31 marzo 2007

Nota impegnativa dell’Onu

Lapidare i froci non è reato, e altre nefandezze con l’egida multikulti

Eccola la nota impegnativa delle Nazioni Unite, quella che provenendo dal soglio multikulti della bontà mondiale non turberà il sonno di nessuno: lapidare i froci non è reato. Alla riunione del Consiglio di Ginevra sui diritti umani, un organo ideato da Kofi Annan ma già più ridicolo della famigerata Commissione di cui l’anno scorso ha preso il posto, a settembre è stato presentato un documento di condanna della Nigeria per la mostruosa pratica di lapidazione, fino alla morte, degli omosessuali. L’ambasciatore nigeriano s’è difeso da par suo e ha spiegato ai colleghi che “la pena di morte per lapidazione contro chi compie atti sessuali contro natura è prevista dalla sharia e non dev’essere equiparata agli omicidi extragiudiziari anzi, davvero, non deve nemmeno essere considerata in questo rapporto”. La presidenza del consesso mondiale che, in teoria, dovrebbe tutelare i diritti umani ha ringraziato ed è passata ad altro, tendenzialmente a un voto di condanna nei confronti di Israele. In questa sessione sono già state approvate otto risoluzioni contro lo stato ebraico, e ce ne sono altre tre in lista d’attesa, ma non è passata nessuna critica formale ai soliti e ben noti torturatori. Questa settimana, il Consiglio ha deciso di non prendere in considerazione il peggioramento della situazione dei diritti umani in Iran e Uzbekistan. E anche l’inevitabile documento sul genocidio in Darfur (che, intanto, secondo l’Onu non è genocidio) ha evitato accuratamente di puntare il dito sul governo sudanese, viceversa il testo non sarebbe stato approvato. La solita alleanza tra macellai, dittatori e democrazie accondiscendenti continua, con l’egida Onu, a giustificare ogni abominio, compresi la violenza sulle donne nel mondo islamico, la negazione dell’Olocausto di Teheran, la tortura politica a Cuba, le bombe di Hezbollah. Alla fine di ogni intervento di questi personaggi, la presidenza del Consiglio Onu doverosamente ringrazia, malgrado le sconcezze ascoltate.
La settimana scorsa, quando il rappresentante di UN Watch ha preso la parola per denunciare queste cose, e dire che il sogno dei padri fondatori delle Nazioni Unite si è trasformato in un incubo, è successa una cosa straordinaria che vi consigliamo di andare a vedere sul sito unwatch.org. Lo spagnolo che presiedeva, dopo aver ringraziato ogni difensore dei torturatori fin lì ascoltato, si è rifiutato di fare altrettanto con il rappresentante di UN Watch, condannando il suo intervento, giudicandolo inammissibile e intollerabile. E’ la prova, non solo secondo il Wall Street Journal e il New York Sun, ma anche per una rivista progressista come Foreign Policy, che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu “è ufficialmente una barzelletta”.
(Il Foglio - 31/03/2007)

Giovanni Paolo II contro la mafia

29 marzo 2007

Nota sulle unioni di fatto

Nota del Consiglio Episcopale Permanente a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto

L’ampio dibattito che si è aperto intorno ai temi fondamentali della vita e della famiglia ci chiama in causa come custodi di una verità e di una sapienza che traggono la loro origine dal Vangelo e che continuano a produrre frutti preziosi di amore, di fedeltà e di servizio agli altri, come testimoniano ogni giorno tante famiglie. Ci sentiamo responsabili di illuminare la coscienza dei credenti, perché trovino il modo migliore di incarnare la visione cristiana dell’uomo e della società nell’impegno quotidiano, personale e sociale, e di offrire ragioni valide e condivisibili da tutti a vantaggio del bene comune.

La Chiesa da sempre ha a cuore la famiglia e la sostiene con le sue cure e da sempre chiede che il legislatore la promuova e la difenda. Per questo, la presentazione di alcuni disegni di legge che intendono legalizzare le unioni di fatto ancora una volta è stata oggetto di riflessione nel corso dei nostri lavori, raccogliendo la voce di numerosi Vescovi che si sono già pubblicamente espressi in proposito. È compito infatti del Consiglio Episcopale Permanente «approvare dichiarazioni o documenti concernenti problemi di speciale rilievo per la Chiesa o per la società in Italia, che meritano un’autorevole considerazione e valutazione anche per favorire l’azione convergente dei Vescovi» (Statuto C.E.I., art. 23, b).

Non abbiamo interessi politici da affermare; solo sentiamo il dovere di dare il nostro contributo al bene comune, sollecitati oltretutto dalle richieste di tanti cittadini che si rivolgono a noi. Siamo convinti, insieme con moltissimi altri, anche non credenti, del valore rappresentato dalla famiglia per la crescita delle persone e della società intera. Ogni persona, prima di altre esperienze, è figlio, e ogni figlio proviene da una coppia formata da un uomo e una donna. Poter avere la sicurezza dell’affetto dei genitori, essere introdotti da loro nel mondo complesso della società, è un patrimonio incalcolabile di sicurezza e di fiducia nella vita. E questo patrimonio è garantito dalla famiglia fondata sul matrimonio, proprio per l’impegno che essa porta con sé: impegno di fedeltà stabile tra i coniugi e impegno di amore ed educazione dei figli.

