31 dicembre 2006
Dal Messaggio Urbi et Orbi
Ma ha ancora valore e significato un "Salvatore" per l’uomo del terzo millennio? È ancora necessario un "Salvatore" per l’uomo che ha raggiunto la Luna e Marte e si dispone a conquistare l’universo; per l’uomo che esplora senza limiti i segreti della natura e riesce a decifrare persino i codici meravigliosi del genoma umano? Ha bisogno di un Salvatore l’uomo che ha inventato la comunicazione interattiva, che naviga nell’oceano virtuale di internet e, grazie alle più moderne ed avanzate tecnologie massmediali, ha ormai reso la Terra, questa grande casa comune, un piccolo villaggio globale? Si presenta come sicuro ed autosufficiente artefice del proprio destino, fabbricatore entusiasta di indiscussi successi quest’uomo del secolo ventunesimo.
Sembra, ma così non è. Si muore ancora di fame e di sete, di malattia e di povertà in questo tempo di abbondanza e di consumismo sfrenato. C’è ancora chi è schiavo, sfruttato e offeso nella sua dignità; chi è vittima dell’odio razziale e religioso, ed è impedito da intolleranze e discriminazioni, da ingerenze politiche e coercizioni fisiche o morali, nella libera professione della propria fede. C’è chi vede il proprio corpo e quello dei propri cari, specialmente bambini, martoriato dall’uso delle armi, dal terrorismo e da ogni genere di violenza in un’epoca in cui tutti invocano e proclamano il progresso, la solidarietà e la pace per tutti. E che dire di chi, privo di speranza, è costretto a lasciare la propria casa e la propria patria per cercare altrove condizioni di vita degne dell’uomo? Che fare per aiutare chi è ingannato da facili profeti di felicità, chi è fragile nelle relazioni e incapace di assumere stabili responsabilità per il proprio presente e per il proprio futuro, si trova a camminare nel tunnel della solitudine e finisce spesso schiavo dell’alcool o della droga? Che pensare di chi sceglie la morte credendo di inneggiare alla vita?
[...vedi post precedente...]
"Salvator noster", Cristo è il Salvatore anche dell’uomo di oggi. Chi farà risuonare in ogni angolo della Terra, in maniera credibile, questo messaggio di speranza? Chi si adopererà perché sia riconosciuto, tutelato e promosso il bene integrale della persona umana, quale condizione della pace, rispettando ogni uomo e ogni donna nella propria dignità? Chi aiuterà a comprendere che con buona volontà, ragionevolezza e moderazione è possibile evitare che i contenziosi si inaspriscano e condurli, anzi, a soluzioni eque? Con viva apprensione penso, in questo giorno di festa, alla regione del Medio Oriente, segnata da innumerevoli e gravi crisi e conflitti, ed auspico che si apra a prospettive di pace giusta e duratura, nel rispetto degli inalienabili diritti dei popoli che la compongono. Metto nelle mani del divino Bambino di Betlemme i segnali di ripresa del dialogo tra Israeliani e Palestinesi, di cui siamo stati testimoni in questi giorni, e la speranza di ulteriori confortanti sviluppi. Confido che, dopo tante vittime, distruzioni e incertezze, sopravviva e progredisca un Libano democratico, aperto agli altri, in dialogo con le culture e le religioni. Faccio appello a quanti hanno in mano i destini dell'Iraq, perché cessi l'efferata violenza che insanguina il Paese e sia assicurata ad ogni suo abitante un'esistenza normale. Invoco Dio perché nello Sri Lanka trovi ascolto, nelle parti in lotta, l'anelito delle popolazioni per un avvenire di fraternità e di solidarietà; perché nel Darfur e dovunque in Africa si ponga fine ai conflitti fratricidi e vengano presto rimarginate le ferite aperte nella carne di quel Continente, si consolidino i processi di riconciliazione, di democrazia e di sviluppo. Conceda il divino Bambino, Principe della pace, che si estinguano quei focolai di tensione che rendono incerto il futuro di altre parti del mondo, in Europa come in America Latina.
[...]
Cari fratelli e sorelle, dovunque voi siate, vi giunga questo messaggio di gioia e di speranza: Dio si è fatto uomo in Gesù Cristo, è nato da Maria Vergine e rinasce oggi nella Chiesa. È Lui a portare a tutti l’amore del Padre celeste. È Lui il Salvatore del mondo! Non temete, apritegli il cuore, accoglietelo, perché il suo Regno di amore e di pace diventi comune eredità di tutti. Buon Natale!
27 dicembre 2006
E se Gesù non fosse venuto?
Nel suo “Messaggio Urbi et orbi” per il Natale 2006, Benedetto XVI ha voluto dare risposta proprio a questa domanda. Ha detto fra l’altro:
Come non sentire che proprio dal fondo di questa umanità gaudente e disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto? E’ Natale: oggi entra nel mondo "la luce vera, quella che illumina ogni uomo" (Gv 1,9). "Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (ibid., 1,14), proclama l’evangelista Giovanni. Oggi, proprio oggi, Cristo viene nuovamente "fra la sua gente" e a chi l’accoglie dà " il potere di diventare figlio di Dio"; offre cioè l’opportunità di vedere la gloria divina e di condividere la gioia dell’Amore, che a Betlemme si è fatto carne per noi. Oggi, anche oggi, "il nostro Salvatore è nato nel mondo", perché sa che abbiamo bisogno di Lui. Malgrado le tante forme di progresso, l’essere umano è rimasto quello di sempre: una libertà tesa tra bene e male, tra vita e morte. E’ proprio lì, nel suo intimo, in quello che la Bibbia chiama il "cuore", che egli ha sempre necessità di essere "salvato". E nell’attuale epoca post moderna ha forse ancora più bisogno di un Salvatore, perchè più complessa è diventata la società in cui vive e più insidiose si sono fatte le minacce per la sua integrità personale e morale. Chi può difenderlo se non Colui che lo ama al punto da sacrificare sulla croce il suo unigenito Figlio come Salvatore del mondo?
Di fronte a un anno nuovo che sta cominciando, proviamo a ragionare a ritroso nella storia e chiediamoci come sarebbe il mondo e la nostra vita e la storia se Gesù non fosse venuto…
E SE GESU’ NON FOSSE VENUTO ?
di Antonio Socci (24/12/2006)
E se Gesù non fosse nato? Non ci sarebbero – per esempio – né università, né ospedali. E nemmeno la musica. E’ facile provare storicamente che queste istituzioni, nate nel medioevo cristiano (come le Cattedrali e l’arte occidentale), sarebbero state del tutto inconcepibili senza la storia cristiana. Se Gesù non fosse venuto fra noi non ci sarebbe neanche lo Stato laico, perché – come ha dimostrato Joseph Ratzinger in un memorabile discorso alla Sorbona – è Lui che ha desacralizzato il potere il quale da sempre ha usato le religioni per assolutizzare se stesso. Dopo Gesù, Cesare non si può più sovrapporre a Dio, non può avere più un potere assoluto sulle persone e le cose. Inizia la storia della libertà umana.
Se Gesù non fosse nato le donne non avrebbero alcun diritto, sarebbero considerate ancora “cose” su cui gli uomini hanno potere di vita e di morte, com’era perfino nella Roma imperiale. Se Gesù non fosse nato vecchi e malati continuerebbero ad essere abbandonati. Se Gesù non fosse nato non esisterebbero i “diritti dell’uomo”. Né la democrazia (ripeto: la democrazia e la libertà sarebbero stati inconcepibili). Se Gesù non fosse venuto avremmo ancora un sistema economico fondato strutturalmente sulla schiavitù e quindi arretrato (oltreché disumano e bestiale), sempre al limite della sussistenza.
Invece Gesù è venuto e il continente che l’ha accolto, il continente cristiano per eccellenza, l’Europa, di colpo ha fatto un balzo inaudito nella storia umana, lasciando indietro tutto il resto del mondo, perfino civiltà molto più antiche, come quella cinese. Gesù è venuto e l’essere umano è fiorito: la sua intelligenza, la sua genialità, la sua umanità, la sua creatività, la sua razionalità (soprattutto!).
Chi – abbeverato alle fonti avvelenate dell’ideologia dominante - nutre qualche dubbio in proposito può trovare intere biblioteche che lo dimostrano, ma, per tagliar corto, in queste giorni di vacanze può cavarsela leggendosi un libro. L’autore non è un apologeta cattolico, ma un sociologo americano di una università yankee: Rodney Stark. Il suo libro è stato tradotto da Lindau col titolo: “La vittoria della Ragione”. Sottotitolo: “Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza”. Il suo excursus lungo i secoli è documentatissimo e chiaro. Spiega che quando gli europei per primi cominciarono a esplorare il mondo, ciò che li stupì fu “la scoperta del loro grado di superiorità tecnologica rispetto alle altre società”. Stark – per farsi capire - scende nei particolari: “Perché per secoli gli europei rimasero gli unici a possedere occhiali da vista, camini, orologi affidabili, cavalleria pesante o un sistema di notazione musicale?”. Il perché – come spiega Stark - risale a quella razionalità e a quel genio della realtà fioriti col cristianesimo. Gli esempi sembrano minimi (gli occhiali, i camini), ma si tratta di oggetti di uso quotidiano che hanno rivoluzionato la vita e la qualità della vita.
