29 maggio 2008

Purezza

dalla lettera di San Paolo apostolo agli Efesini

1 Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, 2 e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3 Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; 4 lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! 5 Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio.
6 Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. 7 Non abbiate quindi niente in comune con loro. 8 Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; 9 il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. 10 Cercate ciò che è gradito al Signore, 11 e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente, 12 poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare. 13 Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce. 14 Per questo sta scritto:
«Svègliati, o tu che dormi,
déstati dai morti
e Cristo ti illuminerà».
15 Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi; 16 profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi. 17 Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio. 18 E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito, 19 intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, 20 rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
21 Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
22 Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; 23 il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. 24 E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
25 E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, 26 per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola, 27 al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. 28 Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. 29 Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, 30 poiché siamo membra del suo corpo. 31 Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. 32 Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! 33 Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.

28 maggio 2008

L'amore del dono

Prego per voi, perché possiate conservare nei vostri cuori la gioia di amare Dio,
la gioia dell'amore e della bontà, e di condividere questa gioia con tutti quelli con i
quali vi trovate, con le persone che lavorano al vostro fianco, davanti a tutti i membri
della vostra stessa famiglia.
Quello che importa non è la quantità del dono, bensì l'intensità dell'amore con cui lo diamo.
C'è qualcosa in più di cui vi posso parlare: della mia esperienza con i Poveri più poveri.
Devo ancora trovare la prima donna Povera disposta ad abortire.
Senza dubbio darà alla luce suo figlio.
È possibile che abbandoni la sua creatura sulla strada, ma non sarà lei a eliminare suo figlio.
È un qualcosa che dobbiamo imparare dai Poveri: la grandezza del loro amore per il figlio.
Preghiamo.
Chiediamo a nostro Signore che non si allontani dal nostro fianco nel momento della tentazione.
Perché allo stesso modo in cui fu tentato Gesù, il diavolo tenterà anche noi.
Non dobbiamo aver paura, perché Dio è amore.
Se Dio ci ama, dal momento che lui è Padre amoroso, non smetterà di aiutarci.
Quando ci rendiamo conto di aver commesso un errore, andiamo da lui e diciamogli:
« Dio mio, mi spiace! Sono pentito! ».

Madre Teresa di Calcutta

Preghiera quotidiana

Rendici degni, Signore, di servire i nostri fratelli
in tutto il mondo che vivono e muoiono in povertà e fame.

Dà loro quest’oggi, attraverso le nostre mani,
il loro pane quotidiano, e, con il nostro amore comprensivo,
dà pace e gioia.

Signore, fa di me un canale della tua pace
così che dove c’è odio, io possa portare amore;
che dove c’è ingiustizia io possa portare lo spirito del perdono;
che dove c’è discordia io possa portare armonia;
che dove c’è errore, io possa portare verità;
che dove c’è dubbio io possa portare fede;
che dove c’è disperazione io possa portare speranza;
che dove ci sono ombre io possa portare luce;
che dove c’è tristezza io possa portare gioia.

Signore fa che io possa piuttosto cercare
di confortare invece di essere confortato;
di capire invece di essere capito;
di amare invece di essere amato;
perché è col dimenticare se stessi che si trova;
è col perdonare che si è perdonati;
è col morire che ci si sveglia alla vita eterna. Amen.

Madre Teresa di Calcutta

27 maggio 2008

Il Corpo del Signore

ANGELUS
Piazza San Pietro
Domenica, 25 maggio 2008

​​​​​Cari fratelli e sorelle!

In Italia e in diversi Paesi ricorre oggi la solennità del Corpus Domini, che in Vaticano e in altre nazioni è stato già celebrato giovedì scorso. E’ la festa dell’Eucaristia, dono meraviglioso di Cristo, che nell’Ultima Cena ha voluto lasciarci il memoriale della sua Pasqua, il sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, pegno di immenso amore per noi. Una settimana fa i nostri sguardi erano attratti del mistero della Santissima Trinità; quest’oggi siamo invitati a fissarli sull’Ostia santa: è lo stesso Dio! Lo stesso Amore! Questa è la bellezza della verità cristiana: il Creatore e Signore di tutte le cose si è fatto "chicco di grano" per esser seminato nella nostra terra, nei solchi della nostra storia; si è fatto pane per essere spezzato, condiviso, mangiato; si è fatto nostro cibo per darci la vita, la sua stessa vita divina. Nacque a Betlemme, che in ebraico significa "Casa del pane", e quando incominciò a predicare alle folle rivelò che il Padre l’aveva mandato nel mondo come "pane vivo disceso dal cielo", come "pane della vita".

L’Eucaristia è scuola di carità e di solidarietà. Chi si nutre del Pane di Cristo non può restare indifferente dinanzi a chi, anche ai nostri giorni, è privo del pane quotidiano. Tanti genitori riescono a malapena a procurarlo per sé e per i propri bambini. E’ un problema sempre più grave, che la comunità internazionale fa grande fatica a risolvere. La Chiesa non solo prega "dacci
oggi il nostro pane quotidiano", ma, sull’esempio del suo Signore, si impegna in tutti i modi a "moltiplicare i cinque pani e due pesci" con innumerevoli iniziative di promozione umana e di condivisione, perché nessuno manchi del necessario per vivere.

Cari fratelli e sorelle, la festa del Corpus Domini sia occasione per crescere in questa concreta attenzione ai fratelli, specialmente ai poveri. Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, dalla quale il Figlio di Dio ha preso la carne e il sangue, come ripetiamo in un celebre inno eucaristico, musicato dai più grandi compositori: "Ave verum corpus natum de Maria Virgine", e che si conclude con l’invocazione: "O Iesu dulcis, o Iesu pie, o Iesu fili Mariae!". Maria, che portando nel suo seno Gesù fu il "tabernacolo" vivente dell’Eucaristia, ci comunichi la sua stessa fede nel santo mistero del Corpo e del Sangue del suo divin Figlio, perché sia veramente il centro della nostra vita. Attorno a Lei ci ritroveremo sabato prossimo 31 maggio, alle ore 20, in Piazza San Pietro, per una speciale celebrazione a conclusione del mese mariano.