Anche per la società l’esistenza della famiglia è una risorsa insostituibile, tutelata dalla stessa Costituzione italiana (cfr artt. 29 e 31). Anzitutto per il bene della procreazione dei figli: solo la famiglia aperta alla vita può essere considerata vera cellula della società perché garantisce la continuità e la cura delle generazioni. È quindi interesse della società e dello Stato che la famiglia sia solida e cresca nel modo più equilibrato possibile.

A partire da queste considerazioni, riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. Si toglierebbe, infatti, al patto matrimoniale la sua unicità, che sola giustifica i diritti che sono propri dei coniugi e che appartengono soltanto a loro. Del resto, la storia insegna che ogni legge crea mentalità e costume.

Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile.

Queste riflessioni non pregiudicano il riconoscimento della dignità di ogni persona; a tutti confermiamo il nostro rispetto e la nostra sollecitudine pastorale. Vogliamo però ricordare che il diritto non esiste allo scopo di dare forma giuridica a qualsiasi tipo di convivenza o di fornire riconoscimenti ideologici: ha invece il fine di garantire risposte pubbliche a esigenze sociali che vanno al di là della dimensione privata dell’esistenza.

Siamo consapevoli che ci sono situazioni concrete nelle quali possono essere utili garanzie e tutele giuridiche per la persona che convive. A questa attenzione non siamo per principio contrari. Siamo però convinti che questo obiettivo sia perseguibile nell’ambito dei diritti individuali, senza ipotizzare una nuova figura giuridica che sarebbe alternativa al matrimonio e alla famiglia e produrrebbe più guasti di quelli che vorrebbe sanare.

Una parola impegnativa ci sentiamo di rivolgere specialmente ai cattolici che operano in ambito politico. Lo facciamo con l’insegnamento del Papa nella sua recente Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis: «i politici e i legislatori cattolici, consapevoli della loro grave responsabilità sociale, devono sentirsi particolarmente interpellati dalla loro coscienza, rettamente formata, a presentare e sostenere leggi ispirate ai valori fondati nella natura umana», tra i quali rientra «la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna» (n. 83). «I Vescovi – continua il Santo Padre – sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato» (ivi). Sarebbe quindi incoerente quel cristiano che sostenesse la legalizzazione delle unioni di fatto.

In particolare ricordiamo l’affermazione precisa della Congregazione per la Dottrina della Fede, secondo cui, nel caso di «un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge» (Considerazioni della Congregazione per la Dottrina della Fede circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali, 3 giugno 2003, n. 10).

Il fedele cristiano è tenuto a formare la propria coscienza confrontandosi seriamente con l’insegnamento del Magistero e pertanto non «può appellarsi al principio del pluralismo e dell’autonomia dei laici in politica, favorendo soluzioni che compromettano o che attenuino la salvaguardia delle esigenze etiche fondamentali per il bene comune della società» (Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica, 24 novembre 2002, n. 5).

Comprendiamo la fatica e le tensioni sperimentate dai cattolici impegnati in politica in un contesto culturale come quello attuale, nel quale la visione autenticamente umana della persona è contestata in modo radicale. Ma è anche per questo che i cristiani sono chiamati a impegnarsi in politica.

Affidiamo queste riflessioni alla coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di fare le leggi, affinché si interroghino sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro decisioni. Questa Nota rientra nella sollecitudine pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata quotidianamente ad esprimere verso le persone e le famiglie e che nasce dall’amore di Cristo per tutti i nostri fratelli in umanità.

Roma, 28 marzo 2007

I Vescovi del Consiglio Permanente della C.E.I.


19 marzo 2007

Preghiera

Luca 11

1 Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». 2 Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3 dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4 e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione».
5 Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani,6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; 7 e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; 8 vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
9 Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.1011 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».
Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.

Luca 18

1 Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2 «C'era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3 In quella città c'era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. 4 Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
9 Disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: 10 «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. 11 Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12 Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo. 13 Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore. 14 Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
35 Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. 36 Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. 37 Gli risposero: «Passa Gesù il Nazareno!». 38
Allora incominciò a gridare: «Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!». 39 Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». 40 Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: 41 «Che vuoi che io faccia per te?». Egli rispose: «Signore, che io riabbia la vista». 42 E Gesù gli disse: «Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato». 43 Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio.


Marco 11
20
La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici.21 Allora Pietro, ricordatosi, gli disse: «Maestro, guarda: il fico che hai maledetto si è seccato». 22 Gesù allora disse loro: «Abbiate fede in Dio!23 In verità vi dico: chi dicesse a questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto dice avverrà, ciò gli sarà accordato. 24 Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato. 25 Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati».

Matteo 6

1 Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli.
5 Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. 6 Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

17 marzo 2007

Cina e aborto

(Questo testo è un'email che gira)

Di tutti i crimini commessi contro Dio, contro il creato e contro l’umanità questo è fra i più vergognosi! (ogni commento è superfluo)

Le immagini che seguono sono estremamente dure, però riteniamo doveroso mostrarle, perché fatti così gravi non devono passare inosservati. Il mondo deve sapere, la gente deve essere informata di quanto accade in Cina, di come possa disumanamente divenire normalità il disprezzo per la vita.

