28 febbraio 2006

Buona Quaresima!

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
PER LA XXI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ
(9 APRILE 2006)

"Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino"
(Sal 118[119], 105)

Cari giovani!

Nel rivolgermi con gioia a voi che state preparandovi alla XXI Giornata Mondiale della Gioventù, rivivo nel mio animo il ricordo delle arricchenti esperienze fatte nell’agosto dello scorso anno in Germania. La Giornata di quest’anno verrà celebrata nelle diverse Chiese locali e sarà un’occasione opportuna per ravvivare la fiamma di entusiasmo accesa a Colonia e che molti di voi hanno portato nelle proprie famiglie, parrocchie, associazioni e movimenti. Sarà al tempo stesso un momento privilegiato per coinvolgere tanti vostri amici nel pellegrinaggio spirituale delle nuove generazioni verso Cristo.

Il tema che propongo alla vostra considerazione è un versetto del Salmo 118 [119]: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (v. 105). L’amato Giovanni Paolo II ha commentato così queste parole del Salmo: "L’orante si effonde nella lode della Legge di Dio, che egli adotta come lampada per i suoi passi nel cammino spesso oscuro della vita" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV/2, 2001, p. 715). Dio si rivela nella storia, parla agli uomini e la sua parola è creatrice. In effetti, il concetto ebraico "dabar", abitualmente tradotto con il termine "parola", sta a significare tanto parola che atto. Dio dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione di una "nuova" alleanza; nel Verbo fatto carne Egli compie le sue promesse. Lo evidenzia bene anche il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella" (n. 65). Lo Spirito Santo, che ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, apre il cuore dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto. Lo stesso Spirito è attivamente presente nella Celebrazione eucaristica quando il sacerdote, pronunciando "in persona Christi" le parole della consacrazione, converte il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, perché siano nutrimento spirituale dei fedeli. Per avanzare nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste, abbiamo tutti bisogno di nutrirci della parola e del pane di Vita eterna, inseparabili tra loro!

Gli Apostoli hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso custodito nel sicuro scrigno della Chiesa: senza la Chiesa questa perla rischia di perdersi o di frantumarsi. Cari giovani, amate la parola di Dio e amate la Chiesa, che vi permette di accedere a un tesoro di così alto valore introducendovi ad apprezzarne la ricchezza. Amate e seguite la Chiesa, che ha ricevuto dal suo Fondatore la missione di indicare agli uomini il cammino della vera felicità. Non è facile riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi "libero", a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti. E’ urgente "liberare la libertà" (cfr Enciclica Veritatis splendor, 86), rischiarare l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando. Gesù ha indicato come ciò possa avvenire: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 31-32). Il Verbo incarnato, Parola di Verità, ci rende liberi e dirige la nostra libertà verso il bene. Cari giovani, meditate spesso la parola di Dio, e lasciate che lo Spirito Santo sia il vostro maestro. Scoprirete allora che i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; sarete portati a contemplare il vero Dio e a leggere gli avvenimenti della storia con i suoi occhi; gusterete in pienezza la gioia che nasce dalla verità. Sul cammino della vita, non facile né privo di insidie, potrete incontrare difficoltà e sofferenze e a volte sarete tentati di esclamare con il Salmista: "Sono stanco di soffrire" (Sal 118 [119], v. 107). Non dimenticate di aggiungere insieme con lui: "Signore, dammi vita secondo la tua parola... La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge" (ibid., vv. 107.109). La presenza amorevole di Dio, attraverso la sua parola, è lampada che dissipa le tenebre della paura e rischiara il cammino anche nei momenti più difficili.

Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (4,12). Occorre prendere sul serio l’esortazione a considerare la parola di Dio come un’"arma" indispensabile nella lotta spirituale; essa agisce efficacemente e porta frutto se impariamo ad ascoltarla, per poi obbedire ad essa. Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Obbedire (ob-audire) nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la Verità stessa" (n. 144). Se Abramo è il modello di questo ascolto che è obbedienza, Salomone si rivela a sua volta un ricercatore appassionato della sapienza racchiusa nella Parola. Quando Dio gli propone: "Chiedimi ciò che io devo concederti", il saggio re risponde: "Concedi al tuo servo un cuore docile" (1 Re 3,5.9). Il segreto per avere "un cuore docile" è di formarsi un cuore capace di ascoltare. Ciò si ottiene meditando senza sosta la parola di Dio e restandovi radicati, mediante l’impegno di conoscerla sempre meglio.

Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire. Leggendola, imparerete a conoscere Cristo. Osserva in proposito San Girolamo: "L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo" (PL 24,17; cfr Dei Verbum, 25). Una via ben collaudata per approfondire e gustare la parola di Dio è la lectio divina, che costituisce un vero e proprio itinerario spirituale a tappe. Dalla lectio, che consiste nel leggere e rileggere un passaggio della Sacra Scrittura cogliendone gli elementi principali, si passa alla meditatio, che è come una sosta interiore, in cui l’anima si volge a Dio cercando di capire quello che la sua parola dice oggi per la vita concreta. Segue poi l’oratio, che ci fa intrattenere con Dio nel colloquio diretto, e si giunge infine alla contemplatio, che ci aiuta a mantenere il cuore attento alla presenza di Cristo, la cui parola è "lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2 Pt 1,19). La lettura, lo studio e la meditazione della Parola devono poi sfociare in una vita di coerente adesione a Cristo ed ai suoi insegnamenti.

Avverte San Giacomo: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla" (1,22-25). Chi ascolta la parola di Dio e ad essa fa costante riferimento poggia la propria esistenza su un saldo fondamento. "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica – dice Gesù - è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7,24): non cederà alle intemperie.

Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev’essere il vostro programma! E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo. Questo vi chiede il Signore, a questo vi invita la Chiesa, questo il mondo - anche senza saperlo - attende da voi! E se Gesù vi chiama, non abbiate paura di rispondergli con generosità, specialmente quando vi propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Non abbiate paura; fidatevi di Lui e non resterete delusi.

Cari amici, con la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo il prossimo 9 aprile, Domenica delle Palme, intraprenderemo un ideale pellegrinaggio verso l’incontro mondiale dei giovani, che avrà luogo a Sydney nel luglio 2008. Ci prepareremo a questo grande appuntamento riflettendo insieme sul tema Lo Spirito Santo e la missione, attraverso tappe successive. Quest’anno l’attenzione si concentrerà sullo Spirito Santo, Spirito di verità, che ci rivela Cristo, il Verbo fatto carne, aprendo il cuore di ciascuno alla Parola di salvezza, che conduce alla Verità tutta intera. L’anno prossimo, 2007, mediteremo su un versetto del Vangelo di Giovanni: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (13,34) e scopriremo ancor più a fondo come lo Spirito Santo sia Spirito d’amore, che infonde in noi la carità divina e ci rende sensibili ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Giungeremo, infine, all’incontro mondiale del 2008, che avrà per tema: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8).

Sin d’ora, in un clima di incessante ascolto della parola di Dio, invocate, cari giovani, lo Spirito Santo, Spirito di fortezza e di testimonianza, perché vi renda capaci di proclamare senza timore il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Maria, presente nel Cenacolo con gli Apostoli in attesa della Pentecoste, vi sia madre e guida. Vi insegni ad accogliere la parola di Dio, a conservarla e a meditarla nel vostro cuore (cfr Lc 2,19) come Lei ha fatto durante tutta la vita. Vi incoraggi a dire il vostro "sì" al Signore, vivendo l’"obbedienza della fede". Vi aiuti a restare saldi nella fede, costanti nella speranza, perseveranti nella carità, sempre docili alla parola di Dio. Io vi accompagno con la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.

Dal Vaticano, 22 Febbraio 2006, Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo.

BENEDICTUS PP. XVI


...mi verrebbe da dire solo GRAZIE! Grazie al Signore che mi ha dato di leggere questo messaggio proprio in questo momento, in cui non sto tanto bene... ho davvero bisogno di attaccarmi con tutta la forza che ho alla Parola di Dio! beh... sono ancora in lacrime ... mi ha davvero colpito profondamente questo messaggio... (n.b.: le parti in grassetto sono quelle che mi hanno colpito e emozionato di più...)...


NON ABBIATE PAURA! CRISTO E' DAVVERO RISORTO!!!

BUONA QUARESIMA A TUTTI!!!