​​​​​Benedetto XVI

26 maggio 2008

Agorà dei giovani - Loreto 2007

Video del nostro pellegrinaggio a Loreto.









22 maggio 2008

Contro l'aborto

il foglio.it -
Trent'anni dopo
Dimenticare la 194 e combattere l'aborto
Perché l'aborto è primitivo, arcaico, barbarico e indegno. E la legge non c'entra

A pochi giorni dall’assassinio di un leader cattolico in un carcere del popolo, trent’anni fa un’Italia torva e malata approvò la legge 194 che autorizzava l’aborto in strutture pubbliche, a certe condizioni. Una legge che attribuisce allo stato e al suo sistema di “cura” il potere di eliminare esseri umani innocenti nel grembo delle loro madri ovviamente fa schifo come istituto di diritto e come gesto civile o etico. E’ indifendibile. Eppure la legge era inevitabile. Perseguire penalmente una donna che interrompa la gravidanza equivale a imporre il modello inaccettabile e oscurantista del parto forzoso, che viola l’integrità individuale di una persona e del suo corpo in nome, magari, dell’integrità della stirpe. Le tragedie sono poi questo, in sostanza: c’è una cosa orrenda che deve avvenire, tutti conoscono la sua mostruosità, ma è inevitabile che avvenga. Quando in rivolta contro la pratica dell’aborto clandestino, e in nome della salute e autonomia vitale delle donne in “cura” dalle mammane, fu sollevato il problema, quell’esito legislativo non poteva tardare, era l’ora dell’emersione dell’aborto in pubblico e della funzione del boia codificata per il medico. E fu una grande ondata che in modi diversi travolse l’intero occidente. Fu il decennio, gli anni Settanta della sentenza americana sull’aborto come privacy e delle legislazioni europee, in cui la vita umana cominciò in modo diffuso e chiaro, su grande scala, a essere considerata qualcosa da, appunto, “curare” con dosi massicce e volontarie di morte irrogata unilateralmente e dispoticamente: fu allora, come ha detto Joseph Ratzinger in una vecchia conferenza all’Accademia di Baviera, che “vennero dichiarati eretici amore e buonumore”.
Quella tragedia va compresa, ricordata come stiamo cercando di fare da mesi, va riconsiderata e rigiudicata, ma va anche paradossalmente “dimenticata” o rimossa. Quella legge va cancellata dal nostro orizzonte mentale. C’è, esiste, opera ogni giorno, è un tabù, è una soluzione di welfare comoda e gratuita alla quale nessuno intende rinunciare come eventualità, come scappatoia dai guai dell’esistenza, come procedura semplice ed egocentrata di benessere e di libertà di comportamento. Nessuno vuole rinunciarvi, non i maschi giovani, non i padri preoccupati, non le ragazze, non le donne e le madri, nessuno, nemmeno tanti preti e suore, nemmeno tanto personale sanitario cattolico. La gerarchia cattolica poi la sa lunga, e non ci pensa nemmeno di andare oltre la petizione di principio, la condanna virtuale, non ci pensa nemmeno a replicare l’ordalia del referendum perduto nel 1981. La gerarchia mostra, ma tremando, e lo si capisce, di aver scelto la strada di un compromesso in cui la legge si rispetta ma si applica, si interpreta, si curva a una mentalità antiabortista. E intanto qualche progressista buontempone le attribuisce addirittura la magica capacità di far diminuire gli aborti, giocando con i numeri e con la confusione tra il post hoc e il propter hoc, una generica successione e una concatenazione causale. Il problema però è che quella legge, la sua vigenza, non impedisce a nessuno di comportarsi rettamente, di essere intelligente e generoso, fantasioso e semplice. Non impedisce a nessuno di guardare in faccia la realtà di questi trent’anni, il maltrattamento generalizzato della vita umana a cui siamo approdati, la società dell’esclusione dalla città umana per ragioni biologiche, la società della selezione eugenetica, la messa fuori legge morale dei malati sfuggiti alla diagnosi di annientamento prenatale, la medicalizzazione del corpo della donna, l’estensione dell’aborto dalla pancia femminile alla neutra provetta, la confezione autorizzata di un figlio che faccia da strumento per la cura di altri bambini, la convivenza con la pianificazione familiare omicida e sessista delle tirannidi asiatiche in forte crescita economica e politica, e anche della grande e tragica democrazia indiana.
Insomma: la 194, legge fatta o comunque autorizzata e promulgata da cattolici e da comunisti contro libertari e radicali, non deve essere e non può essere l’alibi per girare intorno all’aborto, per sottilizzare pro o contro, per perdersi nei dettagli, per ideologizzare, la 194 può essere virtualmente cancellata, nel momento in cui la si rispetta e la si applica, e la si sottrae al tradimento delle sue premesse di “tutela sociale della maternità”. Ma in pari tempo si può e si deve, trent’anni dopo, mancare di rispetto all’aborto. Questo è il problema. L’aborto è un fenomeno mondiale miliardario, un tratto di disperazione capace di avvilire e oscurare il senso di un’intera epoca della storia umana. Chi l’ha detto che mettere un argine all’aborto clandestino, che autorizzare a certe condizioni (disattese ampiamente) l’esercizio di una facoltà liminare e d’emergenza, cioè interrompere volontariamente una gravidanza, vuol dire accettare l’aborto, la sua logica, la cultura eugenetica, la selezione della razza, la rinuncia alla cura e alla ricerca per la cura, chi l’ha detto che l’aborto è un diritto, quando molto chiaramente è una spaventosa tragedia collettiva e individuale?
Dare nome e sepoltura ai “rifiuti speciali ospedalieri”, cioè ai figli rigettati nelle discariche asettiche della nostra mentalità omicida. Risorse per un “piano nazionale per la vita”, come abbiamo detto noi e ha detto il premier in Parlamento. Combattere le cause materiali dell’aborto, intanto accertando perché si abortisce, individuando la vera natura del fenomeno senza l’ipocrita appello alla privacy, e di tutto questo sembrerebbe essersi convinto il Capo dello Stato dopo la lettera di risposta a Sandra, la precaria di Napoli che ha esposto il dramma molto diffuso dell’aborto per penuria e ansia e solitudine sociale. Le misure ci sono. Ormai le parole per la guerra culturale necessaria ci sono. L’aborto è primitivo, arcaico, barbarico, è indegno del nostro concetto di libertà individuale e di vita. Va combattuto e vinto, trent’anni dopo. La 194 non c’entra.