Una bimba appena nata giace morta sotto il bordo del marciapiedi, nella totale indifferenza di coloro che passano.
La piccina è solo un'altra vittima della politica crudele del governo cinese che pone il limite massimo di un solo figlio nelle città (due nelle zone rurali), con aborto obbligatorio.

Nel corso della giornata, la gente passa ignorando il bebè.
Automobili e biciclette passano schizzando fango sul cadaverino.

Di quelli che passano, solo pochi prestano attenzione.
La neonata fa parte delle oltre 1000 bambine abbandonate appena nate ogni anno, in conseguenza della politica del governo cinese.
L'unica persona che ha cercato di aiutare questa bambina ha dichiarato:
"Credo che stesse già per morire, tuttavia era ancora calda e perdeva sangue dalle narici".
Questa signora ha chiamato l'Emergenza però non è arrivato nessuno.
"Il bebè stava vicino agli uffici fiscali del governo e molte persone passavano ma nessuno faceva nulla... Ho scattato queste foto perché era una cosa terribile..."
"I poliziotti, quando sono arrivati, sembravano preoccuparsi più per le mie foto che non per la piccina..."


In Cina, molti ritengono che le bambine siano spazzatura.
Il governo della Cina, il paese più popoloso del mondo con 1,3 miliardi di persone, ha imposto la sua politica di restrizione della natalità nel 1979.
I metodi usati però causano orrore e sofferenza: i cittadini, per il terrore di essere scoperti dal governo, uccidono o abbandonano i propri neonati.
Ufficialmente, il governo condanna l'uso della forza e della crudeltà per controllare le nascite; però, nella pratica quotidiana, gli incaricati del controllo subiscono tali pressioni allo scopo di limitare la natalità, che formano dei veri e propri "squadroni dell'aborto". Questi squadroni catturano le donne "illegalmente incinte" e le tengono in carcere finché non si rassegnano a sottoporsi all'aborto.
In caso contrario, i figli "nati illegalmente" non hanno diritto alle cure mediche, all'istruzione, né ad alcuna altra assistenza sociale. Molti padri vendono i propri "figli illegali" ad altre coppie, per evitare il castigo del governo cinese.
Essendo di gran lunga preferito il figlio maschio, le bambine rappresentano le principali vittime della limitazione delle nascite.
Normalmente le ragazze continuano a vivere con la famiglia dopo del matrimonio e ciò le rende un vero e proprio peso.
Nelle regioni rurali si permette un secondo figlio, ma se anche il secondo è una femmina, la cosa rappresenta un disastro per la famiglia.
Secondo i dati delle statistiche ufficiali, il 97,5% degli aborti è rappresentato da feti femminili.
Il risultato è un forte squilibrio di proporzioni fra popolazione maschile e femminile. Milioni di uomini non possono sposarsi, da ciò consegue il traffico di donne.
L'aborto selezionato per sesso sarebbe proibito dalla legge, però è prassi comune corrompere gli addetti per ottenere un'ecografia dalla quale conoscere il sesso del nascituro.
Le bambine che sopravvivono finiscono in precari orfanotrofi.
Il governo cinese insiste con la sua politica di limitare le nascite e ignora il problema della discriminazione contro le bambine.

Alla fine, un uomo raccolse il corpo della bambina, lo mise in una scatola e lo gettò nel bidone della spazzatura.

13 marzo 2007

Darfur

IL RAPPORTO
Resta sempre in sospeso l’idea di una forza di interposizione dell’Ua. I vertici sudanesi non sono mai andati oltre un «sì» di principio, mai tramutatosi in realtà

L’Onu: «Sudan mandante dei crimini nel Darfur»

Il governo di Khartum orchestra ancora i massacriUn rapporto di sei esperti condanna il regime di al-Bashir e chiede al Consiglio di sicurezza di varare «misure urgenti» per proteggere i civili

Di Paolo M. Alfieri (Avvenire 13/3/2007)

