L’INCOMBERE DI UNA DEFLAGRAZIONE NUCLEARE…
di Antonio Socci (31/12/2006)
Saddam Hussein è stato eliminato, ma la minaccia che incombe sul mondo no. Anzi, potrebbe perfino accrescere la sua pericolosità. Se ne parla poco e si conosce ancora meno: si tratta di un possibile conflitto nucleare. Sembra una mitologia da anni Sessanta o al più si pensa (con poco interesse) alla controversia in corso sul nucleare iraniano, credendo che riguardi “solo” la sicurezza dei paesi vicini (Israele per primo).
Invece non è così. La minaccia riguarda tutti ed è oggi più incombente che mai. Oggi più di dieci anni fa. A paventare (in questo inizio del 2007) una “possibile catastrofe atomica” non è un qualche opinionista apocalittico, un allarmista di professione, ma una persona pacata e razionale, l’uomo più saggio e illuminato che calca la scena mondiale: Benedetto XVI. Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace, che la Chiesa celebra il 1° gennaio 2007, esprime la sua “grande inquietudine” per “la volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari”. Ed ecco la “paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo” osserva il Papa “alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’. Dopo di allora si sperava che il pericolo atomico fosse definitivamente scongiurato e che l’umanità potesse finalmente tirare un durevole sospiro di sollievo. Purtroppo” prosegue il Santo Padre “ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità”. Il Pontefice esorta dunque a stipulare nuovi accordi internazionali per “la non proliferazione delle armi nucleari” e chiede un serio impegno per arrivare alla loro “diminuzione e al loro definitivo smantellamento”. Tuttavia, mentre lancia il suo appello accorato (“niente si lasci di intentato”), è ben consapevole del rischio imminente: “E’ in gioco il destino dell’intera famiglia umana!”.
E’ incredibile che un così autorevole allarme sia passato e passi pressoché inosservato. A parte gli addetti ai lavori, che sanno come stanno le cose e sono estremamente preoccupati, i mass media e la gente sembrano non rendersi conto. Anche il cupo segnale del maggio 2005 è stato del tutto snobbato: il fallimento a New York della settima Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (è l’appuntamento che ogni cinque anni, dal 1970, si tiene per vigilare sull’osservanza dell’impegno sottoscritto dai Grandi di ridurre ed eliminare le armi nucleari). Il motivo del fallimento è molto semplice (e lo abbiamo già scritto su queste colonne): la situazione è fuori controllo. Gli esperti ormai rimpiangono il vecchio “equilibrio del terrore”. Oggi lo scenario è peggiore. Si è scatenata negli ultimi anni una corsa al nucleare che non ha eguali nei 50 anni precedenti. Secondo documenti ufficiali dell’Onu sono circa 40 i Paesi che già dispongono di “capacità nucleare” e fra quelli che da tempo posseggono armi nucleari vi sono Stati come l’India e il Pakistan che sono da sempre a rischio di conflitto armato.
Gli Stati Uniti – dopo l’11 settembre 2001, con la convinzione di una minaccia inedita alla propria popolazione civile – hanno preso ad investire cifre gigantesche nel riarmo. Gli altri hanno seguito. Questa corsa planetaria alle armi nucleari si somma alla scarsa manutenzione e all’ insicurezza di tanti arsenali (soprattutto dell’Est europeo), all’esistenza di organizzazioni terroristiche internazionali capaci di tutto e al commercio clandestino di ordigni atomici.
L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, William J. Perry di recente ha dichiarato: “Non ho mai avuto tanta paura come ora di un conflitto nucleare. Esiste una probabilità di un attacco rivolto contro obiettivi Usa nei prossimi dieci anni superiore al 50 per cento”. Non è un caso se la Russia e gli Stati Uniti hanno cominciato a teorizzare un possibile uso “limitato” di armi atomiche.
Ritengono di poterlo fare perché dispongono di nuovi ordigni dagli effetti “controllabili” che potrebbero servire a distruggere armi atomiche in costruzione da parte di regimi pericolosi, ma questo passo resta un salto nel buio. Che potrebbe avere effetti incalcolabili. Viviamo su una polveriera. Gli scenari più allarmatisici parlano di 30 mila ordigni nucleari di cui 17.500 operativi: più che sufficienti per distruggere migliaia di volte il pianeta. Ma anche se consideriamo lo scenario “meno scioccante” le cose non cambiano. I dati ufficiali dicono che gli Stati Uniti dispongono circa di 4.500 testate nucleari strategiche offensive, la Russia 3.800, infine Gran Bretagna, Francia e Cina fra 200 e 400 ciascuno (senza considerare quelle degli altri Paesi dotati di qualche centinaio di bombe nucleari). Anche se arrivassimo ad avere “solo” 3.200 testate (come sarebbe previsto dagli accordi russo-americani per il 2012) avremmo una capacità distruttiva pari a 65 mila volte (ripeto: sessantacinquemila volte) quello della bomba di Hiroshima dove morirono 200 mila persone.