Giuliano Ferrara (Giuliano Ferrara)

19 maggio 2008

Siamo promotori di una piena comunione

dal discorso rivolto sabato 10/5/2008 dal Papa ai vescovi partecipanti a un semina­rio di studi promosso dal Pontificio Con­siglio per i laici a Rocca di Papa.

Signor cardinale, venerati fratelli nel­l’episcopato e nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle!

Sono lieto di incontrarvi in occasione del seminario di studio convocato dal Ponti­ficio Consiglio per i laici per riflettere sul­la sollecitudine pastorale verso i movi­menti ecclesiali e le nuove comunità. Rin­grazio i numerosi presuli che hanno vo­luto presenziare, provenienti da ogni par­te del mondo: il loro interesse e la loro vi­va partecipazione hanno garantito la pie­na riuscita dei lavori, giunti ormai alla gior­nata conclusiva. Rivolgo a tutti i confratelli nell’episcopato e a tutti i presenti un cor­diale saluto di comunione e di pace; in particolare saluto il signor cardinale Sta­nislaw Rylko e monsignor Josef Clemens, rispettivamente presidente e segretario del dicastero, e i loro collaboratori.

Non è la prima volta che il Consiglio per i laici organizza un seminario per i vesco­vi sui movimenti laicali. Ricordo bene quello del 1999, ideale prosecuzione pa­storale dell’incontro del mio amato pre­decessore Giovanni Paolo II con i movi­menti e le nuove comunità, tenutosi il 30 maggio dell’anno precedente. Come pre­fetto della Congregazione per la dottrina della fede fui coinvolto in prima persona nel dibattito. Ebbi modo di stabilire un dialogo diretto con i vescovi, uno scambio franco e fraterno su tante questioni im­portanti. L’odierno seminario, analoga­mente, vuol essere una prosecuzione del­l’incontro che io stesso ho avuto, il 3 giu­gno 2006, con una larga rappresentanza di fedeli appartenenti a più di 100 nuove aggregazioni laicali. In quella occasione indicai nell’esperienza dei movimenti ec­clesiali e delle nuove comunità il «segno luminoso della bellezza di Cristo, e della Chiesa, sua sposa» (cfr Messaggio ai par­tecipanti al Congresso del 22 maggio 2006). Rivolgendomi «ai cari amici dei movi­menti », li esortavo a fare di essi sempre più «scuole di comunione, compagnie in cammino in cui si impara a vivere nella ve­rità e nell’amore che Cristo ci ha rivelato e comunicato per mezzo della testimo­nianza degli apostoli, in seno alla grande famiglia dei suoi discepoli» ( ibid.).

I movimenti ecclesiali e le nuove comu­nità sono una delle novità più importan­ti suscitate dallo Spirito Santo nella Chie­sa per l’attuazione del Concilio Vaticano II. Si diffusero proprio a ridosso dell’assi­se conciliare, soprattutto negli anni im­mediatamente successivi, in un periodo carico di entusiasmanti promesse, ma se­gnato anche da difficili prove. Paolo VI e Giovanni Paolo II seppero accogliere e di­scernere, incoraggiare e promuovere l’im­prevista irruzione delle nuove realtà laicali che, in forme varie e sorprendenti, rido­navano vitalità, fede e speranza a tutta la Chiesa. Già allora, infatti, rendevano te­stimonianza della gioia, della ragionevo­lezza e della bellezza di essere cristiani, mostrandosi grati di appartenere al mi­stero di comunione che è la Chiesa. Ab­biamo assistito al risveglio di un vigoroso slancio missionario, mosso dal desiderio di comunicare a tutti la preziosa espe­rienza dell’incontro con Cristo, avvertita e vissuta come la sola risposta adeguata alla profonda sete di verità e di felicità del cuore umano.

Come non rendersi conto, al contempo, che una tale novità attende ancora di es­sere adeguatamente compresa alla luce del disegno di Dio e della missione della Chiesa negli scenari del nostro tempo? Proprio perciò si sono succeduti numerosi interventi di richiamo e di orientamento da parte dei Pontefici, che hanno avviato un dialogo e una collaborazione sempre più approfonditi a livello di tante Chiese particolari. Sono stati superati non pochi pregiudizi, resistenze e tensioni. Rimane da assolvere l’importante compito di pro­muovere una più matura comunione di tutte le componenti ecclesiali, perché tut­ti i carismi, nel rispetto della loro specifi­cità, possano pienamente e liberamente contribuire all’edificazione dell’unico Cor­po di Cristo.

Ho molto apprezzato che sia stata scelta, come traccia del seminario, l’esortazione da me rivolta a un gruppo di vescovi te­deschi in visita ad limina, che oggi senz’al­tro ripropongo a tutti voi, pastori di tante Chiese particolari: «Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore» (18 novembre 2006). Potrei quasi dire di non aver altro da aggiungere! La carità è il segno distintivo del Buon Pastore: essa rende autorevole ed efficace l’esercizio del ministero che ci è stato affidato. Andare in­contro con molto amore ai movimenti e alle nuove comunità ci spinge a conosce­re adeguatamente la loro realtà, senza im­pressioni superficiali o giudizi riduttivi. Ci aiuta anche a comprendere che i movi­menti ecclesiali e le nuove comunità non sono un problema o un rischio in più, che si assomma alle nostre già gravose in­combenze. No! Sono un dono del Signo­re, una risorsa preziosa per arricchire con i loro carismi tutta la comunità cristiana. Perciò non deve mancare una fiduciosa accoglienza che dia loro spazi e valorizzi i loro contributi nella vita delle Chiese lo­cali. Difficoltà o incomprensioni su que­stioni particolari non autorizzano alla chiusura. Il «molto amore» ispiri pruden­za e pazienza. A noi pastori è chiesto di ac­compagnare da vicino, con paterna solle­citudine, in modo cordiale e sapiente, i movimenti e le nuove comunità, perché possano generosamente mettere a servi­zio dell’utilità comune, in modo ordina­to e fecondo, i tanti doni di cui sono por­tatori e che abbiamo imparato a cono­scere e apprezzare: lo slancio missiona­rio, gli efficaci itinerari di formazione cri­stiana, la testimonianza di fedeltà e ob­bedienza alla Chiesa, la sensibilità ai bi­sogni dei poveri, la ricchezza di vocazio­ni.