W l'Africa

C'è un apporto che il continente nero può dare al resto del mondo La sua cultura, i valori e perfino i ritardi: un pamphlet lancia la sfida
L'Occidente ha bisogno dell'Africa

Di Anne-Cécile Robert (da l'Avvenire del 28-2-2006)

«Il bene più grande che l'Africa può offrire alla nostra comune umanità nell'angoscia è il suo grande ritardo, quello stesso ritardo che manca all'Occidente industriale per divenire umano», afferma il politologo Boubou Hama. Infatti, fatte le debite proporzioni - e usando un paragone volutamente provocatore -, i superdotati si annoiano finché non si riconosce il loro talento! Più semplicemente, questo famigerato «ritardo» attribuito al continente nero - con maggiore o minore degnazione - esiste solo se si aderisce all'idea che l'Africa debba seguire la stessa via dei Paesi occidentali. Al di là dell'incredibile arroganza che consiste nel pensare che il capitalismo occidentale sia la forma più avanzata della storia e l'espressione più compiuta della ragione umana, le difficoltà economiche, sanitarie e sociali incontrate dall'Africa invalidano questa idea comunemente diffusa. Difatti, se si dà prova di un po' di apertura mentale nei confronti della storia e delle società africane, il fallimento dello sviluppo in Africa e il disastro dell'adeguamento strutturale non sono più allora la manifestazione di una debolezza del continente, bensì di un rifiuto del modello economico e sociale dominante. Il «ritardo» sembra così l'espressione di un altro modo di concepire i rapporti umani e la distribuzione delle ricchezze.
La resistenza dell'Africa ci ricorda allora questa libertà fondamentale in pericolo: poter costruire liberamente il proprio destino. Questa irriducibile originalità (oltre a essere probabilmente un fattore più realistico di uscita dalla crisi, per un continente in difficoltà) ci riporta al modo in cui pensiamo i rapporti internazionali e la padronanza globale dei grandi equilibri del pianeta. Malgrado i discorsi «politicamente corretti», la possibilità di essere diversi regredisce. Si ha il diritto di essere «diversi» unicamente se ciò non infastidisce, oppure a fortiori conferma, il sistema. Lo mostra l'ostinazione con cui, per esempio, si relegano gli afr icani di talento nel campo artistico - nel quale eccellono, del resto -, negando loro ogni altra possibilità di apporto intellettuale. Tutto è incredibilmente impostato, preconfezionato, e il diritto di allontanarsi dai sentieri tracciati dagli organismi internazionali è pagato a caro prezzo, in quanto si è messi al bando rispetto all'ordine mondiale, oppure si subiscono sanzioni economiche.
Vengono chiamati «demagoghi» coloro che vogliono preservare spazi di controllo pubblico o i diritti sociali; tutte le politiche che si allontanano dalla doxa liberista vengono definite irrealistiche, con un'arroganza tanto vertiginosa quanto i danni causati da queste politiche ovunque nel mondo, nel Nord come nel Sud, e in particolare in Africa. Attraverso le sue tradizioni, la sua effervescenza e la sua creatività contemporanee, attraverso il rapporto di dominazione esemplare in cui si trova, il continente nero sembra il simbolo di questa diversità messa in pericolo dal capitalismo mondializzato.
Il pianeta non può funzionare in modo ragionevole se una parte di esso tace e subisce. Il mondo ha bisogno dell'Africa perché ha bisogno di essere intero. Inoltre il continente nero, attraverso i suoi valori, attraverso una forma di saggezza che appartiene solo ad esso, e attraverso le sue pratiche sociali, apre orizzonti nuovi in un momento in cui il modello capitalistico mondializzato cumula i danni e assoggetta i popoli. L'Africa contribuisce già, ma passivamente e senza approfittarne, a oliare gli ingranaggi della mondializzazione, offrendo per esempio le sue immense ricchezze. Ma è sul piano spirituale e in termini di civiltà che essa potrebbe svolgere un ruolo realmente alla sua altezza, poiché l'umanità - mondializzata di forza - si inaridisce e distrugge il suo patrimonio. Come riassume opportunamente il cineasta senegalese Moussa Sene Absa: «L'Africa è il serbatoio dei valori futuri».
Gli africani hanno certamente qualche conto da regolare con loro stessi e in particolare con le loro élite, che contribuiscono a questo assordante silenzio di civiltà. È la loro storia. Rivendicare l'umano che è africano e mostrare il contributo dell'Africa all'universale - ecco una posta in gioco sottolineata dal Forum sociale africano. Infatti si può andare incontro agli altri solo se si ha in qualche misura il senso della propria identità.
L'Africa dovrebbe avere più fiducia in se stessa, mentre l'Occidente "predatore" dovrebbe fare meglio i suoi conti. La vera cooperazione è altrove e implica che l'Occidente stesso accetti di essere aiutato. Per Serge Latouche, questo principio è indubbio: «Accettando di sollecitare i consigli dell'Africa, elemosinando la sua assistenza (...) testimonieremmo che la via che gli esclusi delle periferie del Terzo Mondo hanno cominciato ad adottare costituisce una soluzione molto rispettabile alle aporie della modernità; e che a dispetto della vistosità delle nostre cianfrusaglie, non abbiamo da offrire loro un equivalente in termini di calore umano e di senso. Se potessimo, forse baratteremmo la nostra povertà con la loro ricchezza. Per fare questo, invece di esportare il nostro immaginario materialistico, economicistico e tecnicistico, occorrerebbe iniziare a decolonizzarlo».
In questa ricerca che si svolge come una lotta contro il tempo, il continente nero ha da dire la sua, per se stesso e per tutti, in quanto esprime un'innegabile differenza e una capacità di resistenza auspicabilmente duratura. Né afro-pessimista, né afro-ottimista, ma afro-incondizionato. Non si tratta di addossare all'Africa il peso di un nuovo messianismo, ma di battersi per ciò che mette in gioco la sopravvivenza di tutti noi in quanto specie, ossia la possibilità di essere liberamente, e se possibile su registri diversi, suonando ciascuno lo spartito che ha scelto.

