23 febbraio 2006

pena di morte in crisi

Due semplici medici mettono in crisi il sistema Usa
Se il no alla forca monta dal basso

Giorgio Ferrari (da l'Avvenire del 23-2-2006)

Il caso di Michael Angelo Morales - il quarantaseienne condannato alla pena di morte nel 1983 per lo stupro e l'omicidio di un ragazzo di 17 anni - rischia di lasciare la una profonda e forse definitiva impronta nella storia sociale americana, come quello di Rosa Park, la donna di colore che si ribellò al segregazionismo dell'Alabama, o il caso di Ernesto Miranda, che impose alle forze dell'ordine l'obbligo di informare l'arrestato dei propri diritti al momento stesso dell'arresto.
L'esecuzione di Morales - rinchiuso nel braccio della morte del carcere di San Quentin in California e in attesa dell'iniezione letale che avrebbe posto fine alla sua vita - è stata, come si sa, sospesa per un'obiezione di coscienza: il rifiuto da parte di due anestesisti nominati dal giudice federale di somministrargli il famigerato cocktail di droghe mortali.
Il fatto in sé ha connotati quasi rivoluzionari. Deontologici, innanzitutto, ma non è questa la vera sorpresa, in quanto il giuramento di Ippocrate cui moralmente sottostà qualunque medico già di per sé escluderebbe un intervento destinato a provocare la morte volontaria di un essere umano.
Il dato più sorprendente - e certamente di incommensurabile spessore etico - risiede nel fatto che non sono state le processioni di abolizionisti con il loro carosello di fiaccole e di cartelli a fermare quell'esecuzione, né una tardiva grazia concessa dal governatore (anzi, Arnold Schwarzenegger l'ha negata anche questa volta) e neppure la supplica di questa o quella consorteria religiosa. La rivoluzione - se così vogliamo continuare a chiamarla - è venuta dal basso, da due semplici medical doctors convocati dal giudice distrettuale, che si sono chiamati fuori. O - per dirla con l'eroe di Herman Melville, forse il più amato degli scrittori americani - hanno proclamato un elementare: «Preferirei di no», la mite e insieme granitica frase che lo scrivano Bartleby pronuncia per rifiutare ciò che è inumano, indignitoso, irragionevole.
Ed è di questa scintilla che viene dal basso - come dal basso del resto proviene ogni sussulto evolutivo della società americana, a differenza di quella europea, dove a guidare i cambiamenti sono sempre state le élites - che ci pare di doverci per un istante compiacere. Una scintilla che non cancella il delitto efferato commesso dal detenuto reo confesso Morales né le conseguenze tragiche che ne sono discese per i congiunti delle sue vittime, ma si pone come un cuneo nel cuore del sistema giuridico statunitense, in bilico fra una Costituzione che al suo ottavo emendamento vieta i trattamenti crudeli e inumani (e l'iniezione letale tende a essere considerata dolorosamente inumana da ben prima del caso Morales) e un ordinamento giudiziario che contempla la pena di morte in 38 Stati su 50.
Negli ultimi anni la Corte Suprema americana ha ridotto considerevolmente le circostanze di condanna: i minorati mentali, i minori di 18 anni al momento del reato non possono essere giustiziati. Nello stesso tempo però gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione per l'abolizione della pena di morte approvata dalla Commissione Onu per i Diritti Umani il 20 aprile 2005. Come si vede, la strada da percorrere è ancora lunga. Ma il cuneo ormai c'è.

Nessun commento:

Posta un commento