Inoltre vanno compresi all’interno delle conquiste più grandi. Stark dimostra che è dal cristianesimo, dalla conoscenza di un Dio che ha razionalmente ordinato il cosmo, che deriva la “straordinaria fede nella ragione” che connota l’Occidente cristiano. “Sin dagli albori i padri della Chiesa insegnarono che la ragione era il dono più grande che Dio aveva offerto agli uomini… Il cristianesimo fu la sola religione ad accogliere l’utilizzo della ragione e della logica come guida principale verso la verità religiosa”.
Da qui, da questa “vittoria della ragione”, da questa certezza che il mondo non è una divinità, né un capriccio inconoscibile degli dèi, ma è creato secondo un Logos razionale e può essere compreso e dominato dall’uomo, derivano la scienza, la tecnologia e – per esempio – come conseguenza ultima di tipo sociale, il “capitalismo”, cioè quel sistema di produzione regolato che ha portato a una prosperità mai conosciuta prima nella storia umana.
Naturalmente andiamo per grandi lineee. Potremmo dettagliare tutte le cose che stanno dentro queste svolte storiche: la legittimazione teologica e morale della proprietà privata e del profitto, la limitazione dell’arbitrio dello Stato, il diritto della persona a non essere schiavizzato (che ha provocato una quantità di scoperte e conquiste tecnologiche). La teoria della democrazia e dei diritti dell’uomo fiorì nei grandi monasteri che hanno civilizzato l’Europa barbarica, poi nelle università medievali e nella teologia successiva. Ed è stata recepita nelle istituzioni.
E’ tutto un sistema di pensiero e di valori che ha letteralmente dato forma al nostro vivere quotidiano e che deriva da ciò che il cristianesimo ha portato nella storia umana. Il progresso stesso è un concetto nato dai padri della Chiesa e che non è concepibile se non nella concezione cristiana della storia. Stark dettaglia fino a particolari a cui noi normalmente neanche facciamo caso. Accendere la luce, avere acqua e riscaldamento in casa, muoversi a velocità inaudita sul pianeta coprendo distanze immense, comunicare da un capo all’altro del mondo, disporre di cibo oltre ogni immaginazione, dominare lo spazio, debellare tante malattie allungando la vita umana di decenni…. Tutto questo – letteralmente – non sarebbe stato neanche immaginabile se quel giorno di duemila anni fa, a Betlemme di Giudea, non fosse nato Gesù.
Non è un caso se le conquiste dell’Occidente cristiano hanno civilizzato e umanizzato tutto il mondo. Ma l’origine sta in quella strepitosa liberazione dell’umano e delle sue immense energie e potenzialità che è iniziata quando è venuto Gesù. Per questo – e non a caso - la storia di divide: prima di Cristo e dopo di Lui. Per questo anche un laico – se minimamente colto e avvertito – celebra il Natale come l’alba della prosperità e della libertà.
Sia chiaro: non che l’occidente cristiano sia di colpo diventato immune dal male. Tutt’altro. Il rischio di ripiombare nelle tenebre della disumanità è stato sempre presente ed è continuo. Ma anche il male dell’uomo, nel corso dei secoli, ha trovato finalmente la forza inesausta di Cristo nella Chiesa che l’ha contrastato, l’ha perdonato e redento, dilagando nella storia dei popoli cristiani.
Un grande poeta, Thomas. S. Eliot, ha colto questa drammatica lotta (di ogni giorno) dei popoli cristiani per vincere nel corso dei secoli la barbarie e la bestialità con questi versi: “Attraverso la Passione e il Sacrificio, salvati a dispetto del loro essere negativo;/ Bestiali come sempre, carnali, egoisti come sempre, interessati e ottusi come sempre lo furono prima;/ Eppure sempre in lotta, sempre a riaffermare, sempre a riprendere la loro marcia sulla via illuminata dalla luce./ Spesso sostando, perdendo tempo, sviandosi, attardandosi, tornando, eppure mai seguendo un’altra via”. Infatti, nonostante la liberazione storica che ha prodotto, Gesù non è nato innanzitutto per civilizzare il mondo, ma per santificare gli uomini, per renderli, da bestiali, divini. Diceva S. Agostino: “Dio si è fatto uomo. Saresti morto per sempre se lui non fosse nato nel tempo. Mai saresti stato libero dalla carne del peccato, se lui non avesse assunto una carne simile a quella del peccato. Ti saresti trovato sempre in uno stato di miseria, se Lui non ti avesse usato misericordia. Non saresti ritornato a vivere, se Lui non avesse condiviso la tua morte. Saresti venuto meno, se Lui non fosse venuto in tuo aiuto. Ti saresti perduto, se lui non fosse arrivato”.
Se non fosse nato Gesù, saremmo tutti dei disperati. Ma Lui è venuto fra noi.
25 dicembre 2006
Oggi è nato il Salvatore!
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse loro:
«Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia».
E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:
«Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama».
Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
23 dicembre 2006
Niente funerali per Welby
Comunicato stampa del 22 dicembre 2006
«In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie perché, a differenza dai casi di suicidio nei quali si presume la mancanza delle condizioni di piena avvertenza e deliberato consenso, era nota, in quanto ripetutamente e pubblicamente affermata, la volontà del Dott. Welby di porre fine alla propria vita, ciò che contrasta con la dottrina cattolica (vedi il Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2276-2283; 2324-2325). Non vengono meno però la preghiera della Chiesa per l’eterna salvezza del defunto e la partecipazione al dolore dei congiunti.»
(comunicato riportato dall'agenzia SIR - 22 dicembre 2006)
22 dicembre 2006
Verso l'abolizione del padre
È stata la prima, ed è tuttora fra le più permissive, delle leggi sulla fecondazione assistita in Europa. Ma la Human and Fertilisation and Embriology Act è del 1990, e per il governo inglese è superata. Il ministro per la Salute Caroline Flint ha dunque presentato una proposta di riforma che sta facendo rumore soprattutto per l'apertura all'ipotesi di consentire l'ibridazione in vitro fra embrioni umani e animali. Benché solo a fini scientifici, «per facilitare la ricerca sulle cellule staminali». Approvata la riforma, dunque, in Gran Bretagna si potrebbero produrre embrioni-chimera, mezzi uomini e mezzi mucca, o cane. Non che si intenda farli nascere: servono semplicemente per farli a pezzi: insomma a nobili fini di studio.
Ma se l'apertura alle chimere è la più vistosa - e sinistra - novità, altri punti della bozza presentata meritano di essere sottolineati. Il più significativo è che non ci sarà più bisogno di una figura paterna per accedere a un trattamento di fertilità. Madri singole e unioni gay equiparate dunque a quelle eterosessuali. Due donne, due uomini o una donna sola, nel progetto inglese equivalgono a quelle coppie che osiamo definire "normali" - cioè composte da un uomo e una donna. L'unico punto su cui il progetto, a questo proposito, dice di no è la possibilità di produrre un embrione in vitro con il materiale genetico di due donne, combinazione ormai possibile nell'avanzare trionfante del progresso scientifico. Ma, per il resto, a chi domanderà a un medico di avere un figlio grazie alle provette, non si chiederà più dov'è il futuro padre. Chi ha detto che una figura paterna è necessaria? Si cresce benissimo anche senza, dice il ministro della Salute del governo Blair.
È l'ulteriore passo avanti, questa riforma inglese, di una cultura che da decenni tende all'eliminazione del padre. Già da tempo psicologi e sociologi osservano l'emarginazione dalla famiglia della figura maschile - prima attaccata dal femminismo, poi svuotata dalla carat teristica economica di "capofamiglia" dal lavoro femminile - e un crescente "maternage", o prevalenza della madre, nel rapporto con i figli. L'avvento della fecondazione assistita, riducendo l'apporto del padre a una provetta - e a volte proveniente da uno sconosciuto - aveva inflitto un nuovo colpo alla significanza del padre nell'immaginario collettivo. Il progetto inglese conclude l'operazione: nemmeno in vista dell'educazione del bambino la presenza di un padre è ritenuta utile.
Qualunque formula, tra le possibilità infinite delle "nuove" famiglie, va bene per crescere un figlio, senza bisogno alcuno di ricorrere a quella vetusta figura maschile. Il fatto che le ricerche svolte negli Usa e in Gran Bretagna affermino che la maggior parte dei comportamenti devianti giovanili vengano da ragazzi cresciuti in famiglie senza padre, dev'essere per il governo Blair un puro caso. Il padre, nell'analisi che della famiglia fece Freud, simboleggiava l'autorità, quello che stabiliva un limite fra ciò che era giusto, e sbagliato. Ma, in quella cultura iniziata nel 1968 a Parigi al grido "vietato vietare", e poi fiorita in un attacco radicale alla famiglia e alla procreazione, era chiaro che per il padre - quello che stabilisce il limite - si preparavano tempi duri.