L’autenticità dei nuovi carismi è garanti­ta dalla loro disponibilità a sottomettersi al discernimento dell’autorità ecclesiasti­ca. Già numerosi movimenti ecclesiali e nuove comunità sono stati riconosciuti dalla Santa Sede, e pertanto vanno senza dubbio considerati un dono di Dio per tutta la Chiesa. Altri, ancora in fase na­scente, richiedono l’esercizio di un ac­compagnamento ancor più delicato e vi­gilante da parte dei pastori delle Chiese particolari. Chi è chiamato a un servizio di discernimento e di guida non preten­da di spadroneggiare sui carismi, ma piut­tosto si guardi dal pericolo di soffocarli (c­fr 1 Ts 5,19-21), resistendo alla tentazione di uniformare ciò che lo Spirito Santo ha voluto multiforme per concorrere all’edi­ficazione e alla dilatazione dell’unico Cor­po di Cristo, che lo stesso Spirito rende saldo nell’unità. Consacrato e assistito dal­lo Spirito di Dio, in Cristo, Capo della Chie­sa, il vescovo dovrà esaminare i carismi e provarli, per riconoscere e valorizzare ciò che è buono, vero e bello, ciò che contri­buisce all’incremento della santità dei sin­goli e delle comunità. Quando saranno necessari interventi di correzione, siano anch’essi espressione di «molto amore». I movimenti e le nuove comunità si mo­strano fieri della loro libertà associativa, della fedeltà al loro carisma, ma hanno anche dimostrato di sapere bene che fe­deltà e libertà sono assicurate, e non cer­to limitate, dalla comunione ecclesiale, di cui i vescovi, uniti al Successore di Pietro, sono ministri, custodi e guide.

Cari fratelli nell’episcopato, al termine di questo incontro vi esorto a ravvivare in voi il dono che avete ricevuto con la vostra consacrazione (cfr 2 Tm 1,6). Lo Spirito di Dio ci aiuti a riconoscere e custodire le meraviglie che egli stesso suscita nella Chiesa a favore di tutti gli uomini. A Ma­ria Santissima, Regina degli Apostoli, affi­do ognuna delle vostre diocesi e vi im­parto di tutto cuore un’affettuosa bene­dizione apostolica, che estendo ai sacer­doti, ai religiosi, alle religiose, ai semina­­risti, ai catechisti e a tutti i fedeli laici, in particolare, oggi, ai membri dei movi­menti ecclesiali e delle nuove comunità presenti nelle Chiese affidate alle vostre cure.

Benedetto XVI

Il Papa e i movimenti

Il Papa: i movimenti un grande dono per tutta la comunità

DI MATTEO LIUT (Avvenire 18/5/2008)
A
ccompagnare da vicino, «con paterna solleci­tudine, in modo cordiale e sapiente, i movi­menti e le nuove comunità, perché possano generosamente mettere a servizio dell’utilità comu­ne, in modo ordinato e fecondo, i tanti doni di cui so­no portatori e che abbiamo imparato a conoscere e ap­prezzare ». Questo il rinnovato mandato che il Papa ie­ri ha voluto affidare al gruppo di vescovi partecipanti al seminario di studio promosso dal Pontificio Consi­glio per i laici nei giorni scorsi a Rocca di Papa e con­clusosi ieri con una tavola rotonda cui hanno preso par­te, tra gli altri, il cardinale Camillo Ruini e don Julián Carrón, e con l’udienza assieme a Benedetto XVI. Un appuntamento che ha visto al centro della riflessione una frase rivolta dallo stesso Ratzinger lo scorso no­vembre a un gruppo di vescovi tedeschi in visita ad li­mina: «Vi chiedo di andare incontro ai movimenti con molto amore».
I vescovi presenti a Rocca di Papa si sono confrontati su questo tema anche grazie all’intervento di alcuni fondatori di movimenti laicali, come ha ricordato ieri davanti al Papa il cardinale Stanislaw Rylko, presiden­te del Pontificio Consiglio dei laici. «La ringraziamo per il suo altissimo magistero sui movimenti ecclesia­li e le nuove comunità – ha detto il porporato citando alcuni passaggi di discorsi e scritti dello Pontefice su questo tema – e per la costante esortazione ai pastori della Chiesa a essere attenti e docili alla voce, dello Spi­rito
». Nei loro discorsi il Pontefice e il cardi­nale Rylko, hanno in­dicato nel Seminario di Rocca di Papa un’i­deale prosecuzione del grande incontro del 3 giugno 2006 quando Benedetto XVI radunò migliaia di appartenenti a più di cento nuove ag­gregazioni laicali. Un evento che si collo­cava sulla scia del precedente grande incontro con Giovanni Paolo II nel 1990. «È stata una vera epifania della Chiesa in tutta l’affascinante e do­viziosa varietà dei suoi carismi», ha detto Rylko rife­rendosi all’incontro del 2006. «Andare incontro con molto amore ai movimenti e al­le nuove comunità – ha sottolineato ieri il Papa – ci aiuta a comprendere che essi sono un dono del Si­gnore, una risorsa preziosa per arricchire con i loro ca­rismi tutta la comunità cristiana». Queste aggregazio­ni, infatti, «sono una delle novità più importanti su­scitate dallo Spirito Santo nella Chiesa per l’attuazio­ne del Concilio Vaticano II». Inoltre, ha concluso il Pa­pa, «l’autenticità dei nuovi carismi è garantita dalla lo­ro disponibilità a sottomettersi al discernimento del­l’autorità ecclesiastica. I movimenti e le nuove comu­nità hanno dimostrato di sapere bene che fedeltà e li­bertà sono assicurate, e non certo limitate, dalla co­munione ecclesiale».

