NOI CRISTIANI ALL’ACQUA DI ROSE
Farsi buddhisti o convertirsi all'Islam oggi è di moda. Se però un cristiano vive con coerenza il proprio credo viene etichettato come bigotto. Che ne abbiamo fatto della nostra fede?
Non ho nulla, come cristiana, contro chi professa la fede musulmana, buddhista o quant’altro. Il problema si pone quando, in nome di Dio, inneggiano alla violenza. Il Santo Padre ci ha fatto capire che l’Islam teme un Occidente scristianizzato e senza valori. È tempo, per noi cristiani, di aprire gli occhi. In effetti, quando esponiamo un crocifisso o un’immagine sacra, c’è sempre "il sapiente" di turno pronto a prenderci per i fondelli, magari con "l’arguta" affermazione: «Qui non siamo in chiesa!». Salvo poi frequentare, per esempio, ristoranti cinesi e non avere nulla da ridire contro i vari Buddha posti in bellavista dappertutto.
Papa Benedetto XVI ci invita a riscoprire le radici cristiane e la nostra identità, ma noi andiamo nella direzione opposta. Frequentiamo la Messa domenicale più per abitudine e senso del dovere che per vera convinzione. Non dimentichiamoci che abbiamo votato per l’aborto, il divorzio e tante altre leggi che stanno disgregando la famiglia.
Siamo generosi con i musulmani e offriamo loro luoghi di culto, ma non siamo altrettanto capaci di difendere la nostra fede. In nome della libertà di culto non esitiamo un istante a togliere i crocifissi dalle scuole e dai luoghi pubblici. Del nostro Dio non sappiamo più che farcene, è il capro espiatorio di tutti i mali e le catastrofi che ci affliggono. Ce ne ricordiamo solo per incolparlo dello tsunami, delle guerre e di tutti gli orrori del mondo. Ma abbiamo provato a chiederci quale considerazione abbiamo di Dio? Com’è possibile che prima lo teniamo fuori dalla porta e poi lo incolpiamo di ciò che succede in casa?
Diventare buddhista oggi è di moda, tutti ti ammirano. Lo stesso se ti converti all’Islam. Ma se, come cristiano, vivi con coerenza la tua fede e vai contro corrente, gli amici ti isolano e si allontanano da te, ti dicono che sei un prete o una suora, o peggio ancora un bigotto. Io stimo e rispetto i musulmani che professano con orgoglio la loro fede, ma noi che ne abbiamo fatto della nostra?
Alessandra V.
Le minacce al Papa da parte degli estremisti musulmani
Chissà come ha sofferto il Santo Padre, e solo per aver detto cose giuste. Ora è anche minacciato dagli estremisti musulmani, e noi con lui. Tocca svegliarci, non è più il tempo di dormire, se siamo cristiani. Possiamo continuare a subire così, passivamente? Possibile che siamo diventati tanto indifferenti? E che non sentiamo il bisogno di reagire? È una vergogna: gli altri ci insultano, e noi tacciamo; ci bruciano le chiese, ci tolgono il crocifisso, e noi zitti. E a Natale non facciamo più neanche il presepe per rispetto ai musulmani...
Ma Cristo non fa più parte della nostra vita? Abbiamo bisogno di convertirci e pregare molto di più. Teniamo aperte tutto il giorno le nostre belle chiese; ritorniamo a indossare sopra i vestiti le catenine con il crocifisso o la medaglia della Madonna. Quando vediamo una donna col velo, noi diciamo: «ecco una musulmana»; anche loro, quando vedono uno di noi con al collo la catenina col crocifisso, dovrebbero dire: «ecco un cristiano».
Rimettiamo un segno religioso sulle porte delle case: è necessario mostrare la nostra fede. Cari parroci, non usate più parole dolci con noi, piuttosto diteci in faccia che siamo poco cristiani, che abbiamo una fede ammuffita! Stiamo vicino a Benedetto XVI, organizziamo pellegrinaggi a Roma, riempiamo numerosi la domenica piazza San Pietro: è un modo per far sentire che amiamo il nostro Papa: perché anche questo è un modo per manifestare la nostra fede.
Graziella
Papa Benedetto XVI nell’incontro in Vaticano con i rappresentanti
dei Paesi arabi dopo Ratisbona (foto Catholic Press).
Perché l’Italia non ha reagito alle minacce e alle aggressioni?
Ho seguito, non senza preoccupazione, l’incomprensione sorta tra il Vaticano e il mondo musulmano. La cosa che mi meraviglia, e mi fa rabbia, è che l’Italia, pur avendo un Parlamento nel quale almeno l’80 per cento si professa cattolico (o, per lo meno, cristiano), sia stata insensibile alle prepotenze e aggressioni, anche se solo verbali, da parte di quelli che pure ospitiamo "a casa nostra". E che, per la nostra inerzia, stanno dimostrando di essere i padroni... Per le vignette su Maometto loro hanno scatenato l’ira di Dio; noi invece non muoviamo un dito davanti ai fantocci del Papa bruciati nelle piazze o alla Croce spezzata da una spada islamica!
Non sarebbe ora di risvegliare le coscienze intorpidite dei nostri governanti? Facciano in modo, per esempio, che vengano salvaguardate le nostre millenarie tradizioni: presenza dei crocifissi nei luoghi pubblici, presepi nelle scuole a Natale... Si deve far capire, con determinazione, che noi accogliamo chi ci chiede ospitalità, ma se qualcosa a loro non piace o non gli va bene, nessuno li trattiene con la forza sul nostro territorio!