Già lo avevano ridotto a una provetta. Ora non se ne richiede più nemmeno la presenza in casa. Espulso, come un vecchio mobile inutile. Quel divieto di far figli con materiale genetico solo femminile, dice che la tentazione c'è già. E dimostra come la fecondazione artificiale veramente abbia aperto la porta a una impressionante mutazione antropologica.
21 dicembre 2006
Sulla castità prematrimoniale
Cari amici,
il discorso della castità prematrimoniale è incomprensibile per l'uomo che vive nella mentalità del mondo, così come è impossibile vivere qualsiasi altro comandamento di Dio senza l'azione della grazia.
Forse dobbiamo chiarire a noi stessi un fatto molto semplice: non è il rispetto della legge a produrre la grazia, ma il contrario, cioè è la grazia che genera in noi il rispetto della legge.
Senza la preghiera è impossibile comprendere l'importanza della castità e della purezza, perchè esse la conseguenza di una vita spirituale attiva, non il punto di partenza di una vita spirituale.
Noi possiamo fare una cosa per due motivi: o per costrizione o per amore.
Quando la facciamo per costrizione diventa difficilissimo, pesante, impossibile umanamente. Quando invece la facciamo per amore allora diventa semplicissimo, facile, anzi noi stessi siamo intraprendenti e cerchiamo di farla in modo migliore.
Quando una persona non prega, non vive di grazia, ma vede la religione come un ostacolo alla propria libertà, essa non è capace di vivere secondo lo spirito, "non ha la grazia", cioè non è in grado di recepire i veri valori spirituali perchè è attaccata alla mentalità del mondo, ama di più la vita del mondo, ritenendo la legge di Dio come una schiavitù da "medioevo", incapace di dare felicità.
Quando, invece, una persona si sente toccata e amata da Dio perchè si trova in un momento particolare della sua vita, allora inizia a capire qualcosa dell'importanza di rispondere a questo Amore di Dio, ed allora cambia vita, si "converte", rinasce dallo Spirito, "ha la grazia" di osservare i comandamenti dell'amore.
[...]Penso che la testimonianza migliore da dare al mondo, sia in questo caso che in generale, sia non tanto fare belle catechesi sulla castità o su qualsiasi altro argomento come il digiuno, la preghiera, ecc..., ma vivere gioiosamente e apertamente la propria vita spirituale cercando in primo luogo di fare esperienza dell'amore di Dio quale origine della nostra vita cristiana.
Se impostiamo la vita nell'amore di Dio, allora la conseguenza sarà che non ci accorgeremo nemmeno di rispettare i comandamenti, perchè nella fede in Gesù e nella grazia che vivremo, agiremo mossi non più dalla costrizione ma dall'amore verso Dio, trovando nella legge del Signore diletto e delizia.
Vivere così è più efficace di tante omelie.
[...]Un conto è dire: "per me avere rapporti col mio ragazzo o con la mia ragazza non è sbagliato se c'è amore"; e un altro conto è dire: "io non capisco questo comandamento del Signore, vorrei attuarlo per amore verso di Lui ma non ci riesco".
Nel primo caso è la persona che decide ciò che è giusto o sbagliato in base al proprio umano sentire, indipendentemente da ciò che dice Dio (questo è il relativismo); nel secondo caso, invece, si percepisce la consapevolezza della propria debolezza, e il desiderio di osservare la legge di Dio e di fortificarsi facendo affidamento alla misericordia infinita e all'amore di Dio.
In fondo è proprio questa differenza che definisce la gravità di un peccato: il peccato è sempre lo stesso ma nel primo caso c'è l'ostinazione convinta nel commetterlo; nel secondo c'è il desiderio di liberarsene, per cui la "colpa" che ne deriva è molto attenuata.
La misericordia di Dio agisce quando il cuore dell'uomo è disposto a riceverla mettendo in discussione la propria vita cercando di rispecchiarsi nei comandamenti dell'amore; ma quando il cuore non è disposto a riceverla perseverando nella via sbagliata, allora non è Dio che non mi vuole aiutare ma sono io che non Gli permetto di farlo.
I comandamenti sono come delle indicazioni stradali in una città che non conosciamo: a volte, durante un viaggio in auto, nei pressi di un bivio sconosciuto, istintivamente siamo portati a prendere una certa direzione per raggiungere la nostra meta, poi, guardando meglio le indicazioni, ci accorgiamo che se avessimo seguito il nostro istinto saremmo finiti da qualche altra parte.
I fari che illuminano i nostri passi perchè "non inciampi nella pietra il nostro piede", sono proprio i comandamenti: occorre seguirli e fidarsi di Dio, certamente cercando di comprenderli e di usare la ragione, ma facendo attenzione che la nostra stessa razionalità non prenda il posto della fede.
[...]Una cosa importantissima da tenere sempre in considerazione quando parliamo di peccati e di condotta cristiana è la seguente: abbiamo tutti il cuore ferito dagli episodi della nostra vita ed abbiamo tutti un immenso bisogno di guarigione.
La causa delle ferite del cuore è dovuta sempre ad una mancanza d'amore ricevuta, che non significa necessariamente un torto o un'offesa ricevuta, ma un episodio particolarmente traumatico che abbiamo vissuto direttamente o indirettamente, coscientemente o incoscientemente.
[...]Ecco che arrivo al problema dell'etica sessuale: fare l'amore ed avere un'attività sessuale disordinata è una manifestazione di questa ricerca affannosa di amore, di sentirsi amati, apprezzati, voluti, in risposta a quell'avvenimento in cui non si sono sentiti amati e che ha condizionato enormemente la loro vita.
Vista da questa prospettiva la situazione interiore di questa "globalizzazione sessuale", cerchiamo di trarre le nostre conclusioni.
Se il peccato è un rifiuto dell'amore di Dio, volontario e consapevole, però la gravità del peccato è molto attenuata dalle critiche condizioni interiori in cui si trova il "peccatore".
Premesso che è peccato avere rapporti prematrimoniali, non si può definire in pieno "colpevole" chi vive una situazione esistenziale drammatica e ferita e che cerca, sbagliando, di trovare nel sesso, o nella droga, o in un altra dipendenza una soluzione al suo bisogno di sentirsi amato.
Occorre sempre guardare al cuore di una persona e non fare di tutta l'erba un fascio, certamente non giustificando gli errori, ma cercando di capire il perchè li commette e aiutandola a ritrovare la sua pace nell'esperienza con il Signore e il Suo Amore, che è capace di guarire ogni trauma ed ogni ferita.
Solo quando la persona trova in Dio la guarigione dalla sua ferita di mancanza d'amore, allora sarà in grado di comprendere l'importanza di una vita moralmente retta, casta, perchè capirà anche il valore del proprio corpo e della propria vita.
L'argomento della castità è molto importante e va affrontato cercando insieme di capire qual è l'atteggiamento cristiano da vivere indipendentemente da ciò che sentiamo dentro il cuore, conformando i nostri pensieri ai pensieri di Gesù Cristo e ai criteri morali eterni ed immutabili, che sono indicati e difesi con precisione dal Magistero della Chiesa Cattolica.
La castità prematrimoniale è una grazia che si comprende pienamente solo nella fede e nell'amore di Dio, senza il quale sarebbe impossibile anche solo concepire la castità e il valore della verginità.
E' proprio l'esperienza della grazia e della potenza di Dio che ci induce a considerare la Parola e la legge di Dio come "lampada ai nostri passi", affinché "non inciampi nella pietra il nostro piede", perché la nostra vita sia come un "albero piantato lungo corsi d'acqua che darà frutto a suo tempo".
Senza l'esperienza di Dio è impossibile osservare i comandamenti in quanto è lo Spirito Santo in noi che ci permette di osservarli, infatti nel libro di Ezechiele il Signore toglie ogni dubbio in proposito:
Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.(Ez 11,19-20)
A mio avviso tutte le motivazioni più sagge e spirituali che si possono dare sulla castità prematrimoniale non sono sufficienti se manca proprio l'apertura del cuore e se in quel momento non si è "toccati" dal Signore, tuttavia è la nostra testimonianza di vita che fa riflettere e che induce a considerare la castità e la purezza come un valore irrinunciabile per la crescita umanamente e moralmente sana di un individuo e di una famiglia.
Per un cristiano, vivere la fede dovrebbe significare non solo credere in Gesù Cristo e poi avere del mondo e della vita personale un proprio pensiero da seguire, ma significa credere che il programma che Gesù ha per la mia vita possa realmente rendermi felice, programma che si può realizzare solo se presuppone una rinuncia al mio personale programma e un affidamento totale di sè stessi alla Volontà di Dio. Affidarsi a Dio significa smettere di progettare la propria vita a proprio piacimento eliminando la componente di "provvidenza divina", come se Dio non ci fosse o non volesse la nostra felicità ma volesse solo darci croci da portare.