Ciò che rende purtroppo possibile un grande botto della polveriera chiamata “Terra”, non è neanche il divampare di un conflitto fra Stati (sempre possibile) o un attacco terroristico, ma il caso. Sì, la casualità, l’errore, l’incidente involontario, l’equivoco. Ho già ricordato su “Libero” l’intervento dell’anno scorso su “Foreign Policy” di Robert McNamara (fu segretario alla Difesa degli Stati Uniti dal 1961 al 1968, con Kennedy e con Johnson ed è uno dei maggiori esperti mondiali di armi nucleari). Ebbene McNamara sostiene che il rischio più terribile è proprio quello: un errore nei sistemi di controllo computerizzato, un guasto a una macchina e tutto salta per aria. Impossibile? Niente affatto. Possibilissimo. C’è un’ampia e agghiacciante casistica di incidenti già accaduti nel corso dei quali la catastrofe è stata scongiurata per un soffio. Si sa che il presidente americano e quello russo – quando ricevono l’allarme di un possibile attacco atomico - devono decidere la risposta nell’arco di 20 minuti. Un pugno di uomini hanno solo pochi secondi per capire se si tratta di un falso allarme. E’ addirittura miracoloso che fino ad ora – con la quantità di incidenti accaduti – sia stato sempre evitato il peggio. Ma possiamo continuare così?
McNamara definisce ormai “inaccettabile” questo rischio perché “comunque sia, gli esseri umani possono sbagliare. E un errore commesso in simili circostanze avrebbe condotto alla distruzione delle nazioni. La conbinazione di fallibilità umana e armi nucleari comporta un rischio elevatissimo di catastrofe nucleare” (per non dire della quantità di ordigni nucleari “persi”, per incidenti vari, nei mari).
La soluzione a cui viene da pensare è una progressiva riduzione degli arsenali atomici, ma, secondo McNamara, anche sostanziose riduzioni di armi nucleari non cambierebbero nulla perché “la testata statunitense media” spiega “ha un potenziale distruttivo 20 volte superiore a quello della bomba di Hiroshima”.
Dunque c’è una sola strada. Obbligata. La totale cancellazione di armi nucleari dalla Terra. Ma oggi pare impossibile e si sta facendo l’opposto. “Siamo in un momento critico per la storia dell’umanità”, ha concluso McNamara. Il Papa grida il suo allarme, ma la gente è distratta. Una spensieratezza collettiva che deve ricordare al Santo Padre l’inquietante profezia di Gesù nel Vangelo di Luca: “Come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano si sposavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’Arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano…”.
di Antonio Socci (31/12/2006)
Saddam Hussein è stato eliminato, ma la minaccia che incombe sul mondo no. Anzi, potrebbe perfino accrescere la sua pericolosità. Se ne parla poco e si conosce ancora meno: si tratta di un possibile conflitto nucleare. Sembra una mitologia da anni Sessanta o al più si pensa (con poco interesse) alla controversia in corso sul nucleare iraniano, credendo che riguardi “solo” la sicurezza dei paesi vicini (Israele per primo).
Invece non è così. La minaccia riguarda tutti ed è oggi più incombente che mai. Oggi più di dieci anni fa. A paventare (in questo inizio del 2007) una “possibile catastrofe atomica” non è un qualche opinionista apocalittico, un allarmista di professione, ma una persona pacata e razionale, l’uomo più saggio e illuminato che calca la scena mondiale: Benedetto XVI. Nel suo Messaggio per la Giornata mondiale della pace, che la Chiesa celebra il 1° gennaio 2007, esprime la sua “grande inquietudine” per “la volontà, manifestata di recente da alcuni Stati, di dotarsi di armi nucleari”. Ed ecco la “paura per una possibile catastrofe atomica. Ciò riporta gli animi indietro nel tempo” osserva il Papa “alle ansie logoranti del periodo della cosiddetta ‘guerra fredda’. Dopo di allora si sperava che il pericolo atomico fosse definitivamente scongiurato e che l’umanità potesse finalmente tirare un durevole sospiro di sollievo. Purtroppo” prosegue il Santo Padre “ombre minacciose continuano ad addensarsi all’orizzonte dell’umanità”. Il Pontefice esorta dunque a stipulare nuovi accordi internazionali per “la non proliferazione delle armi nucleari” e chiede un serio impegno per arrivare alla loro “diminuzione e al loro definitivo smantellamento”. Tuttavia, mentre lancia il suo appello accorato (“niente si lasci di intentato”), è ben consapevole del rischio imminente: “E’ in gioco il destino dell’intera famiglia umana!”.