16 maggio 2008

65 anni di matrimonio

Sposati 65 anni fa: c’era ancora Mussolini

Caro direttore, dopo aver letto su Avvenire la lettera gioiosa dei coniugi di Vigevano che hanno celebrato la ricorrenza del loro 50° anniversario di matrimonio, non possiamo resistere al desiderio di comunicarle che celebreremo il 15 luglio prossimo, a Dio piacendo, il nostro 65° anniversario di matrimonio, che abbiamo già festeggiato in anticipo in parrocchia (S. Famiglia). Noi abbiamo avuto quattro figli (tre femmine e un maschio) che hanno seguito due cammini diversi. Le prime due si sono sposate e hanno avuto l’una tre e l’altra sei figli, mentre gli ultimi due, già adulti, sono stati chiamati da Dio: il maschio, dopo essersi laureato ingegnere elettronico, è diventato sacerdote e la femmina si è consacrata al Signore, dopo essersi laureata in Scienze agrarie, come suora laica. Entrambi hanno ricevuto la chiamata dopo aver frequentato un corso de 'I Ricostruttori' tenuto a Torino da un padre gesuita. Essi avevano già una base, avendo studiato in collegi dei gesuiti, prima a Roma e poi a Torino, e avendo contemporaneamente frequentato, come le altre due sorelle, gli scout.
Come non ringraziare Dio per averci donato ben nove nipoti, di cui una è un angioletto, e quattro bisnipoti, e di aver chiamato al suo servizio i loro zii che li assistono spiritualmente nell’amministrazione dei sacramenti e con l’affetto particolare della zia Cocò, che sarebbe Chiara.
Scusi se mi sono dilungata troppo, ma l’ho fatto con grande piacere, perché è stato un modo per ringraziare Dio dei suoi doni e per dirgli che noi, vecchi nonni e bisnonni (92 e 85 anni) siamo sempre a sua disposizione.

Marisa ed Ernesto Pozzi, Saronno ( Va)

Il vostro traguardo e il modo in cui lo avete raggiunto meritano ampiamente la massima evidenza consentita in questa pagina. La vostra storia è la più bella e incontrovertibile smentita a quanti vogliono relegare la famiglia a triste e buia propaggine del passato. A non riconoscerle alcun valore, ma ridurre tutto a tribolazione aggravata dalla soggezione alla 'superstizione' religiosa. Così non è.
E non credo che nessuno possa nutrire dubbi sul fatto che la vostra sia stata una vita bella.
Basta ciò che
raccontate di figli e nipoti per rendere invidiabili i 65 anni da voi trascorsi insieme.
Voi ringraziate Dio, scorgendo lungo l’intera vostra vicenda la guida della sua mano, premurosa e sollecita. Non c’è neppure una parola sulle difficoltà e le tribolazioni che avete affrontato. Non sono certo mancate: basta rilevare che vi siete sposati 10 giorni esatti prima di quel famoso 25 luglio 1943 che vide la caduta del fascismo e l’inizio della guerra di liberazione. Quanta trepidazione, incertezza, timore in quei primissimi giorni di matrimonio! In ballo non c’era solo la 'certezza del posto di lavoro fisso' ma la vita stessa. Confrontando ciò che voi avete affrontato allora, come non trovare povere le motivazioni con le quali oggi tante coppie dilazionano la decisione di sposarsi? E gli anni a seguire, durante i quali sono venuti al mondo i vostri figli, erano forse meno difficili degli attuali? Non resta che prendere lezione da voi: dalla serenità, dalla fiducia e dall’amore reciproco coi quali avete affrontato anni turbolenti, nella certezza che il Signore non vi avrebbe lasciati soli. Pregando di riuscire a dirgli anche noi, in ogni giorno della nostra vita, che «siamo sempre a sua disposizione».

Avvenire - 16/5/2008

13 maggio 2008

Dio non tenta nessuno

Liturgia del giorno - Santa Messa - Prima lettura

Giac 1,12-18

Dalla lettera di san Giacomo apostolo
Beato l’uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male. Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, produce la morte.
Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi; ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c’è variazione né ombra di cambiamento. Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature.

Festa della Madonna di Fatima

Andrea's version

il Foglio - 11/5/2008 - Andrea Mercenaro

In un momento così frenetico, con bambine che governano, castelli che si aprono, giornalisti che si mettono al vento, battute che si sprecano, progetti che partono, antiche supponenze che si quietano, altre (poche) che si arroccano, in questo momento che, chissà dove ci porterà davvero, ma in cui tutti sembrano presi dal ballo di san Vito, tutti dichiarano, chiunque trova un suo spazio, a nessuno si nega un’opinione, e in cui, a parte Altan, Lerner, Serra e qualche altro profondo ragionatore, si sragiona a ruota libera, si pubblicano le dichiarazioni di tutti, si assiste a un tourbillon di nuovi protagonisti, bravi, meno bravi, o mediocri, questo si vedrà, ma intanto vanno tutti alla radio, alla televisione, vanno da Vespa, a Ballarò, a Otto e mezzo, e tutti vengono sollecitati a mostrarsi, invitati per un’opinione, o una previsione, o un lamento, e ci vanno la Carfagna e Alfano, perché hanno vinto, e quegli altri perché hanno perso, e ci vanno perfino quegli altri ancora, perché manco esistono più, bé, ci fosse un cazzo di qualcuno che si ricordasse di Follini e di Casini.