La vita ci offre numerose occasioni nelle quali possiamo decidere di scegliere la nostra volontà e il nostro sentimento, o la Volontà di Dio, cioè decidere se lasciar vincere la carne o lo spirito. Dio vuole avere la signoria nella nostra vita non per toglierci qualche cosa, o per sfruttarci o per tiranneggiare, ma per dare, per arricchire, per liberare. Dio non è Signore per angustiare qualcuno, ma per dilatare la sua gioia nel nostro cuore.
Solo se capiamo questo è possibile obbedire ai suoi comandi, non con la rassegnazione del sottomesso, ma con la gioia di colui che collabora attivamente ad un progetto che lo vede coinvolto in prima persona, come beneficiario di un grande dono che il Signore attende con impazienza di farci, il dono del Suo Amore.
[...]Un buon metodo per sapere se una cosa è giusta o sbagliata è chiedersi cosa farebbe Gesù al nostro posto.
Se Gesù fosse fidanzato, avrebbe rapporti con la sua fidanzata?
San Paolo avvertiva la presenza di Dio dentro di sè al punto da esclamare: "non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me!"(Gal 2,20)
Dobbiamo dare a Dio la possibilità di entrare nella nostra vita affinchè Egli possa rivivere la sua vita in noi!
Se vogliamo vivere la nostra vita con le nostre chiusure, le autodifese, le nostre idee e le nostre ansie, sarà impossibile osservare anche il più piccolo comandamento perchè, a differenza di qualsiasi altra disciplina umana o spirituale, il cristianesimo non è frutto di uno sforzo umano ma è l'opera dello Spirito Santo in noi.
La castità è la conseguenza di questa interiore trasformazione da esseri umani in "divini", castità vuol dire purezza, vuol dire riflettere il segreto di Maria nella nostra vita.
Se daremo a Dio il nostro Sì, come fece Maria, consegnando nelle Sue mani ciò a cui siamo più attaccati e che costituisce un ostacolo alla nostra stessa felicità, allora Dio ci darà i mezzi per gustare la gioia e la pace che ci vuole dare: ecco la castità.
Questo discorso vale anche per chi ha eccessiva paura del futuro o si preoccupa per i figli: consegniamo a Dio i nostri figli, i suoi figli, la nostra paura e il nostro attaccamento sbagliato alle nostre certezze umane, ed assisteremo ad una vera resurrezione.
Con la castità si impara a conoscere chi è veramente la persona che abbiamo a fianco, si impara a discernere la Volontà di Dio dalla propria, a valutare con libertà se è possibile compiere la volontà e il progetto di Dio con la persona che abbiamo a fianco, a crescere e fortificarsi per le tentazioni che verranno.
La castità ci insegna ad amare veramente, vince l’egoismo, è un mezzo per conquistare la propria libertà, rafforza la nostra personalità, prepara l’uomo a vivere e soffrire per gli altri: in un certo senso lo prepara per la costruzione della famiglia...
Il tema della castità tocca non solo il tempo del fidanzamento e la vita matrimoniale, ma la vita intera di ogni singolo cristiano, proprio perchè per castità non si intende semplicemente astinenza fisica, ma un vivere nella purezza, cercando, con la preghiera e coi mezzi che la Madonna ci suggerisce, di lasciarci purificare dall'amore di Dio, e di lasciar trasparire dalle nostre azioni soltanto questo Amore, purificato, cioè reso "casto", dall'incontro con Dio nella preghiera quotidiana.
In passato si è detto che il rapporto sessuale fra due persone non sposate è la cosiddetta "prova d'amore", ma oggi si può benissimo affermare il contrario: la vera prova d'amore che una persona può fare al proprio partner è decidere di vivere in castità il proprio fidanzamento, come segno di rispetto verso il proprio corpo e il corpo dell'amato quale tempio dello Spirito Santo, manifestando così l'intenzione di vivere il rapporto di coppia nella vera conoscenza dell'altro.
E' questo impegno serio che rivela il vero amore per la persona, amore di un certo spessore, amore che potrebbe addirittura mettere in soggezione il partner che vive lontano dalla fede, ma da questo amore, se è manifestato con la Carità e vissuto con gioia, anche l'altro imparerà ad amare, a fare scelte coraggiose che rendono la vita più bella, degna di essere vissuta, custodendo nel proprio corpo quei valori irrinunciabili e fragili, preziosi e pieni di significato, come la purezza, la limpidezza degli sguardi e del cuore.
Se ci si sente soli in questo cammino è bene dialogare, parlare, confrontarsi con altri fratelli che hanno fatto scelte coraggiose nella vita, per essere sostenuti ed incoraggiati.
Gesù, quando affermava che occorreva "rinascere dall'alto" per compiere le opere dello spirito, non si scoraggiava e non cedeva di fronte alla tentazione di annacquare il Vangelo per l'incapacità umana di metterlo in pratica, anche se ciò Gli costava, a volte, l'abbandono dei suoi uditori.
Il tempo del fidanzamento è la palestra della fedeltà, la roccia sulla quale si gettano le fondamenta del proprio futuro di coppia.
Il tempo del fidanzamento è meraviglioso, perché l'innamoramento e le emozioni dell'amore riempiono il cuore, ma quando l'innamoramento e il fuoco della passione passerà, perché non è eterno, e si trasformerà in responsabilità, perdono e sacrificio vicendevole, allora si sarà in grado di rimanere fedeli l'uno per l'altra, se non si è stati abituati al sacrificio e alla rinuncia nel fidanzamento?
Si può dire che il fidanzamento è paragonato a quel corso di preparazione per la prima comunione, cioè quando la persona non può ricevere ancora l'Eucarestia, ma si prepara con la preghiera, la catechesi e con l'ascolto della Parola di Dio; ecco, nel fidanzamento i due non possono ancora "mangiarsi", cioè fare comunione dei loro corpi, ma si preparano con la castità all'incontro di grazia che si effonderà attraverso il loro amplesso nel sacramento del matrimonio.
Presepe, parla un pastorello
POLEMICHE A PARTE
DEL TANTO PARLAR DI PRESEPE QUALCOSA RESTA
Davide Rondoni
Buongiorno. Sono l'addormentato del Presepe. Sì, quello della statuina distesa, in genere con un cappelluccio, la testa posata su una cesta, o una pietra. Quello che se la dorme, mentre tutti arrivano, con facce protese, siano pecore o re. Io son quello che sembra non accorgersi di niente. Un po' simbolo della distrazione, un po' simbolo del fatto che nel Presepe c'è posto per tutti, anche per gli svaniti e i pigri.
Pure quest'anno mi preparavo a fare il mio sonnellino sotto gli occhi del mondo. Però, se permettete, quasi quasi mi alzo. E vado a dormire da un'altra parte. Perché ne ho sentite davvero di tutti i colori. E m'è quasi passato il sonno. Voglio dire: il Presepe è un posto per tutti, no? Ci sto pure io che sono il più inutile dei personaggi! Un posto semplice, tranquillo. Che a vederlo ti vengono solo dei buoni pensieri. I bambini, anche di fronte a quelli meno ingegnosi, fan due occhioni. I grandi ci danno spesso solo un'occhiata, però un'occhiata con meno ombre del solito.
Dunque, mi preparavo a far la mia bella dormita in mondovisione, e invece ho sentito gente assieparsi intorno. E che dice ogni genere di baggianata. Una gara a chi la spara più grossa. Chi vorrebbe sbaraccare il Presepe perché dà "fastidio", chi vorrebbe ficcarci ogni stupidaggine gli viene in mente… Mi ha incuriosito, ad esempio, il ragionamento di quelli che dicono: in nome del valore delle differenze eliminiamo il Presepe. Sogno o son desto mi sono chiesto, per l'appunto. Come sarebbe a dire? In nome del valore della diversità eliminiamo un segno preciso, così dopo tutto diventa uguale. In nome delle differenze, invece che spiegare il Presepe a bambini che magari non lo conoscono, questi eliminano le differenze. Ma non erano un valore ? Boh…O ci sono o ci fanno. Verrebbe voglia di girarsi dall'altra parte e lasciar perdere. Poi ho sentito gente che quasi si accapigliava per metterci o toglierci qualcuno raffigurato nelle statuine. Manco il Presepe fosse una specie di Parlamento o di Domenica in. Tra un po' vorranno fare un reality tipo "il presepe dei famosi". Ma no, lasciate qualche posto dove non conta essere dei "personaggi", dei "vips". Un posto per gente senza nome, senza fama. Che vale anche se non fa niente di eccezionale: il pastore, il falegname, la guardiana delle oche. Gente normale, quelli che in copertina non ci finiranno mai, e che han lo stesso una vita piena. Di fatiche, sì, ma anche piena di speranza, tanto è vero che vengono a vedere il Bambino promesso dal fondo dei secoli.