E’ incredibile che un così autorevole allarme sia passato e passi pressoché inosservato. A parte gli addetti ai lavori, che sanno come stanno le cose e sono estremamente preoccupati, i mass media e la gente sembrano non rendersi conto. Anche il cupo segnale del maggio 2005 è stato del tutto snobbato: il fallimento a New York della settima Conferenza di revisione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare (è l’appuntamento che ogni cinque anni, dal 1970, si tiene per vigilare sull’osservanza dell’impegno sottoscritto dai Grandi di ridurre ed eliminare le armi nucleari). Il motivo del fallimento è molto semplice (e lo abbiamo già scritto su queste colonne): la situazione è fuori controllo. Gli esperti ormai rimpiangono il vecchio “equilibrio del terrore”. Oggi lo scenario è peggiore. Si è scatenata negli ultimi anni una corsa al nucleare che non ha eguali nei 50 anni precedenti. Secondo documenti ufficiali dell’Onu sono circa 40 i Paesi che già dispongono di “capacità nucleare” e fra quelli che da tempo posseggono armi nucleari vi sono Stati come l’India e il Pakistan che sono da sempre a rischio di conflitto armato.
Gli Stati Uniti – dopo l’11 settembre 2001, con la convinzione di una minaccia inedita alla propria popolazione civile – hanno preso ad investire cifre gigantesche nel riarmo. Gli altri hanno seguito. Questa corsa planetaria alle armi nucleari si somma alla scarsa manutenzione e all’ insicurezza di tanti arsenali (soprattutto dell’Est europeo), all’esistenza di organizzazioni terroristiche internazionali capaci di tutto e al commercio clandestino di ordigni atomici.
L’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, William J. Perry di recente ha dichiarato: “Non ho mai avuto tanta paura come ora di un conflitto nucleare. Esiste una probabilità di un attacco rivolto contro obiettivi Usa nei prossimi dieci anni superiore al 50 per cento”. Non è un caso se la Russia e gli Stati Uniti hanno cominciato a teorizzare un possibile uso “limitato” di armi atomiche.
Ritengono di poterlo fare perché dispongono di nuovi ordigni dagli effetti “controllabili” che potrebbero servire a distruggere armi atomiche in costruzione da parte di regimi pericolosi, ma questo passo resta un salto nel buio. Che potrebbe avere effetti incalcolabili. Viviamo su una polveriera. Gli scenari più allarmatisici parlano di 30 mila ordigni nucleari di cui 17.500 operativi: più che sufficienti per distruggere migliaia di volte il pianeta. Ma anche se consideriamo lo scenario “meno scioccante” le cose non cambiano. I dati ufficiali dicono che gli Stati Uniti dispongono circa di 4.500 testate nucleari strategiche offensive, la Russia 3.800, infine Gran Bretagna, Francia e Cina fra 200 e 400 ciascuno (senza considerare quelle degli altri Paesi dotati di qualche centinaio di bombe nucleari). Anche se arrivassimo ad avere “solo” 3.200 testate (come sarebbe previsto dagli accordi russo-americani per il 2012) avremmo una capacità distruttiva pari a 65 mila volte (ripeto: sessantacinquemila volte) quello della bomba di Hiroshima dove morirono 200 mila persone.
Ciò che rende purtroppo possibile un grande botto della polveriera chiamata “Terra”, non è neanche il divampare di un conflitto fra Stati (sempre possibile) o un attacco terroristico, ma il caso. Sì, la casualità, l’errore, l’incidente involontario, l’equivoco. Ho già ricordato su “Libero” l’intervento dell’anno scorso su “Foreign Policy” di Robert McNamara (fu segretario alla Difesa degli Stati Uniti dal 1961 al 1968, con Kennedy e con Johnson ed è uno dei maggiori esperti mondiali di armi nucleari). Ebbene McNamara sostiene che il rischio più terribile è proprio quello: un errore nei sistemi di controllo computerizzato, un guasto a una macchina e tutto salta per aria. Impossibile? Niente affatto. Possibilissimo. C’è un’ampia e agghiacciante casistica di incidenti già accaduti nel corso dei quali la catastrofe è stata scongiurata per un soffio. Si sa che il presidente americano e quello russo – quando ricevono l’allarme di un possibile attacco atomico - devono decidere la risposta nell’arco di 20 minuti. Un pugno di uomini hanno solo pochi secondi per capire se si tratta di un falso allarme. E’ addirittura miracoloso che fino ad ora – con la quantità di incidenti accaduti – sia stato sempre evitato il peggio. Ma possiamo continuare così?