«Il governo del Sudan ha chiaramente fallito nel suo compito di proteggere la popolazione del Darfur da crimini compiuti su larga scala. Ha anzi esso stesso orchestrato questi crimini, partecipando anche alla loro esecuzione». L'ennesimo durissimo atto d'accusa contro il regime sudanese in relazione al conflitto in corso nel Darfur è giunto ieri a Ginevra all'attenzione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Autori di un dettagliato rapporto, lungo trentacinque pagine, sono sei diplomatici ed esperti di diritti umani, appositamente incaricati lo scorso dicembre dallo stesso Consiglio nel corso di una sessione di emergenza sul Darfur, chiesta dall'allora Segretario generale Kofi Annan. «La situazione del Darfur è caratterizzata da gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali», si legge nel documento, che chiama in causa il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, perché intraprenda «misure urgenti» sia per quanto riguarda la protezione dei civili che per il dispiegamento di un contingente di peacekeeping nella regione. «Dovrebbero essere pienamente applicate tutte le risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza dell'Onu e dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell'Unione africana - scrivono gli esperti - comprese quelle che impongono il divieto di circolazione e il congelamento dei beni e delle risorse economiche di quanti commettono tali violazioni». La squadra che ha redatto il rapporto, guidata dal premio Nobel per la pace Jody Williams, non ha ottenuto da Khartum i visti necessari per l'accesso nel Darfur. Nonostante ciò gli esperti hanno compiuto diverse missioni nel Ciad, dove sono accampati oltre duecentomila dei due milioni di profughi fuggiti dalle violenze in corso ormai da quattro anni nell'Ovest del Sudan. «Il principale schema adottato nella regione è quello di una violenta campagna di contro-guerriglia lanciata dal governo del Sudan in collaborazione con le milizie janjaweed, che colpiscono sop rattutto i civili», si legge ancora nel documento, che cita anche gli abusi compiuti dalle forze ribelli locali. Il governo di Khartum viene peraltro accusato di arresti e detenzioni arbitrarie, nonché di aver fatto ricorso all'arma dello stupro di massa. Sulla base del rapporto reso pubblico ieri, i membri europei del Consiglio per i diritti umani, organismo creato lo scorso anno e composto dai rappresentanti di quarantasette Stati, starebbero preparando una mozione di censura contro il Sudan, ma il provvedimento potrebbe essere bloccato da diversi Paesi africani e arabi. Appena due settimane fa la drammatica situazione della regione sudanese è stata tratteggiata con toni simili dal procuratore della Corte penale internazionale, che ha chiesto l'incriminazione dell'ex segretario di Stato agli Interni del governo sudanese, Ahmed Haroun, e di un capo janjaweed, Ali Kosheib, per le loro responsabilità nei crimini commessi nella regione. Khartum, andando contro ogni rapporto internazionale, continua a negare però ogni responsabilità nella crisi in corso, i cui numeri (oltre duecentomila morti) sarebbero «ingigantiti dai media occidentali». Qualche giorno fa è stato lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, a chiedere con una lettera al presidente sudanese, Omar Hassan al-Bashir, di accettare una forza internazionale nel Darfur. Il piano prevede una missione "ibrida" di ventimila uomini gestita in maniera congiunta dall'Onu e dall'Unione africana. L'uomo forte di Khartum non è mai andato oltre un «sì di principio» alla proposta delle Nazioni Unite. Diversa la posizione di Salva Kiir Mayardit, vice-presidente e leader del movimento sudista Splm, che si è unito alla richiesta della comunità internazionale per l'invio rapido di una forza di pace nel Darfur. Ma è il parere di al-Bashir a contare, e attualmente, da parte sua, sembra non ci siano aperture in vista.

12 marzo 2007

Lettera di Casini

Lettera aperta al Ministro della Salute sul caso del bambino abortito alla 22° settimana a Firenze e nato vivo e sano

Sig. Ministro,
i giornali di oggi (unisco copia de “La Repubblica”) riportano il caso di un aborto alla 22° settimana deciso a causa di una presunta malformazione, poi, risultata inesistente al controllo del bimbo nato vivo, ma in gravissimo pericolo di vita ovvero di malformazioni causate dalla sofferenza cerebrale dovuta alla prematurità della nascita.
Il caso drammatico non è il primo che si verifica in Italia e pone problemi di interpretazione e attuazione della legge 22/5/78 n. 194 sui quali è opportuno che intervenga codesto Ministero con apposita circolare o con proposte legislative di interpretazione autentica e, comunque, suscitando una adeguata riflessione mediante la relazione annuale al Parlamento prevista dalla citata L. 194/78.


Le questioni che il caso pone sono le seguenti:
1) l’ultimo comma dell’art. 7 della legge stabilisce che “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto” l’I.V.G. può essere praticata solo “quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna”.
Tutti i commentatori hanno sottolineato che la “possibilità” è qualcosa di diverso dalla “probabilità”. Anche un evento che si verifica in una percentuale minima di casi è “possibile”, sebbene “poco probabile”.
Siamo a conoscenza di altri casi di sopravvivenza di feti espulsi dal corpo materno (naturalmente o a seguito di I.V.G.) alla 22° settimana.
Nel caso di Firenze la sopravvivenza (Dio solo sa quanto potrà durare) è un fatto.
L’aborto provocato era dunque illecito. Ma la questione è più generale. I grandi progressi della neonatologia, dal ’78 ad oggi, hanno anticipato di molto la “possibilità di sopravvivenza”.
Per evitare il ripetersi di altre situazioni simili a quella descritta da “La Repubblica” è necessario che codesto Ministero, consultati gli organi competenti, dia istruzioni a tutti i presidi sanitari indicando l’età gestazionale altre la quale l’I.V.G. non è più praticabile se non quando il pericolo grave riguarda la vita della madre.