Poi ho sentito pure i discorsi melliflui, quelli sì che fanno addormentare. Coloro che dicono: io non ci credo a Gesù però il Presepe è una bella tradizione… Certo, certo. Ma noi del Presepe non siamo dei soprammobili. Che so, come una pendola lasciata dalla bisnonna. Discorsi del genere tolgono il sonno, e verrebbe voglia di alzarsi. Però, mi son chiesto: non sarà che parlano e straparlano del Presepe perché sono un po' stufi di parlare d'altro ? Insomma, siamo sotto Natale e forse è pure giusto che ne parlino. Tutto l'anno a parlare di soldi, di finanziarie, di goal, di poli… Parlar del Presepe è come parlar del destino: Dio che si fa uomo, che roba!
Certo, sarebbe meglio se ne parlassero con più sale in zucca, con meno astuzie, meno sciatteria. Facendo meno caciara, che qui c'è un Bimbo piccolo, e c'è pure chi vuol dormire! Insomma, che ne parlassero con un po' di cuore acceso. Che nei piccoli è una stella. E nei grandi può essere un fuoco in cerca del bene. Io lo so perché anche se sono addormentato, e spesso mi distraggo, mi viene da sorridere. Il mio cuore, infatti, arde contento che io sia lì, tra gli altri dinanzi all'Evento più grande della Storia, nel Presepe.
(L'Avvenire - 20/12/2006)
19 dicembre 2006
Musulmani e presepe
Canti cancellati, bambinelli rimossi. «Battaglia che ci danneggia»
(Magdi Allam - Corriere della Sera - 18/12/2006)
Quest’anno ho deciso di rinnovare il Natale allestendo in casa mia, io unico musulmano laico della famiglia, un presepe e un albero più belli e più grandi per condividere con i miei cari la gioia e la meditazione sul mistero della Natività. Così come ho deciso di presenziare il 26 dicembre al «Presepe vivente dei bambini», allestito al Castello di Giulia Farnese a Carbognano, un comune di 2.070 anime in provincia di Viterbo, per testimoniare la mia partecipazione ai sentimenti di fratellanza e amore tra le persone di buona volontà che il Santo Natale ispira.
Ed è proprio perché la Vergine Maria e suo figlio Gesù, venerati anche dall’islam, incarnano il miracolo della vita, che il Natale dovrebbe diventare una festa comune per onorare lo stesso Dio ed elevare il valore della sacralità della vita a fondamento della nostra umanità. Uso il condizionale avendo in mente la schiera dei laicisti nostrani che vorrebbero trasformare l’Italia in un ennesimo laboratorio del multiculturalismo, eliminando i simboli religiosi e umani che s’ispirano al cristianesimo, relativizzando e uniformando le fedi, i valori, le culture e persino la realtà manifesta della nostra diversità. Ma penso anche ai quei musulmani che sono ideologicamente avversi alla condivisione con il cristianesimo e l’ebraismo dei valori assoluti, universali e trascendentali che rappresentano l’essenza della nostra umanità, perché immaginano di essere i detentori dell’unica e indiscutibile Verità a cui tutta l’umanità dovrebbe sottomettersi.
E pensare che mentre in Italia, Gran Bretagna e Canada c’è chi, perfino a livello di autorità politiche e giuridiche, ha assunto dei provvedimenti anti-natalizi per non «urtare la suscettibilità dei musulmani», in 25 Paesi a maggioranza musulmana il Natale cristiano (25 dicembre) o il Natale ortodosso (7 gennaio) è considerato festa nazionale. «Consiglio alle insegnanti italiane che hanno deciso di non allestire i presepi e di vietare agli studenti le canzoni di Natale, di andare a vedere come in Marocco le scuole rimangano chiuse e la gente sia partecipe della festività cristiana», dice Souad Sbai, presidente della Confederazione delle Associazioni della Comunità marocchina in Italia. «Anche per noi musulmani la figura di Gesù e quella di Maria sono importantissime e più volte ricordate dal Corano stesso.
Quindi non vedo perché i bimbi musulmani non possano cantarle. I nostri bambini in Italia hanno sempre festeggiato il Natale e tutte le festività. Condanniamo questa strumentalizzazione della presenza islamica in Italia e del nostro rapporto con la società che si registra in questi giorni da parte di chi vuole mettere i nostri figli in prima linea in una battaglia laicista che non ci riguarda e ci danneggia ». Ali Younis, medico anestesista dell’ospedale di Pescara, italiano di origine libanese, ha chiesto alla maestra della scuola elementare frequentata dalla sua figliola di illustrare ai bambini la verità del rapporto tra il Natale e l’islam: «Ho spiegato loro che Gesù è un profeta molto rispettato dall’islam e che Maria è la donna più venerata.
Chi dunque non crede nella nascita miracolosa di Gesù, non è musulmano». «A casa mia abbiamo allestito il presepe e l’albero di Natale», ci dice Ali che è sposato con un’italiana cattolica, «e a mezzanotte vado in chiesa ad accompagnare mia moglie e i miei figli per festeggiare insieme la nascita di un profeta dell’islam». Perfino Dacia Valent, portavoce della Iadl (Islamic Anti-Defamation League), ha invitato per il 25 dicembre «tutte le moschee d’Italia a festeggiare la nascita del Messia e così, nel contempo, consacrare il ruolo di Maria (Mariam) come la donna più importante del Corano». «Puntuale, come ogni anno, si ripresenta la polemica stupida e sterile sul Natale », si legge in un documento della Iadl; «Gesù è il Profeta amatissimoda Dio. Consentire ai detrattori della nostra religione di continuare nella mistificazione di una nostra presunta avversione alla figura di Gesù non solo è stupido, ma è addirittura suicida».
Come non dare ragione ad Avvenire quando scrive che «il sospetto, sempre più concreto, è che il cosiddetto rispetto delle religioni sia solo un pretesto per mascherare fini bassamente ideologici»? I nemici del presepe, dei canti natalizi o comunque della festa della nascita di Gesù, abbiano il coraggio di dire che sono nemici di questa civiltà occidentale e cristiana, sappiano che di fatto sono alleati degli integralisti e degli estremisti islamici,mala smettano di tirare in ballo i musulmani impegnati a condividere un’identità italiana e una comune civiltà dell’uomo.
18 dicembre 2006
18 dicembre 2006
La famiglia, focolare della fede
Caro Direttore,
considerando i tempi attuali e la seria minaccia in atto contro la famiglia, sono rimasto impressionato nel leggere una lettera di Jacques Maritain a Paolo VI. Questo il testo: «Saranno soprattutto i laici cristiani “semplici”, con la loro vita familiare e di lavoro, con la loro amicizia, la loro cultura e spiritualità, a rendere presente il Vangelo nel mondo futuro. Se nei secoli antichi furono i monasteri a tener vivo il seme del cristianesimo e della cultura in un mondo ostile e imbarbarito, domani saranno le famiglie e le piccole comunità di laici cristiani a costruire una costellazione di focolari per mantener viva la fiamma della fede e della preghiera. Nel migliore dei casi questi focolai di luce spirituale dispersi nel mondo diverranno un giorno come il fermento che farà lievitare tutta la pasta. Nel peggiore dei casi costituiranno una diaspora più o meno perseguitata,grazie alla quale la presenza di Gesù e del Suo amore dimorerà, malgrado tutto, in un mondo apostata». Come non vedere in tutto ciò uno spirito profetico che ci mostra il grande discernimento della Chiesa in una perfetta comunione, considerando che queste sagge parole si stanno veramente incarnando nella società di oggi? Ma soprattutto cosa temere? Tutti noi facciamo parte di un disegno di salvezza che davvero ci sovrasta, che guarda molto poco alle nostre inadeguatezze, ma esige semplicemente che noi ci lasciamo guidare, come ha fatto la Vergine Maria, in un’avventura che è già stata preparata. Certamente chiamati ogni giorno a rimettere tutto nelle mani di Dio, a portare con tante tribolazioni un fardello che spesso sembra improponibile, insopportabile, ma che Cristo ha reso glorioso per la salvezza di ogni uomo. Che cosa enorme, pensare che anch’io con la mia famiglia e con tanti fratelli, faccio parte di questo progetto misterioso. Come non avere zelo, non avere amore, per un’opera così santa?