McNamara definisce ormai “inaccettabile” questo rischio perché “comunque sia, gli esseri umani possono sbagliare. E un errore commesso in simili circostanze avrebbe condotto alla distruzione delle nazioni. La conbinazione di fallibilità umana e armi nucleari comporta un rischio elevatissimo di catastrofe nucleare” (per non dire della quantità di ordigni nucleari “persi”, per incidenti vari, nei mari).
La soluzione a cui viene da pensare è una progressiva riduzione degli arsenali atomici, ma, secondo McNamara, anche sostanziose riduzioni di armi nucleari non cambierebbero nulla perché “la testata statunitense media” spiega “ha un potenziale distruttivo 20 volte superiore a quello della bomba di Hiroshima”.
Dunque c’è una sola strada. Obbligata. La totale cancellazione di armi nucleari dalla Terra. Ma oggi pare impossibile e si sta facendo l’opposto. “Siamo in un momento critico per la storia dell’umanità”, ha concluso McNamara. Il Papa grida il suo allarme, ma la gente è distratta. Una spensieratezza collettiva che deve ricordare al Santo Padre l’inquietante profezia di Gesù nel Vangelo di Luca: “Come avvenne ai tempi di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano si sposavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell’Arca e venne il diluvio e li fece perire tutti. Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano…”.
Il REDS
RispondiEliminaIl pericolo nucleare è una cosa seria. Questa volta hai ragione. L'unico punto su cui mi viene da pensare è il seguente: non basta parlarne una volta alla settimana (la domenica), magari da piazza San Pietro, e poi stupirsi che nessuno se ne accorga, e che il mondo continui ad essere quello che è.
Siete convinti che il nucleare sia un problema (Socci compreso)? Bene. Incazzatevi, urlate, scendete in piazza, scioperate, convocate ambasciatori...Vi incavolate tante volte per leggi che non faranno mai (vedi pacs), potreste una volta mobilitarvi per qualcosa di molto più pericoloso...Del resto sennò l'attivismo e il riunirsi a parlare di questo o quello, a cosa serve?
Il REDS
"convocare ambasciatori" è proprio quello che ha fatto il papa l'altro giorno, a cui ha parlato di tutta quella roba che è scritta nel post "impegno per la pace".
RispondiEliminaun problema grosso è che i media, di solito, riportano, dei discorsi del papa, solo gli argomenti che interessano e alimentano la polemica in corso, cioè sembra che parli solo di eutanasia e pacs, mentre invece parla anche della minaccia della guerra, di debellare la povertà, di raggiungere gli obiettivi del millennio, e di tanti altri problemi sociali.
ma il problema ancora più grosso è che nessuno (dei governanti) se lo fila, di qualsiasi cosa parli.
gli strumenti che usa la chiesa per risolvere i problemi del mondo però sono diversi da quelli dei pacifisti, sono la predicazione, la missione e, soprattutto, la preghiera. però spesso aggiunge anche il dialogo e la diplomazia.
anche se è vero che si potrebbe fare qualcosa in più...
In parte penso che tu abbia ragione, nel senso che i media spesso pubblicano la parte che fa più polemica e notizia.
RispondiEliminaPerò penso anche che a buona parte dei fedeli vada bene così...A cosa alludo? Che parlare è una cosa. Agire è un'altra. E sperare che il mondo si cambi a preghiere mi sembra un pò un "lavarsene le mani"...Vedo in giro tanta gente che si definisce cattolica, che fa prediche, che fa morale...ed alla fine si accontenta delle frasette che riporta la tv o qualche giornalista stranamente riscopertosi amante del papa (vedi Socci...). Senza agire. Sai cosa mi sembra? Che la preghiera molte volte sia un alibi per non muoversi...Se Don Ciotti, o Zanotelli si fossero limitati a pregare, penso che non avrebbero realizzato niente. Sai qual'è la grande verità secondo me?
Che dal momento in cui si pensa che la fede vada vissuta come qualcosa di collettivo (sennò la Chiesa che ci sta a fare, preti inclusi...), non puoi dire che ci si affida alla preghiera per risolvere il mondo. Perché, credo, il "riunirsi", in qualsiasi forma, ha senso se poi si agisce, se si contamina il vivere comune, a livello pratico in primis.
Il problema, forse, sta che la gente di fede si riunisce non in nome di una fede, ma dei privilegi che questa ti dà. E' come appartenere ad una casta, per intendersi. Del resto è ben noto che Chiesa, banche, partiti, misericordie, giornali ecc...sono sempre andate a braccetto. E, intendiamoci, non dico che questo non abbia una sua logica. E non dico che da altre parti non succeda la stessa cosa. E' solo che questa logica non ha molto a che vedere con le "alte" tematiche di cui parliamo. Quindi, non ti stupire se nessuno realizza in pratica le stupende sfide del credere cristiano. Questa è la mia idea. Criticabile qaunto vuoi.