2) L’art. 6 lettera b) della legge 194/78 consente l’aborto dopo i primi 90 giorni “quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
Dal testo de “La Repubblica” risulta che l’anomalia del concepito non era stata accertata. Era soltanto sospettata ed era stata consigliata una ulteriore indagine, che non è stata effettuata. In tale situazione l’I.V.G. non poteva essere fatta.Vero è che sarebbe stata certificata – così dice il quotidiano – una malattia psichica, ma questa era in dipendenza dell’accertamento della malformazione. Non è stata integrata, quindi, la fattispecie descritta dall’art. 6 lett. b) L.194/78.
Al riguardo si ha frequente notizia di vicende giudiziarie nella quali a causa della nascita di un figlio portatore di qualche aniomalia i genitori chiedono al medico curante che non l’aveva diagnosticata durante la gravidanza, il risarcimento del danno per non aver potuto effettuare l’aborto. Non si ha invece notizia di casi inversi, in cui il risarcimento sia chiesto per un errore nell’aver dichiarato una malformazione in realtà non sussistente. Non se ne ha notizia perché nel caso dell’aborto l’errore non è accertabile se non con un riscontro autoptico, che non viene mai eseguito.
La conseguenza facilmente immaginabile è che il personale sanitario di fronte al dubbio di una malformazione preferisce consigliare l’aborto piuttosto che consigliare alla donna la prosecuzione della gravidanza. Ciò può far sospettare anche che gli accertamenti, in qualche caso, possono essere frettolosi.
Sarebbe pertanto opportuno disporre l’obbligatorietà del riscontro disgnostico a seguito di ogni aborto effettuato ai sensi dell’art. 6 lett. b) L.194/78 per anomalie o malformazioni del feto, con una conseguente informativa a codesto Ministero, affinchè ne possa a annualmente riferire nella relazione di cui all’art. 16 della L.194/78. Questi adempimenti sarebbero non soltanto un modo di massima responsabilizzazione del personale sanitario, ma anche uno strumento per monitorare la frequenza delle malformazioni, studiarne le cause, predisporre interventi atti a contrastarle.
Va altresì sottolineato che il citato art. 6 lett. b) esige che le anomalie o malformazioni siano “rilevanti”. I criteri della rilevanza non sono indicati. Si ha invece notizia di I.V.G. effettuate anche per anomalie di importanza assolutamente marginale e comunque riparabili con interventi terapeutici dopo la nascita o anche in corso di gravidanza. In che misura e per quali patologie può essere ritenuta la “rilevanza”? Quale ruolo può giocare la riparabilità delle anomalie? Anche su questi punti il Ministero dovrebbe svolgere un compito di orientamento e la relazione ex art 16 L. 194/78 potrebbe introdurre una significativa riflessione.
Va segnalato che nel caso in esame l’anomalia sospettata era l’atresia dell’esofago, che può essere risolta chirurgicamente, dice “La Repubblica”, nel 97% dei casi.


3) Stabilisce ancora l’ultimo comma dell’art. 7 che quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto “il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”. Nel caso in esame risulta che il bimbo è stato trasportato dall’ospedale di Careggi in altro presidio sanitario.
E’ giusto chiedersi se a Careggi era immediatamente possibile l’intervento di un neonatologo e se vi erano le attrezzature immediatamente disponibili per l’assistenza al bambino. E’ ovvio che la tempestività è decisiva in casi del genere e il tempo perduto nel viaggio da un ospedale ad un altro può aver pregiudicato le terapie possibili.
A prescindere dalla situazione concreta di Firenze pare che codesto Ministero possa e debba fornire indicazioni precise affinchè sia rispettato ovunque l’ultimo comma dell’art. 7 L. 194/78.


4) Sulla legge194/78 da tre decenni sono divampate le polemiche. Ma è giunto il momento di trovare l’accordo su un punto: che la nascita è preferibile all’aborto e che le istituzioni devono fare tutto il possibile per attuare questo principio. E’ quanto ha detto la Corte Costituzionale nella sentenza n. 39 del 10.02.97. Perciò è urgente una complessiva revisione del modo in cui fino ad ora la legge 194/78 è stata applicata. Si può cominciare dalla relazione prevista dall’art. 16 L, 194/78: l’auspicio è che essa non comunichi soltanto il numero degli aborti, ma dedichi la più grande attenzione ai vivi, cioè chiarisca quanti bambini sono nati nonostante il rischio di aborto durante la gravidanza e quale ruolo abbiano svolto in questa direzione i consultori, le istituzioni publiche e il volontariato privato.
Cordialmente.


Il presidente del Movimento per la Vita
Carlo Casini


N.B. L’errore nel temere di malformazioni sembra essere piuttosto frequente.
Presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica del Policlinico Universitario A. Gemelli, in Roma è stato da anni istituito un servizio telefonico denominato “Telefono Rosso” (06.305007) che offre gratuitamente consulenza medica ed informazioni precise e corrette su eventuali rischi di malformazioni del feto. Facendo riserve di fornire documentazione dettagliata, si può attendere che in molti casi il consiglio di ricorrere alla I.V.G. dato dal medico di base è sbagliato o superficiale. Telefono Rosso vive con modesti contributi di volontari, ma è un servizio la cui dimensione di pubblico interesse e di servizio alle madri che il figlio lo vorrebbero è indiscutibile.
Un’azione di sostegno da parte del Ministero della Salute appare quanto mai necessaria.



09 marzo 2007

Informazione...