Un cattolico preoccupato
La religione non si impone con la violenza e con la forza
L’attacco a papa Benedetto XVI è stato la naturale conseguenza del mancato riferimento alle radici cristiane nella Costituzione dell’Europa, come avrebbe voluto Giovanni Paolo II. L’islamismo estremo punta alla conquista religiosa dell’Occidente, e trova terreno fertile in un continente in cui, per la miopia dei governanti all’atto della promulgazione della Carta costituente, tutte le religioni sono state messe sullo stesso piano. "Radici cristiane" non è un riferimento astratto o accademico, ma è concreto e totalmente calato nel modo di concepire tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana.
Quando, invece, si vuole imporre una religione con la violenza e quando, soprattutto, si nega la reciprocità negli Stati a maggioranza musulmana e si uccidono i cattolici dopo processi farsa, è allora che vengono meno i presupposti di una serena convivenza fra le religioni. E viene meno anche la possibilità di una pacifica convivenza sociale. L’aver lasciato solo il Papa è la conferma della miopia dei nostri governanti europei, cristiani o meno.
Enrico V.
Nessuna guerra è santa, le religioni sono per la pace
Ho bisogno che qualcuno mi rassicuri su quanto sta accadendo. Che tristezza, che rabbia, che dolore aver visto il nostro papa Benedetto XVI quasi obbligato a umiliarsi per chiedere scusa a degli integralisti islamici che si sono sentiti offesi dalle sue parole. Ma offesi per che cosa? Il Papa ha detto la verità: non si costruisce un mondo di pace con le guerre sante (ma da quando una guerra è santa?); non si costruisce un mondo di pace obbligando con la violenza le persone ad avere lo stesso pensiero.
Se i musulmani vogliono essere rispettati, imparino anche loro a rispettare gli altri. Il nostro Dio è amore, è pace, è conforto, è solidarietà tra i popoli. A noi cattolici non sarebbe mai venuto in mente di chiedere alla loro massima autorità religiosa di umiliarsi così tanto. Fino a che punto è lecito subire questi attacchi senza far nulla?
Elisabetta
Non mostrarsi contrari alla professione di fede degli altri è necessario, ma non basta. Occorre andare oltre la tolleranza e arrivare a una conoscenza reciproca, rendersi consapevoli della propria identità e rispettare quella dell’altro. Di ogni altro. Le tensioni e le difficoltà vanno identificate nel dialogo, nel confronto ragionevole e rispettoso da una parte come dall’altra, e soprattutto nell’impegno comune per la costruzione di una società più giusta e fraterna.
Per i cattolici, le linee maestre del giusto comportamento verso le persone e i gruppi di altre religioni, e con i musulmani in particolare, sono autorevolmente indicate dal Concilio Vaticano II che, a distanza di oltre quarant’anni, mostrano una sorprendente attualità. «La Chiesa cattolica», si legge nella Dichiarazione sul rapporto con le religioni non cristiane, «guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e misericordioso, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini».
E, guardando al passato, aggiunge: «Sebbene, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie siano sorti tra cristiani e musulmani, esorta tutti a esercitare sinceramente la mutua comprensione, a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».
In questa direzione si è mosso, con le parole e importanti iniziative, Giovanni Paolo II nel suo lungo pontificato. La strada del dialogo e del confronto continua senza esitazione con Benedetto XVI, che recentemente si è pronunciato in due interventi di grande rilievo.
Il primo si riferisce all’inconciliabilità tra fede e violenza: la religione non si trasmette mediante la violenza. Chi in passato, anche nella Chiesa cattolica, ha seguito questa strada, ha peccato ed è bisognoso del perdono di Dio. È assurdo (contrario alla ragione) legittimare la violenza in nome di Dio, che è amore.
Questo è il senso del discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona, così l’ha chiarito a quanti l’avevano frainteso, senza ritrattare nulla o chiedere scusa, perché non c’era nulla da ritrattare o cosa di cui scusarsi. Per le reazioni in cattiva fede non c’è spiegazione che tenga e l’estremismo islamico si condanna da sé.
Il secondo riguarda il contrasto tra le culture profondamente religiose e la cultura occidentale, che rimuove se non anche nega il religioso, relegandolo a fenomeno sottoculturale, quasi irrazionale. E, in ogni caso, come fatto privato. L’Occidente, con la rimozione del religioso, pensa di aver raggiunto la maggiore età della ragione. In realtà, si tratta di una ragione handicappata, che afferma solo quanto riesce a dimostrare positivamente e rifiuta quanto non rientra nel suo campo di indagine scientifica. «Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture».
La visibilità della fede cristiana passa attraverso la preghiera, la festa cristiana, la testimonianza dei valori cristiani non solo nel privato, ma anche nel pubblico: nell’economia, nella politica, nella cultura. Cristiani all’acqua di rose non sono quelli che s’impegnano per la giustizia, la pace e la liberazione dei poveri (persone e gruppi sociali); sono invece quelli che, fuori dal tempio, mettono tra parentesi la loro fede, e i valori a essa collegati, o, peggio ancora, si servono dei valori cristiani per legittimare e perseguire interessi di parte, dimentichi del bene comune dell’intera famiglia umana.
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