Bruno Baccani, Scandicci (Fi)
Il brano da lei riportato, caro Ba ccani – poetico e toccante, duro e pieno di speranza – è uno di quei testi ispirati davvero profeticamente, trascrizione di una visione in profondità, anticipatrice, della nostra epoca. La stupenda «semplicità» delle parole e delle immagini con cui Maritain scolpisce a tutto tondo il destino dei cristiani nella modernità può essere frutto solo di un’intelligenza illuminata dalla fede, di una misteriosa capacità di sintesi, di lettura e di interpretazione dei cosiddetti «segni dei tempi». Lo scenario di sfondo sul quale il filosofo francese, già molti anni orsono, descriveva il futuro prossimo (cioè il presente) della Chiesa collima perfettamente con quello immaginato proprio in quei giorni, con dolente tristezza, da Papa Montini: la progressiva ma sostanziale apostasia del mondo contemporaneo, l’allontanarsi dalla Chiesa e dall’uomo di una cultura che rinnega Cristo. In questo stato di cose, che «fotografa» pienamente la nostra attualità, Maritain vede rilucere, nell’oscurità, due irriducibili verità evangeliche: la chiamata dei cristiani a essere – con la loro fisica presenza – seme, sale e lievito della terra; e la vocazione della famiglia quale «Chiesa domestica», come comunità primaria in cui il Vangelo viene vissuto e annunciato. Inutile soffermarsi sulla singolare, straordinaria pertinenza e saggezza di questa descrizione maritainiana, che lei ha colto benissimo; meglio invece sottolineare l’amabile serenità espressa dalla chiusa della sua lettera, là dove ci ricorda che al cospetto della bellezza di tale chiamata nulla dobbiamo temere, perché anche il fardello che sembra più ponderoso è stato in realtà reso «glorioso» (cioè radiante, luminoso e quindi anche comprensibile) da Cristo stesso, e che perciò il peso di tale «opera santa» non ricade tutto su di noi, che siamo in mano al Buon Pastore. Il tempo liturgico della Quaresima è quanto mai propizio per rileggere la nostra vita, e ciò che accade, alla luce di questa pacificante consapevolezza.
16 dicembre 2006
La persona umana, cuore della pace
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1° GENNAIO 2007
LA PERSONA UMANA, CUORE DELLA PACE
1. All'inizio del nuovo anno, vorrei far giungere ai Governanti e ai Responsabili delle Nazioni, come anche a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, il mio augurio di pace. Lo rivolgo, in particolare, a quanti sono nel dolore e nella sofferenza, a chi vive minacciato dalla violenza e dalla forza delle armi o, calpestato nella sua dignità, attende il proprio riscatto umano e sociale. Lo rivolgo ai bambini, che con la loro innocenza arricchiscono l'umanità di bontà e di speranza e, con il loro dolore, ci stimolano a farci tutti operatori di giustizia e di pace. Proprio pensando ai bambini, specialmente a quelli il cui futuro è compromesso dallo sfruttamento e dalla cattiveria di adulti senza scrupoli, ho voluto che in occasione della Giornata Mondiale della Pace la comune attenzione si concentrasse sul tema: Persona umana, cuore della pace. Sono infatti convinto che rispettando la persona si promuove la pace, e costruendo la pace si pongono le premesse per un autentico umanesimo integrale. È così che si prepara un futuro sereno per le nuove generazioni.
La persona umana e la pace: dono e compito
2. Afferma la Sacra Scrittura: « Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » (Gn 1,27). Perché creato ad immagine di Dio, l'individuo umano ha la dignità di persona; non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno, capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone. Al tempo stesso, egli è chiamato, per grazia, ad un'alleanza con il suo Creatore, a offrirgli una risposta di fede e di amore che nessun altro può dare al posto suo(1). In questa mirabile prospettiva, si comprende il compito affidato all'essere umano di maturare se stesso nella capacità d'amore e di far progredire il mondo, rinnovandolo nella giustizia e nella pace. Con un'efficace sintesi sant'Agostino insegna: « Dio, che ci ha creati senza di noi, non ha voluto salvarci senza di noi »(2). È pertanto doveroso per tutti gli esseri umani coltivare la consapevolezza del duplice aspetto di dono e di compito.
3. Anche la pace è insieme un dono e un compito. Se è vero che la pace tra gli individui ed i popoli — la capacità di vivere gli uni accanto agli altri tessendo rapporti di giustizia e di solidarietà — rappresenta un impegno che non conosce sosta, è anche vero, lo è anzi di più, che la pace è dono di Dio. La pace è, infatti, una caratteristica dell'agire divino, che si manifesta sia nella creazione di un universo ordinato e armonioso come anche nella redenzione dell'umanità bisognosa di essere recuperata dal disordine del peccato. Creazione e redenzione offrono dunque la chiave di lettura che introduce alla comprensione del senso della nostra esistenza sulla terra. Il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, rivolgendosi all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 5 ottobre 1995, ebbe a dire che noi « non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso [...] vi è una logica morale che illumina l'esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli »(3). La trascendente “grammatica”, vale a dire l'insieme di regole dell'agire individuale e del reciproco rapportarsi delle persone secondo giustizia e solidarietà, è iscritta nelle coscienze, nelle quali si rispecchia il progetto sapiente di Dio. Come recentemente ho voluto riaffermare, « noi crediamo che all'origine c'è il Verbo eterno, la Ragione e non l'Irrazionalità »(4). La pace è quindi anche un compito che impegna ciascuno ad una risposta personale coerente col piano divino. Il criterio cui deve ispirarsi tale risposta non può che essere il rispetto della “grammatica” scritta nel cuore dell'uomo dal divino suo Creatore.
In tale prospettiva, le norme del diritto naturale non vanno considerate come direttive che si impongono dall'esterno, quasi coartando la libertà dell'uomo. Al contrario, esse vanno accolte come una chiamata a realizzare fedelmente l'universale progetto divino iscritto nella natura dell'essere umano. Guidati da tali norme, i popoli — all'interno delle rispettive culture — possono così avvicinarsi al mistero più grande, che è il mistero di Dio. Il riconoscimento e il rispetto della legge naturale pertanto costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. È questo un grande punto di incontro e, quindi, un fondamentale presupposto per un'autentica pace.
Il diritto alla vita e alla libertà religiosa
4. Il dovere del rispetto per la dignità di ogni essere umano, nella cui natura si rispecchia l'immagine del Creatore, comporta come conseguenza che della persona non si possa disporre a piacimento. Chi gode di maggiore potere politico, tecnologico, economico, non può avvalersene per violare i diritti degli altri meno fortunati. È infatti sul rispetto dei diritti di tutti che si fonda la pace. Consapevole di ciò, la Chiesa si fa paladina dei diritti fondamentali di ogni persona. In particolare, essa rivendica il rispetto della vita e della libertà religiosa di ciascuno. Il rispetto del diritto alla vita in ogni sua fase stabilisce un punto fermo di decisiva importanza: la vita è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità. Ugualmente, l'affermazione del diritto alla libertà religiosa pone l'essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all'arbitrio dell'uomo. Il diritto alla vita e alla libera espressione della propria fede in Dio non è in potere dell'uomo. La pace ha bisogno che si stabilisca un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è: saranno così evitate intromissioni inaccettabili in quel patrimonio di valori che è proprio dell'uomo in quanto tale.
5. Per quanto concerne il diritto alla vita, è doveroso denunciare lo scempio che di essa si fa nella nostra società: accanto alle vittime dei conflitti armati, del terrorismo e di svariate forme di violenza, ci sono le morti silenziose provocate dalla fame, dall'aborto, dalla sperimentazione sugli embrioni e dall'eutanasia. Come non vedere in tutto questo un attentato alla pace?
L'aborto e la sperimentazione sugli embrioni costituiscono la diretta negazione dell'atteggiamento di accoglienza verso l'altro che è indispensabile per instaurare durevoli rapporti di pace. Per quanto riguarda poi la libera espressione della propria fede, un altro preoccupante sintomo di mancanza di pace nel mondo è rappresentato dalle difficoltà che tanto i cristiani quanto i seguaci di altre religioni incontrano spesso nel professare pubblicamente e liberamente le proprie convinzioni religiose. Parlando in particolare dei cristiani, debbo rilevare con dolore che essi non soltanto sono a volte impediti; in alcuni Stati vengono addirittura perseguitati, ed anche di recente si sono dovuti registrare tragici episodi di efferata violenza. Vi sono regimi che impongono a tutti un'unica religione, mentre regimi indifferenti alimentano non una persecuzione violenta, ma un sistematico dileggio culturale nei confronti delle credenze religiose. In ogni caso, non viene rispettato un diritto umano fondamentale, con gravi ripercussioni sulla convivenza pacifica. Ciò non può che promuovere una mentalità e una cultura negative per la pace.
L'uguaglianza di natura di tutte le persone
6. All'origine di non poche tensioni che minacciano la pace sono sicuramente le tante ingiuste disuguaglianze ancora tragicamente presenti nel mondo. Tra esse particolarmente insidiose sono, da una parte, le disuguaglianze nell'accesso a beni essenziali, come il cibo, l'acqua, la casa, la salute; dall'altra, le persistenti disuguaglianze tra uomo e donna nell'esercizio dei diritti umani fondamentali.
Costituisce un elemento di primaria importanza per la costruzione della pace il riconoscimento dell'essenziale uguaglianza tra le persone umane, che scaturisce dalla loro comune trascendente dignità. L'uguaglianza a questo livello è quindi un bene di tutti inscritto in quella “grammatica” naturale, desumibile dal progetto divino della creazione; un bene che non può essere disatteso o vilipeso senza provocare pesanti ripercussioni da cui è messa a rischio la pace. Le gravissime carenze di cui soffrono molte popolazioni, specialmente del Continente africano, sono all'origine di violente rivendicazioni e costituiscono pertanto una tremenda ferita inferta alla pace.