AMORE E VERITÀ

Salvatore Mazza - Avvenire - 11/5/2008

Sono passati 40 anni da quando Paolo VI decise la promulgazione dell’enciclica, ma «quanto era vero ieri, rimane vero anche oggi, proprio alla luce delle scoperte scientifiche»
«Mai la sessualità diventi una droga»

Benedetto XVI: l’amore sia sempre segno di rispetto


Sono passati quarant’anni, ma «quan­to era vero ieri, rimane vero anche og­gi ». Anzi, la «verità» espressa dalla «sofferta» Enciclica Humanae vitae di Pao­lo VI non solo «non muta», ma «proprio al­la luce delle nuove scoperte scientifiche, il suo insegnamento si fa più attuale e pro­voca a riflettere sul valore intrinseco che possiede». Appare infatti ancora più evi­dente oggi come è la dignità stessa della persona a essere messa in gioco quando «l’esercizio della sessualità si trasforma in una droga che vuole assoggettare il partner ai propri desideri e interessi, senza rispet­tare i tempi della persona amata».
Benedetto XVI, ricevendo ieri i partecipanti al congresso internazionale promosso dal­la Pontificia Università Lateranense nel­l’anniversario dell’Enciclica montiniana, ha dunque ribadito con forza i principi pro­clamati dall’Humanae vitae. Un testo, ha detto, divenuto «ben presto segno di con­traddizione », e che ancora oggi «non solo manifesta immutata la sua verità, ma rive­la anche la lungimiranza con la quale il pro­blema venne affrontato». Documento, ha aggiunto, nel quale «l’amore coniugale vie­ne descritto all’interno di un processo glo­bale che non si arresta alla divisione tra a­nima e corpo né soggiace al solo senti­mento, spesso fugace e precario, ma si fa carico dell’unità della persona e della totale condivisione degli sposi che nell’acco­glienza reciproca offrono se stessi in una promessa di amore fedele ed esclusivo che scaturisce da una genuina scelta di libertà». E come, allora, «potrebbe un simile amore rimanere chiuso al dono della vita?».
In un tempo nel quale la cultura è «sotto­posta alla prevalenza dell’avere sull’essere», la Chiesa «non può esonerarsi» dal «riflet­tere in maniera sempre nuova e approfon­dita sui principi fondamentali che riguar­dano il matrimonio e la procreazione». E «la legge naturale, che è alla base del ricono­scimento della vera uguaglianza tra le per­sone e i popoli, merita di essere ricono­sciuta come la fonte a cui ispirare anche il rapporto tra gli sposi nella loro responsa­bilità nel generare nuovi figli». Infatti «la trasmissione della vita è iscritta nella natura e le sue leggi permangono come norma non scritta a cui tutti devono richiamarsi.
Ogni tentativo di distogliere lo sguardo da questo principio rimane esso stesso steri­le e non produce futuro».
Per questo dunque «nessuna tecnica mec­canica può sostituire l’atto d’amore che due sposi si scambiano come segno di un mistero più grande che li vede protagoni­sti e compartecipi della creazione», e allora «co­me credenti non po­tremmo mai permette­re che il dominio della tecnica abbia ad inficia­re la qualità dell’amore e la sacralità della vita».
Nel finale del suo di­scorso Benedetto XVI è poi tornato sulla que­stione della formazione dei giovani, osservando che «si assiste sem­pre più spesso, purtroppo, a vicende tristi che coinvolgono gli adolescenti, le cui rea­zioni manifestano una non corretta cono­scenza del mistero della vita e delle ri­schiose implicanze dei loro gesti. L’urgen­za formativa, a cui spesso faccio riferi­mento, vede nel tema della vita un suo con­tenuto privilegiato». Di qui l’auspicio «che soprattutto ai giovani sia riservata un’at­tenzione del tutto peculiare, perché pos­sano apprendere il vero senso dell’amore e si preparino per questo con un’adeguata educazione alla sessualità, senza lasciarsi distogliere da messaggi effimeri che impe­discono di raggiungere l’essenza della verità in gioco». Infatti «fornire false illusioni nell’am­bito dell’amore o in­gannare sulle genuine responsabilità che si è chiamati ad assumere con l’esercizio della propria sessualità non fa onore a una società che si richiama ai prin­cipi di libertà e di democrazia. La libertà – ha concluso il Papa – deve coniugarsi con la verità e la responsabilità con la forza del­la dedizione all’altro anche con il sacrificio; senza queste componenti non cresce la co­munità degli uomini, e il rischio di rin­chiudersi in un cerchio di egoismo asfis­siante rimane sempre in agguato».
«Dobbiamo riservare ai giovani grande attenzione perché possano apprendere il vero senso dell’amore, senza lasciarsi distogliere da messaggi effimeri»

12 maggio 2008

Lourdes - 7 novembre 1999

Il 7 novembre 1999 nella Basilica inferiore di Lourdes si teneva una Messa solenne. Era celebrata dall'arcivescovo di Lione e con lui concelebravano l’allora arcivescovo di Parigi, cardinale Jean-Marie Lustiger, molti vescovi francesi, molti sacerdoti e tutti i superiori dei monasteri trappisti del mondo. La cerimonia era trasmessa in diretta dalla televisione francese.

I celebrante aveva sull’altare per la Consacrazione due ostie molto più grandi di quelle che usano i sacerdoti italiani, come del resto è consuetudine in Francia. All'inizio della messa, le due ostie appaiono nel filmato appoggiate l’una sull’altra formando un corpo unico, tanto che non ci si accorge neppure che sono due e non una sola. Sono poste sulla patena, una specie di vassoio, e vi aderiscono perfettamente. Nel filmato ci sono diverse inquadrature che le riprendono in quella posizione e non ci sono dubbi che le due ostie siano fisicamente appoggiate l’una sull’altra e aderiscano alla patena. Al momento dell’ “epiclesi”, cioè quando i sacerdoti stendono le mani invocando lo Spirito Santo, si verifica il fenomeno.

Si vede l’ostia superiore che si stacca dalla sottostante e si solleva. Il movimento è impressionante: l'ostia si alza come se sotto di essa fosse scattata una molla e oscilla tre, quattro volte nell' aria prima di prendere una posizione fissa, orizzontale, a circa un centimetro dalla sottostante, e rimane poi in quella posizione fino alla fine del canone.

La ripresa televisiva mette in evidenza vari momenti della cerimonia, durante i quali il celebrante si muove, si sposta, ed è così possibile vedere, attraverso le due ostie, una sollevata nell’aria e l’altra aderente alla patena, il colore dei paramenti indossati dal celebrante. Poichè il filmato con queste immagini è abbastanza lungo e ricco di primi piani, si ha la possibilità di acquisire, con ragionevole certezza, che non si tratta assolutamente di illusione ottica o di inganno di prospettiva. Esperti del settore, dopo attento esame del filmato, hanno escluso nel modo assoluto una manipolazione tecnica delle immagini.