A proposito della presenza del pensiero cattolico in tv...
Riguardo al bambino morto al Mayer in questi giorni, quello abortito perché ritenuto malato e che invece era sanissimo, ieri sera al Tg1 è stato appena accennato che Carlo Casini (presidente del Movimento per la Vita) ha fatto aprire un'inchiesta per violazione della legge 194, proprio due parole senza neanche un servizio. Al Tg2 successivo hanno parlato un po' di più della faccenda, tipo 30 secondi, ma di quello che aveva da dire Casini niente.
In compenso subito dopo (al Tg1) c'è stato un bel servizio su un cane e una scimmia che sono diventati amici! Una notiziona di quelle che ci sono tutti i giorni alla fine del Tg2 delle 13, lepri malate, orsi che si perdono, cani maltrattati... con quella bella musica mielosa che strappa il cuore.
A proposito, in Italia c'è una legge che proibisce di distruggere le uova di una specie di rana in via di estinzione. Ma gli embrioni umani non sono così privilegiati.
E ai cattolici tocca difendere la legge 194.

07 marzo 2007

Siamo laici: rifiutiamo l'eugenetica

di Giuliano Ferrara (2/3/2007)

Vale davvero la pena costruire un mondo in cui la vita viene sacrificata alla ricerca senza limiti?

Sgombriamo il campo dalla devozione, sebbene non sempre si sia migliori quando in nome della libertà si accantona il sacro. Prendiamo il Papa, Benedetto XVI, come fosse un vecchio saggio che ha alle spalle una biblioteca di due millenni e l'unica vera comunità universale vivente, punto e basta. Lasciamo stare la fede, che troppo spesso viene trasformata in uno scudo per non pensare, per mettere la testa sotto la sabbia, per rassegnarsi, per compromettersi con il mondo, accettandolo com'è e facendosi accettare come non si dovrebbe essere (non è questa la lezione del monaco Enzo Bianchi e della sua differenza cristiana?).
Domanda laica: perché questo vecchio saggio insiste sulla questione eugenetica? Perché sostiene impavido, contro ogni consiglio di pacificazione pastorale o di compromesso con i tempi moderni, che «il futuro dell'umanità», e scusate se è poco, se ne sta appeso a quel che avviene nei laboratori della tecnoscienza, nella catena eugenetica della diagnosi prenatale e della fertilizzazione in vitro, dove ormai si pratica la medicina della soppressione, l'eliminazione selettiva del malato genetico come soluzione preveniva e finale?

Non gli converrebbe liberare la ragione e la coscienza dei fedeli, e del più vasto mondo secolarizzato che lo ascolta, offrendo un'intesa sorniona tra la cattolicità cristiana e gli stili di vita prevalenti? Certo che gli converrebbe. Una Chiesa del silenzio, che si chiuda alla realtà del mondo tecnoscientifico e all'abbassamento pauroso della norma morale, sarebbe festeggiata ovunque come compagna di strada di un'umanità liberata da troppi pensieri e da troppe prescrizioni oggi quasi incomprensibili.
Se il Novecento è stato il secolo dell'aborto e del divorzio, pensano in tanti dentro e fuori la Chiesa, passiamoci una pietra sopra: famiglia e riproduzione sono ormai una variante a capriccio del caso e del caos che governa il mondo. Se il XXI secolo si annuncia come il secolo in cui il dubbio diagnostico su una perfetta salute genetica decide al posto della natura della nascita e della morte di embrioni dotati di una struttura cromosomica umana unica e irripetibile, tu sì e tu invece no perché un medico decide della tua idoneità a vivere, perché c'è un catalogo di possibilità e di scelte sottoposto al libero desiderio di una coppia, facciamo finta di niente.

Pazienza se mancano centinaia di milioni di donne in Asia, eliminate con un'applicazione meticolosa dell'amniocentesi nelle politiche di pianificazione familiare; pazienza se l'immagine di noi stessi si rifletterà in uno specchio opaco, in cui vedremo piano piano il costo di una libertà separata dall'uso della ragione umana, per non dire della legge di natura, e per non tirare in ballo la legge divina.
E come complemento essenziale, facciamo della morte una decisione, magari di un comitato etico, formalizzata e prescrittiva e indolore, insomma eutanasica, invece che un fatto carico di significato. Non sarà tanto allegro, né privo di rischi, questo impadronimento totalitario del circuito del nascere e del morire da parte dell'uomo, ma tutto si può aggiustare con le consolazioni della fede privata e della cosiddetta libertà di coscienza, pensano molti cattolici.

Invece il Papa non cede. Non aveva ceduto il suo predecessore, quel pastore universalissimo che non la finiva di viaggiare, testimoniare, evangelizzare, ballare su tutti i teatri del mondo, e non cede il più appartato e mite professore di teologia che ora occupa il soglio di Pietro con il suo diverso stile, con la sua diversa misura delle cose, ma con identica, granitica perseveranza. Non è bastato, dice il Papa, liberarsi di Dio predicandone la morte. Non basta la scristianizzazione.
Il pensiero postmoderno vuole che ci si liberi anche della ragione, dei suoi vincoli logici, del suo rapporto essenziale con la realtà naturale. Per essere libera, la coscienza deve obbedire soltanto al desiderio individuale, dicono i neosecolaristi, e deve separarsi non solo e non tanto dalle tradizioni millenarie, deve scindere il suo legame con la ragione, cioè con il pensiero forte che fa della coscienza un luogo di distinzione fra il bene e il male, affidandosi alla volontà di potenza mascherata da pensiero debole.

