardo da questo principio rimane esso stesso steri­le e non produce futuro».
Per questo dunque «nessuna tecnica mec­canica può sostituire l’atto d’amore che due sposi si scambiano come segno di un mistero più grande che li vede protagoni­sti e compartecipi della creazione», e allora «co­me credenti non po­tremmo mai permette­re che il dominio della tecnica abbia ad inficia­re la qualità dell’amore e la sacralità della vita».
Nel finale del suo di­scorso Benedetto XVI è poi tornato sulla que­stione della formazione dei giovani, osservando che «si assiste sem­pre più spesso, purtroppo, a vicende tristi che coinvolgono gli adolescenti, le cui rea­zioni manifestano una non corretta cono­scenza del mistero della vita e delle ri­schiose implicanze dei loro gesti. L’urgen­za formativa, a cui spesso faccio riferi­mento, vede nel tema della vita un suo con­tenuto privilegiato». Di qui l’auspicio «che soprattutto ai giovani sia riservata un’at­tenzione del tutto peculiare, perché pos­sano apprendere il vero senso dell’amore e si preparino per questo con un’adeguata educazione alla sessualità, senza lasciarsi distogliere da messaggi effimeri che impe­discono di raggiungere l’essenza della verità in gioco». Infatti «fornire false illusioni nell’am­bito dell’amore o in­gannare sulle genuine responsabilità che si è chiamati ad assumere con l’esercizio della propria sessualità non fa onore a una società che si richiama ai prin­cipi di libertà e di democrazia. La libertà – ha concluso il Papa – deve coniugarsi con la verità e la responsabilità con la forza del­la dedizione all’altro anche con il sacrificio; senza queste componenti non cresce la co­munità degli uomini, e il rischio di rin­chiudersi in un cerchio di egoismo asfis­siante rimane sempre in agguato».
«Dobbiamo riservare ai giovani grande attenzione perché possano apprendere il vero senso dell’amore, senza lasciarsi distogliere da messaggi effimeri»

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