7. Anche la non sufficiente considerazione per la condizione femminile introduce fattori di instabilità nell'assetto sociale. Penso allo sfruttamento di donne trattate come oggetti e alle tante forme di mancanza di rispetto per la loro dignità; penso anche — in contesto diverso — alle visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all'arbitrio dell'uomo, con conseguenze lesive per la sua dignità di persona e per l'esercizio delle stesse libertà fondamentali. Non ci si può illudere che la pace sia assicurata finché non siano superate anche queste forme di discriminazione, che ledono la dignità personale, inscritta dal Creatore in ogni essere umano(5).
L'« ecologia della pace »
8. Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Centesimus annus: « Non solo la terra è stata data da Dio all'uomo, che deve usarla rispettando l'intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l'uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato »(6). È rispondendo a questa consegna, a lui affidata dal Creatore, che l'uomo, insieme ai suoi simili, può dar vita a un mondo di pace. Accanto all'ecologia della natura c'è dunque un'ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un”‘ecologia sociale”. E ciò comporta che l'umanità, se ha a cuore la pace, debba tenere sempre più presenti le connessioni esistenti tra l'ecologia naturale, ossia il rispetto della natura, e l'ecologia umana. L'esperienza dimostra che ogni atteggiamento irrispettoso verso l'ambiente reca danni alla convivenza umana, e viceversa. Sempre più chiaramente emerge un nesso inscindibile tra la pace con il creato e la pace tra gli uomini. L'una e l'altra presuppongono la pace con Dio. La poesia-preghiera di San Francesco, nota anche come « Cantico di Frate Sole », costituisce un mirabile esempio — sempre attuale — di questa multiforme ecologia della pace.
9. Ci aiuta a comprendere quanto sia stretto questo nesso tra l'una ecologia e l'altra il problema ogni giorno più grave dei rifornimenti energetici. In questi anni nuove Nazioni sono entrate con slancio nella produzione industriale, incrementando i bisogni energetici. Ciò sta provocando una corsa alle risorse disponibili che non ha confronti con situazioni precedenti. Nel frattempo, in alcune regioni del pianeta si vivono ancora condizioni di grande arretratezza, in cui lo sviluppo è praticamente inceppato anche a motivo del rialzo dei prezzi dell'energia. Che ne sarà di quelle popolazioni? Quale genere di sviluppo o di non-sviluppo sarà loro imposto dalla scarsità di rifornimenti energetici? Quali ingiustizie e antagonismi provocherà la corsa alle fonti di energia? E come reagiranno gli esclusi da questa corsa? Sono domande che pongono in evidenza come il rispetto della natura sia strettamente legato alla necessità di tessere tra gli uomini e tra le Nazioni rapporti attenti alla dignità della persona e capaci di soddisfare ai suoi autentici bisogni. La distruzione dell'ambiente, un suo uso improprio o egoistico e l'accaparramento violento delle risorse della terra generano lacerazioni, conflitti e guerre, proprio perché sono frutto di un concetto disumano di sviluppo. Uno sviluppo infatti che si limitasse all'aspetto tecnico-economico, trascurando la dimensione morale-religiosa, non sarebbe uno sviluppo umano integrale e finirebbe, in quanto unilaterale, per incentivare le capacità distruttive dell'uomo.
Visioni riduttive dell'uomo
10. Urge pertanto, pur nel quadro delle attuali difficoltà e tensioni internazionali, impegnarsi per dar vita ad un'ecologia umana che favorisca la crescita dell'« albero della pace ». Per tentare una simile impresa è necessario lasciarsi guidare da una visione della persona non viziata da pregiudizi ideologici e culturali o da interessi politici ed economici, che incitino all'odio e alla violenza. È comprensibile che le visioni dell'uomo varino nelle diverse culture. Ciò che invece non si può ammettere è che vengano coltivate concezioni antropologiche che rechino in se stesse il germe della contrapposizione e della violenza. Ugualmente inaccettabili sono concezioni di Dio che stimolino all'insofferenza verso i propri simili e al ricorso alla violenza nei loro confronti. È questo un punto da ribadire con chiarezza: una guerra in nome di Dio non è mai accettabile! Quando una certa concezione di Dio è all'origine di fatti criminosi, è segno che tale concezione si è già trasformata in ideologia.
11. Oggi, però, la pace non è messa in questione solo dal conflitto tra le visioni riduttive dell'uomo, ossia tra le ideologie. Lo è anche dall'indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell'uomo. Molti contemporanei negano, infatti, l'esistenza di una specifica natura umana e rendono così possibili le più stravaganti interpretazioni dei costitutivi essenziali dell'essere umano. Anche qui è necessaria la chiarezza: una visione « debole » della persona, che lasci spazio ad ogni anche eccentrica concezione, solo apparentemente favorisce la pace. In realtà impedisce il dialogo autentico ed apre la strada all'intervento di imposizioni autoritarie, finendo così per lasciare la persona stessa indifesa e, conseguentemente, facile preda dell'oppressione e della violenza.
Diritti umani e Organizzazioni internazionali
12. Una pace vera e stabile presuppone il rispetto dei diritti dell'uomo. Se però questi diritti si fondano su una concezione debole della persona, come non ne risulteranno anch'essi indeboliti? Si rende qui evidente la profonda insufficienza di una concezione relativistica della persona, quando si tratta di giustificarne e difenderne i diritti. L'aporia in tal caso è palese: i diritti vengono proposti come assoluti, ma il fondamento che per essi si adduce è solo relativo. C'è da meravigliarsi se, di fronte alle esigenze “scomode” poste dall'uno o dall'altro diritto, possa insorgere qualcuno a contestarlo o a deciderne l'accantonamento? Solo se radicati in oggettive istanze della natura donata all'uomo dal Creatore, i diritti a lui attribuiti possono essere affermati senza timore di smentita. Va da sé, peraltro, che i diritti dell'uomo implicano a suo carico dei doveri. Bene sentenziava, al riguardo, il mahatma Gandhi: « Il Gange dei diritti discende dall'Himalaia dei doveri ». È solo facendo chiarezza su questi presupposti di fondo che i diritti umani, oggi sottoposti a continui attacchi, possono essere adeguatamente difesi. Senza tale chiarezza, si finisce per utilizzare la stessa espressione, ‘diritti umani’ appunto, sottintendendo soggetti assai diversi fra loro: per alcuni, la persona umana contraddistinta da dignità permanente e da diritti validi sempre, dovunque e per chiunque; per altri, una persona dalla dignità cangiante e dai diritti sempre negoziabili: nei contenuti, nel tempo e nello spazio.
13. Alla tutela dei diritti umani fanno costante riferimento gli Organismi internazionali e, in particolare, l'Organizzazione delle Nazioni Unite, che con la Dichiarazione Universale del 1948 si è prefissata, quale compito fondamentale, la promozione dei diritti dell'uomo. A tale Dichiarazione si guarda come ad una sorta di impegno morale assunto dall'umanità intera. Ciò ha una sua profonda verità soprattutto se i diritti descritti nella Dichiarazione sono considerati come aventi fondamento non semplicemente nella decisione dell'assemblea che li ha approvati, ma nella natura stessa dell'uomo e nella sua inalienabile dignità di persona creata da Dio. È importante, pertanto, che gli Organismi internazionali non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell'uomo. Ciò li sottrarrà al rischio, purtroppo sempre latente, di scivolare verso una loro interpretazione solo positivistica. Se ciò accadesse, gli Organismi internazionali risulterebbero carenti dell'autorevolezza necessaria per svolgere il ruolo di difensori dei diritti fondamentali della persona e dei popoli, principale giustificazione del loro stesso esistere ed operare.
Diritto internazionale umanitario e diritto interno degli Stati
14. A partire dalla consapevolezza che esistono diritti umani inalienabili connessi con la comune natura degli uomini, è stato elaborato un diritto internazionale umanitario, alla cui osservanza gli Stati sono impegnati anche in caso di guerra. Ciò purtroppo non ha trovato coerente attuazione, a prescindere dal passato, in alcune situazioni di guerra verificatesi di recente. Così, ad esempio, è avvenuto nel conflitto che mesi fa ha avuto per teatro il Libano del Sud, dove l'obbligo di proteggere e aiutare le vittime innocenti e di non coinvolgere la popolazione civile è stato in gran parte disatteso. La dolorosa vicenda del Libano e la nuova configurazione dei conflitti, soprattutto da quando la minaccia terroristica ha posto in atto inedite modalità di violenza, richiedono che la comunità internazionale ribadisca il diritto internazionale umanitario e lo applichi a tutte le odierne situazioni di conflitto armato, comprese quelle non previste dal diritto internazionale in vigore. Inoltre, la piaga del terrorismo postula un'approfondita riflessione sui limiti etici che sono inerenti all'utilizzo degli strumenti odierni di tutela della sicurezza nazionale. Sempre più spesso, in effetti, i conflitti non vengono dichiarati, soprattutto quando li scatenano gruppi terroristici decisi a raggiungere con qualunque mezzo i loro scopi. Dinanzi agli sconvolgenti scenari di questi ultimi anni, gli Stati non possono non avvertire la necessità di darsi delle regole più chiare, capaci di contrastare efficacemente la drammatica deriva a cui stiamo assistendo. La guerra rappresenta sempre un insuccesso per la comunità internazionale ed una grave perdita di umanità. Quando, nonostante tutto, ad essa si arriva, occorre almeno salvaguardare i principi essenziali di umanità e i valori fondanti di ogni civile convivenza, stabilendo norme di comportamento che ne limitino il più possibile i danni e tendano ad alleviare le sofferenze dei civili e di tutte le vittime dei conflitti(7).