Miracolo? Come già detto, le autorità ecclesiastiche, interpellate varie volte, hanno scelto di non fare commenti ufficiali. Però, chiunque vede quel filmato prova un’emozione indescrivibile perchè assiste con i propri occhi al verificarsi di un qualche cosa che razionalmente non ha spiegazioni.

Clicca qui per vedere: LE FOTO e I FILMATI

Lanciano - Il Verbo si è fatto Carne

dal sito http://www.miracoloeucaristico.com/


Storia del miracolo

Non abbiamo nessun elemento in mano che ci permetta di fissare il giorno, il mese o l’anno preciso in cui l’evento si sia verificato.
La voce della testimonianza storica tardiva e la testimonianza della tradizione orale unanime inquadrano il Fatto entro la cornice dell’ottavo secolo, senza ulteriori precisazioni.
Un qualche aiuto ci viene dalla storia del secolo in questione. Sappiamo per certo che in Oriente, sotto l’imperatore Leone III, detto l’Isaurico, si scatenò virulenta la lotta iconoclasta contro il culto delle immagini sacre, culto ritenuto legittimo e teologicamente ineccepibile dalla Chiesa.
Una dolorosa vicenda che viene datata all’anno 725 e che determinò un incremento del flusso migratorio dei monaci greci in Italia, tra cui la piccola comunità approdata a Lanciano.
Alla luce di questo generale quadro di riferimento, possiamo ritenere fondatamente e ragionevolmente che il Miracolo si sia verificato tra gli anni 730-750 dell’era cristiana, con buona approssimazione.
L’asciutta registrazione dell’Evento prodigioso la troviamo sedimentata e fissata su una lapide di pietra del 1636, ancora visibile e leggibile nella chiesa di san Francesco d’Assisi, nel cuore della nostra città.
L’epigrafe recita:
Circa gli anni del Signore settecento in questa chiesa allora sotto il titolo di San Leguntiano de’ monaci di san Basilio dubitò un monaco sacerdote se nell’Hostia consacrata fusse veramente il Corpo di nostro Signore e nel Vino il Sangue.
Celebrò Messa, e dette le parole della Consacrazione, vidde fatta Carne l’hostia e Sangue il Vino.
Fu mostrata ogni cosa ai circostanti et indi a tutto il popolo.
La Carne è ancora intiera et il Sangue diviso in cinque parti disuguali…….


Il Fatto prodigioso avvenne durante la celebrazione della santa messa, al momento della consacrazione, cioè quando il celebrante, invocato lo Spirito perché intervenisse sui doni eucaristici per consacrarli, pronunciò sui medesimi le parole o formule consacratorie, desunte dalle esplicite parole del Signore, così come sono riferite nei Vangeli.
Il pane e il vino, investiti dalla forza creatrice e santificatrice della Parola, si sono mutati improvvisamente, totalmente e visibilmente in Carne e Sangue.
Le specie sacramentali, alla cui permanenza è legata la presenza sacramentale del Cristo morto e risorto nel Sacramento, qui sono scomparse o annullate.
Il pane, l’Ostia grande, in uso nel rito latino, è diventato realmente e sensibilmente Carne.
Il vino versato nel calice, si è mutato in Sangue.
Una doppia conversione che invoca, come causa proporzionata, un particolare intervento di Dio, che propriamente chiamiamo miracolo.

Scienza
“La scienza rafforza la mia fede” (Wernher Braun)

In un mondo dominato dal demone della scienza e della tecnica, in cui la scienza sembra divorare lo spazio del sacro, ecco emergere il paradosso: la scienza comprova il sacro, riconoscendo con lealtà e dignità che la verità scientifica non è tutta la verità.
Il Miracolo Eucaristico di Lanciano si è cimentato con la scienza medica e l’incontro si è risolto in una solenne e pubblica testimonianza. Chiamata a dare il suo infallibile e freddo verdetto sul Sangue e sulla Carne che vanno sotto il nome di “Miracolo Eucaristico” di Lanciano, la scienza medica ha confermato, in maniera rigorosa e certa, la voce della tradizione storica e religiosa consolidandone l’attendibilità.
Le analisi di laboratorio, escludendo ogni “falso storico” o manipolazione, hanno comprovato la straordinarietà del “fenomeno”. Di conseguenza, anche scientificamente, il Miracolo Eucaristico resta “un fatto” inoppugnabile ed inspiegabile.

Nel verbale n.1 del 18 novembre 1970 si legge:…. “
Il compito di procedere alla ricognizione scientifica fu affidato al Prof. Dott. Odoardo Linoli, libero docente in anatomia e istologia patologica e in chimica e microscopia clinica, Primario degli Ospedali Riuniti di Arezzo, dando egli tutte le garanzie sul piano umano e scientifico necessarie per un compito così delicato e gravido di responsabilità…
La ricognizione, per esigenze tecniche, fu concepita in due fasi: la prima, consistente nel prelievo di alcuni campioni delle Sante Reliquie che il prof.Linoli avrebbe portato nel laboratorio di Arezzo per gli esami necessari; la seconda prevedeva la lettura della Relazione Scientifica a ricerche ultimate….

Dopo quattro mesi di indagini, di studi, di ricerche, di analisi, condotti con rigore scientifico e con pazienza certosina, il lavoro di laboratorio, almeno nella sua parte ufficiale, poteva considerarsi concluso e i risultati acquisiti.

Le strabilianti conclusioni vengono in qualche modo anticipate da due messaggi telegrafici che lo Scienziato invia ai Frati. Il primo in data 1 dicembre 1970, dice: “In principio erat Verbum et Verbum Caro Factum est” – “In principio era il Verbo e il Verbo si è fatto Carne”

Il secondo dell’11 febbraio 1971 aggiunge: “Ulteriori ricerche consentono affermare presenza di tessuto muscolare striato del cuore. Alleluia”.
La Relazione Scientifica pubblica fu tenuta nella Chiesa di San Francesco, dallo stesso Prof. Linoli, il 4 marzo 1971. Nel 1981, decennale della prima ricognizione, fu ulteriormente esaminata la Carne Miracolosa nel suo aspetto esteriore e nella sua struttura microscopica. Tutti gli originali delle Relazioni e dei Verbali inerenti le due ricognizioni, si conservano nell’Archivio del Santuario.