Ma Joseph Ratzinger non ci sta. E la sua predicazione si mette in sintonia con dubbi veri, che nella società moderna si fanno largo in mezzo alla sciatteria penosa e all'indifferenza di tanta parte del sistema dell'informazione, in mezzo al faustismo minore di chi impugna la libertà di ricerca scientifica come un nuovo idolo. Così succede che nella laicissima Francia, dove anche le chiese sono proprietà dello stato dai tempi della rivoluzione contro l'antico regime, un medico ugonotto come Didier Sicard, presidente del comitato di bioetica, si mette a parlare contro la deriva eugenetica con le stesse parole usate dal capo della Chiesa cattolica.
E nascono fermenti non moralistici, non antifemminili, non ispirati a una idea oppressiva e di soggezione della vita civile, anche tra i laici. E tutti ci domandiamo se valga la pena di costruire un mondo in cui il diritto eguale alla vita, tutelato per tutti, sia sacrificato sull'altare idolatrico della ricerca senza limiti, fino alla creazione degli ibridi umanoidi, fino a quella logica diagnostica che non è più usata per curare, e per sradicare la malattia entro i limiti del possibile, ma per sopprimere il malato oltre i confini di un disegno moralmente impossibile.

02 marzo 2007

Contro la verità «ufficiale»

8 studenti spalancano la porta dell'accademia

Francesco Ognibene (Avvenire - 1/3/2007)

C'è ancora traccia di fame vera di conoscenza tra gli studenti degli atenei italiani: quella fame che non si contenta di nozioni scopo esame, né dello slalom verso il traguardo di una laurea, e neppure di una versione ufficiale delle cose, per quanto autorevole. Lo possiamo chiamare interesse per la realtà "così com'è", guardata negli occhi alzandosi al suo livello con gli strumenti della ragione non ridotta a sistema metrico-decimale. Questa fame, ogni tanto, fa prendere coraggio ai ragazzi e gli fa ritrovare la parola perduta, spingendoli a chiedere qualcosa d'altro a chi sta in cattedra, persino muovendoli a qualche critica se ciò che viene spiegato non convince, non quadra con l'esperienza che ciascuno fa.
A osare tanto sono stati otto studenti di tre facoltà scientifiche di Milano (farmacia, medicina e matematica) che qualche giorno fa, uscendo storditi da un convegno scientifico del loro ateneo sulle cellule embrionali (trattate da alcuni cattedratici intervenuti come materiale biologico sacrificabile per il bene della scienza), non hanno messo la museruola alle obiezioni su quel che avevano appena sentito. E si sono decisi a scrivere una lettera aperta a Elena Cattaneo, la docente protagonista dell'iniziativa accademica, un nome della ricerca in Italia, vicepresidente del Comitato di bioetica e dichiaratamente a favore della sperimentazione sugli embrioni umani. «Il potere e le potenzialità della scienza - hanno scritto - ci appaiono oggi come grandissime evidenze. Ma dentro questa grande avventura di conoscenza, siamo proprio sicuri che il fine giustifichi i mezzi?». E più avanti: «È possibile fare ricerca senza porsi la domanda principale: che cosa ho di fronte? Che cosa è l'embrione? È vita umana?».
Hanno scelto di non tirare a campare per un trenta in più sul libretto infilandosi in tasca queste domande e altre che invece sono lì, sottoposte a tutti - studenti e professori - lungo le due cartelle di una lettera che, debitamente volantinata co n la faccia tosta dei vent'anni, ha fatto il giro dell'università.
Evidentemente non dovevano farlo: quelle domande era inopportuno porle, comunque certo non in quel modo pubblico, non sta bene mettere in piazza i propri dubbi: potevano prendere la parola al convegno - gli hanno suggerito -, dire lì cosa pensavano, nel chiuso dell'aula: poi tutti a casa, e nessuna enfasi a questioni che riguardano chiunque fa ricerca o ambisce un giorno a lavorare per la scienza, e toccano da vicino anche l'opinione pubblica, verso la quale gli scienziati dovrebbero avere una qualche responsabilità.
Invece quegli otto ragazzi - e gli altri duecento che sino a ieri sera avevano sottoscritto la lettera, con non pochi professori - hanno scelto di spalancare la porta e far entrare aria nell'accademia. La destinataria delle domande non ha gradito: e anziché rispondere a chi, disarmato di ogni titolo e potere, le diceva semplicemente «vogliamo essere uomini che non rinunciano a scegliere, usando fino in fondo la propria capacità di giudizio», invece di mostrarsi orgogliosa d'avere forse contribuito a far sbocciare un simile piglio argomentativo, ha dichiarato con tono liquidatorio che «lo scritto degli studenti è così sommario, inaccurato e veicolato con metodi così impropri che non necessita commenti». Non meritano risposta, tornino a chinarsi sui libri che tra poco ci sono gli esami, e lascino perdere. Le domande sull'embrione, carne da laboratorio o vita umana? Le tengano per sé, ne parlino al bar tra di loro, ma ci lascino in pace. La scienza non deve render conto a nessuno, si sappia che lavora per il bene di tutti e dunque non è tenuta a dare spiegazioni pubbliche.
I ragazzi della lettera, è evidente, sono lontani dal considerare qualsiasi dietrofront, e anzi annunciano una più ampia diffusione del testo, a Milano e oltre. È il segnale che sulla frontiera della vita c'è chi ha preso molto sul serio la propria ragione, e la fa lavorare a pieni giri, senza omissioni e timidezze. Stavolta sono gli studenti a far lezione.