15. Altro elemento che suscita grande inquietudine è la volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari. Ne è risultato ulteriormente accentuato il diffuso clima di incertezza e di paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo, alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta « guerra fredda ». Dopo di allora si sperava che il pericolo atomico fosse definitivamente scongiurato e che l'umanità potesse finalmente tirare un durevole sospiro di sollievo. Quanto appare attuale, a questo proposito, il monito del Concilio Ecumenico Vaticano II: « Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione »(8). Purtroppo ombre minacciose continuano ad addensarsi all'orizzonte dell'umanità. La via per assicurare un futuro di pace per tutti è rappresentata non solo da accordi internazionali per la non proliferazione delle armi nucleari, ma anche dall'impegno di perseguire con determinazione la loro diminuzione e il loro definitivo smantellamento. Niente si lasci di intentato per arrivare, con la trattativa, al conseguimento di tali obiettivi! È in gioco il destino dell'intera famiglia umana!
La Chiesa a tutela della trascendenza della persona umana
16. Desidero, infine, rivolgere un pressante appello al Popolo di Dio, perché ogni cristiano si senta impegnato ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. Grato al Signore per averlo chiamato ad appartenere alla sua Chiesa che, nel mondo, è « segno e tutela della trascendenza della persona umana »(9), il cristiano non si stancherà di implorare da Lui il fondamentale bene della pace che tanta rilevanza ha nella vita di ciascuno. Egli inoltre sentirà la fierezza di servire con generosa dedizione la causa della pace, andando incontro ai fratelli, specialmente a coloro che, oltre a patire povertà e privazioni, sono anche privi di tale prezioso bene. Gesù ci ha rivelato che « Dio è amore » (1 Gv 4,8) e che la vocazione più grande di ogni persona è l'amore. In Cristo noi possiamo trovare le ragioni supreme per farci fermi paladini della dignità umana e coraggiosi costruttori di pace.
17. Non venga quindi mai meno il contributo di ogni credente alla promozione di un vero umanesimo integrale, secondo gli insegnamenti delle Lettere encicliche Populorum progressio e Sollicitudo rei socialis, delle quali ci apprestiamo a celebrare proprio quest'anno il 40o e il 20o anniversario. Alla Regina della Pace, Madre di Gesù Cristo « nostra pace » (Ef 2,14), affido la mia insistente preghiera per l'intera umanità all'inizio dell'anno 2007, a cui guardiamo — pur tra pericoli e problemi — con cuore colmo di speranza. Sia Maria a mostrarci nel Figlio suo la Via della pace, ed illumini i nostri occhi, perché sappiano riconoscere il suo Volto nel volto di ogni persona umana, cuore della pace!
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2006.
BENEDICTUS PP. XVI
(1) Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 357.
(2) Sermo 169, 11, 13: PL 38, 923.
(3) N. 3.
(4) Omelia all'Islinger Feld di Regensburg (12 settembre 2006).
(5) Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo (31 maggio 2004), nn. 15-16.
(6) N. 38.
(7) A tale riguardo, il Catechismo della Chiesa Cattolica ha dettato criteri molto severi e precisi: cfr nn. 2307-2317.
(8) Cost. past. Gaudium et spes, 80.
(9) Conc. Ecum. Vat. II, ibid. n. 76.
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Discernimento culturale
Il messaggio del Papa va al cuore di questo dilemma. E lo fa articolando un percorso molto interessante, attestato dalla duplice destinazione del Messaggio, che si apre con un augurio di pace, rivolto ai governanti, a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, a chi è minacciato dalla violenza e in particolare ai bambini, e si chiude con un "pressante appello al Popolo di Dio", chiamando ogni credente "alla promozione di un vero umanesimo integrale". Un presupposto di fondo rende possibile questa doppia articolazione dell’alfabeto della pace, già enunciato con forza a Colonia: "Creazione e redenzione vanno insieme". Alla luce di questa chiave di lettura è possibile ricondurre la pace e la vita alla loro radice originaria: la dignità di persona, propria di ogni creatura umana, immagine di Dio. Siamo al cuore della "questione antropologica".
Nello strato originario della nostra comune umanità è come custodita una irriducibile cifra trascendente, che parla nello stesso tempo il linguaggio gratuito del dono e quello responsabile del compito. C’è come una "grammat ica naturale" in cui viene razionalmente codificato il dono trascendente della vita, che implica il rispetto della vita stessa e della libertà religiosa, così come l’uguaglianza di natura di tutte le persone, sorgente invisibile di quei diritti umani inalienabili, che la legislazione internazionale e nazionale è chiamata pazientemente ad onorare e trascrivere. Ogni concezione antropologica contaminata dal germe della violenza, dell’indifferenza o del cedimento relativistico non potrà mai offrire un argine credibile alle minacce contro la vita e la pace.
Non a caso, secondo il Papa, "anche la pace è insieme dono e compito", grande base per il dialogo tra credenti e non credenti, e insieme via per avvicinarsi al mistero più grande, che è il mistero di Dio. In questa prospettiva l’"ecologia della pace", che deve misurarsi con i gravi problemi dei rifornimenti energetici, delle nuove forme di violenza e dello smantellamento delle armi nucleari, chiama in causa una corrispondente "ecologia umana" e persino "sociale", attestando la necessità di stabilire "un chiaro confine tra ciò che è disponibile e ciò che non lo è". Un confine in cui possono e debbono incontrarsi l’esercizio critico della ragione umana e la coerenza esemplare della testimonianza cristiana.
La pace, il Logos e la persona
15 dicembre 2006
Sulla censura del Natale
La presenza dei musulmani sta diventando la grande scusa
E un'altra donna, una dirigente scolastica, spiegava ieri che è ora di «svecchiare» i canti: basta con "Tu scendi dalle stelle", finiamola con "Adeste fideles", «ormai sono datati» diceva. Chiamano vecchio l'antico, pensano che il passato vada gettato come un inutile residuato... e sono le insegnanti dei nostri figli. In questo delirio iconoclasta un po' isterico ci sarebbe da ridere (se non ci fosse da piangere) a pensare che nemmeno il già laicheggiante "White Christmas" si salverebbe dalla furia delle maestre, sempre a causa di quella radice colpevole di nominare lui, il festeggiato...
Ma noi, il resto delle donne d'Italia, noi figlie, mamme o nonne, noi giornaliste o casalinghe o insegnanti, noi che siamo la maggioranza che cosa vogliamo fare? Tutto meno che tacere. Spieghiamolo, a queste giovani e inesperte maestre, che integrare gli scolari islamici non significa discriminare quelli cristiani. Spieghiamolo - ché l'ignoranza è madre sempre prolifera - che la figura di Cristo è sacra anche per chi prega sul Corano e che nessun bambino musulmano ne rimarrebbe turbato (ci ha tentato persino l'imam di Bolzano a farglielo capire...). Diciamoglielo chiaro, alle nostre maestre, che multiculturalità vuol dire valorizzare il meglio di ogni tradizione, non cancellarle tutte in un omogeneo e impersonale vuoto di identità.
Non credano, infine, di suscitare con le loro assurde censure l'ammirazione o la gratitudine delle famiglie islamiche trapiantate nel nostro Paese: chi prega Dio cinque volte al giorno non può che disprezzare chi lo rinnega. Il sospetto, sempre più concreto, è che il cosiddetto rispetto delle religioni sia solo un pretesto per mascherare fini bassamente ideologici: Gesù rappresenta la forza travolgente del pensiero cristiano e ancora oggi, ogni volta che nasce, scompagina, dà scandalo, sovverte. È scomodo questo Bambino, lo è sempre stato, e accogliere la sua sfida rivoluzionaria è un impegno notevole: più facile far finta che non sia mai venuto al mondo. Liberi di crederlo, per carità, ma almeno si abbia la coerenza di non festeggiare: niente regali, care maestre, niente vacanze, un giorno come gli altri, per voi. E non vi illudete che Babbo Natale (Natale, capite? Stessa colpa etimologica del Christmas!) sia laicista e vi venga incontro: al buon vecchio barbuto dispensatore di doni fa sempre da sfondo il piccolo Messia, esattamente come le lucette dell'albero rifrangono miliardi di volte la Luce per la quale le accendiamo. Nessuna guerra tra albero e presepe, la sola guerra è contro l'ignoranza.
Combattiamola - per favore - da donne, senza integralismi.