I risultati della ricerca effettuata su frammenti dell’antico Sangue e dell’antica Carne che la tradizione ha condotto a noi come Miracolo Eucaristico di Lanciano (sec.VIII) si possono così riassumere:
Sono state effettuate ricerche istologiche dalle quali è stato accertato che la Carne si compone di un tessuto mesodermale riconoscibile come cuore, miocardio ed endocardio.
Le varie ricerche eseguite sul Sangue, ed in particolare la cromatografia in strato sottile, hanno permesso di riconoscere trattarsi veramente di Sangue. La natura umana dell’antico Sangue e dell’antica Carne di Lanciano è stata dimostrata immunologicamente a mezzo di reazione di precipitazione zonale di Uhlenhuth. Il gruppo sanguigno ricercato sui liquidi di eluizione dell’antico Sangue e dell’antica Carne è risultato eguale nei due tessuti (gruppo AB).
Il tracciato elettroforetico delle proteine sieriche dell’antico Sangue ha presentato aspetti quasi sovrapponibili a quelli forniti da un siero fresco. Nell’antico Sangue sono risultati sensibilmente ridotti il sodio, il potassio, i cloruri, il fosforo totale inorganico e il magnesio, mentre il calcio è risultato aumentato.

Visioni politiche e sociali di Madre Teresa

da Wikipedia

Madre Teresa ha spesso condannato l'aborto e i metodi di contraccezione artificiali nei suoi incontri con esponenti politici di tutto il mondo. Nel discorso tenuto alla consegna del Premio Nobel, dichiarò: "Sento che oggigiorno il più grande distruttore di pace è l'aborto, perché è una guerra diretta, una diretta uccisione, un diretto omicidio per mano della madre stessa. [...] Perché se una madre può uccidere il suo proprio figlio, non c'è più niente che impedisce a me di uccidere te, e a te di uccidere me". Nel 1987, Madre Teresa è diventata presidente onoraria dei Movimenti per la Vita di tutto il mondo [2].

Il 3 febbraio 1994 ad un "National Prayer Breakfast" (una «Prima Colazione Nazionale di Preghiera») sponsorizzato dal Senato degli Stati Uniti e dalla Camera dei Rappresentanti, a Washington DC, Madre Teresa sfidò il pubblico con argomenti riguardanti la vita e l'aborto e disse: "Vi prego di non uccidere il vostro bambino, lo voglio io. Vi prego di darmelo, sono lieta di accettare qualsiasi figlio che dovrebbe altrimenti essere abortito e di darlo ad una coppia sposata che lo amerà e da lui sarà amato".

Immediatamente dopo la Guerra per la Liberazione del Bangladesh, fu calcolato che più di 450.000 donne nel Pakistan dell'Est, ora Bangladesh, siano state stuprate e abbiano dato alla luce a centinaia di "figli della guerra". Madre Teresa sostenne il suo rifiuto nei confronti dell'aborto negando all'aborto stesso la possibilità di essere considerato un'opzione, dicendo alle donne rimaste sole di tenere il loro bambino che ancora doveva nascere. Ha definito meglio il suo pensiero nel 1993 quando, ad una domanda riguardante l'aborto in un caso di una quattordicenne irlandese vittima di stupro, rispose: "L'aborto non è mai necessario ... in quanto è un puro e semplice omicidio".

Mentre la sua posizione segue la linea della Chiesa Cattolica, che sostiene che la sola forma accettabile di controllo delle nascite sia una pianificazione famigliare naturale, quanti la criticano ritengono che Madre Teresa si sia sempre rifiutata categoricamente di riconoscere i problemi relativi alla sovrappopolazione, soprattutto in città come Calcutta. Molti comunque si opporrebbero alla validità di questa critica, in quanto le dinamiche di crescita della popolazione non sono mai state parte del ministero di Madre Teresa; il suo scopo era, piuttosto, quello di avere cura dei poveri.

Madre Teresa ha anche condotto delle campagne contro il divorzio, che individuò, come del resto viene insegnato dalla sua fede, come un immorale abominio e che sostenne dovesse essere reso illegale. Nel 1996 organizzò, senza successo, una campagna per mantenere la legge che vietava, in Irlanda, il divorzio.

Madre Teresa credeva fermamente nel perdono, come ella stessa dimostrò: «Una volta tirai fuori una donna da una discarica di rifiuti. Scottava per la febbre alta; le restava poco da vivere e le uniche parole che riusciva a pronunciare erano "È stato mio figlio a farmi questo". La pregai: "Devi perdonare tuo figlio. In un momento di follia, in cui non era in sé, ha fatto una cosa di cui si pentirà. Sii una vera madre nei suoi confronti e perdonalo". Ho impiegato molto tempo perché ella dicesse: "Lo perdono"; lo disse poco prima di morire tra le mie braccia, ma fu capace di dirlo con sincerità, senza preoccuparsi di essere sul punto di morire».

La suorina credeva anche nell'ecumenismo: "C'è un solo Dio, ed è Dio per tutti; è per questo importante che ognuno appaia uguale dinnanzi a Lui. Ho sempre detto che dobbiamo aiutare un Indù a diventare un Indù migliore, un Musulmano a diventare un Musulmano migliore ed un Cattolico a diventare un Cattolico migliore. Crediamo che il nostro lavoro debba essere d'esempio alla gente. Attorno noi abbiamo 475 anime: di queste, solo 30 famiglie sono Cattoliche. Le altre sono Indù, Musulmane, Sikh... Sono tutti di religioni diverse, ma tutti quanti vengono alle nostre preghiere". La visione cattolica romana sull'ecumenismo è quella per cui l'unità dev'essere vista nel tentativo di portare gli uomini all'unione con Cristo e con l'unica vera Chiesa Cattolica che Egli ha fondato.