01 marzo 2007

Nuove frontiere della scienza...

Si superano confini finora soltanto impensabili

Sul commercio di embrioni umani un clima di sostanziale resa

Carlo Cardia (Avvenire - 28/2/2007)

Un clima di assuefazione, e di sostanziale resa a nuovi poteri, si va estendendo attorno ai temi della genetica, con il superamento di confini soltanto ieri impensabile. Dalla Gran Bretagna giunge notizia che la possibilità di alienare ovuli dietro contropartita in denaro è vicina a realizzarsi. E giunge notizia di un disegno di legge che autorizzerebbe la manipolazione genetica degli embrioni umani, per il momento a fini di sperimentazione, più avanti a scopi riproduttivi. Ciò che colpisce, diciamo pure sconvolge, non è soltanto la gravità delle prospettive che si aprono con l'abbattimento di questi confini, ma il silenzio con il quale le notizie sono accolte in parte della comunità scientifica, in tanti ambienti culturali, a cominciare dai nostri. Stanno venendo meno le ultime barriere sulle quali pure tutti sembravano d'accordo sin dall'inizio delle discussioni in materia di bioetica: il rifiuto del profitto nelle disponibilità genetiche, la condanna di principio della manipolazione su embrioni umani per migliorare la specie. Soltanto qualche anno addietro un autore di bioetica come Jean-Yves Goffi rimproverava agli antirelativisti di difendere ad oltranza determinati principi per paura della "china fatale". La china fatale consisterebbe nel fatto che, accettando alcuni compromessi, inevitabilmente si giungerebbe poi ad abusi spaventosi da evitare comunque. Dalle unioni civili si passerebbe al matrimonio e alla adozione per coppie omosessuali. Dall'eutanasia moderata si passerebbe al suicidio assistito. Dalla fecondazione artificiale si passerebbe alla manipolazione degli embrioni. Goffi negava che si sarebbe giunti a tanto. Oggi egli si trova nella scomoda posizione di chi è smentito clamorosamente dai fatti in tempo quasi reale: in pochi anni, in alcuni paesi, si è percorsa tutta la china fatale che era possibile percorrere; oggi si superano quelle colonne d'ercole che si ritenevano insuperabili. Ma in una condizione preoccupante e grave ci troviamo tutti noi, si trovano le società occidentali che assistono inerti ad un declino etico che non si arresta più. La logica del profitto, oggi per qualche centinaia di euro domani per molto di più, riduce la persona nella sua individualità più intima a merce e apre le porte a nuove forme, solo velate, di servitù degli esseri umani, della donna in particolare. La manipolazione degli embrioni, pur formalmente inibita dalla normativa europea, sarà applicata prima per qualche lieve ritocco, il colore dei capelli o degli occhi di cui parla la letteratura specializzata. Poi, come già ha annunciato dalla stampa, per avere un figlio sempre più sano, forte, intelligente. Con un senso di superiorità verso gli altri, verso coloro che sono soltanto esseri normali, con le loro debolezze e i loro limiti. Chi non è neanche normale verrà emarginato e rifiutato. Quasi la prefigurazione di una selezione della specie per i più ricchi, e per i più cinici. Nel frattempo, la coscienza si assopisce, si stemperano i valori che la ispirano e la arricchiscono, si accetta tutto ciò che la tecnica realizza giorno dopo giorno, si perde il senso di sé e della preziosità della vita. È la fine non soltanto delle concezioni religiose e trascendenti, ma di quell'umanesimo che pure ha animato e sorretto tante cose buone della modernità. Sta qui, forse, il problema vero della nostra epoca. Nell'accettare la realtà materiale e i suoi sviluppi come padrona nostra e della nostra coscienza. E nell'ascoltare quasi indifferenti le voci che si richiamano ai valori più alti, come fossero voci tra le altre voci, senza che esista più un metro di giudizio, un criterio di valutazione, una vera possibilità di scelta. C'è, invece, un'alternativa capace di smuovere il clima d'inerzia nel quale siamo immersi e di suscitare l'impegno di uomini e donne. È quella, come altre volte nella storia, di tornare a mettere al centro delle scelte culturali, di quelle legislative, la persona nella sua unicità e irripetibilità e di sostenere l a vita in tutte le sue manifestazioni come qualcosa di prezioso e di insostituibile. Si tratta di una alternativa che supera la contingenza e la quotidianità ma chiama in causa la religione, la cultura, la politica, perché riguarda tutti e investe il futuro della modernità.