24 febbraio 2006

persecuzioni

Nel rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre, l’inquietante documentazione delle discriminazioni contro i cristiani. Violenze e vessazioni in Cina e nei Paesi islamici, assassini di religiosi in Sudamerica. E l’insidia di nichilismo e laicismo in Occidente
La Croce nel mirino delle intolleranze
«Quello che abbiamo raccontato rappresenta soltanto la punta dell’iceberg». Ogni anno si risponde a settemila richieste di aiuto

Da Parigi Daniele Zappalà (da l'Avvenire del 24-2-2006)

Il martirio di don Andrea Santoro in Turchia e le violenze anticristiane degli ultimissimi giorni non vengono citati. Ma non è certamente una distrazione di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), l'associazione pubblica universale della Chiesa cattolica sotto il cui emblema è stato presentato ieri a Parigi l'inquietante rapporto annuale «Persecuzioni anticristiane nel mondo». Semmai, si tratta dell'ennesima riprova che i libri cartacei debbono andare prima o poi in stampa, mentre il libro reale delle persecuzioni continua ad allungarsi ogni giorno per effetto della violenza e dell'odio che ai quattro angoli del globo non risparmiano i testimoni del Vangelo.
Il rapporto di Acs cerca di offrire un'istantanea di quanto è avvenuto nel 2005 nei vari continenti, con la doverosa premessa che quanto viene riportato «rappresenta solo la punta dell'iceberg, probabilmente solo l'1% o ancora meno del totale delle violenze fisiche, o di quelle intangibili ma non per questo meno insidiose contro i cristiani», sottolinea Thomas Grimaux, il curatore francese del volume.
Ma già solo la punta dell'iceberg appare terrificante, tanto le persecuzioni sono diffuse e diverse nelle loro forme: dagli assassini di religiosi soprattutto in Paesi come la Colombia, il Brasile, il Kenya, la Repubblica democratica del Congo o l'India, fino alle profanazioni di luoghi sacri che si moltiplicano oggi nel cuore dell'Europa e dell'Occidente. Accanto alle persecuzioni sanguinose o dall'immediato effetto distruttivo, il rapporto sottolinea anche quelle «subdole» che aggrediscono quotidianamente, talora con un'evidente volontà di stritolamento, la libertà di professarsi cristiani. Entrano in gioco, così, forme di discriminazione a livello amministrativo, fiscale, giuridico o sociale. A Khartum, nel Sudan islamista, un cristiano può trovarsi di fronte a brutali diktat intimidatori del tipo «rinnega la tua fede e avrai questo lavoro». In Pakistan, i battezzati possono venire stigmatizzati ed esclu si dalla ristretta cerchia familiare. Per i missionari il rilascio di un visto d'ingresso può diventare un'impresa in molti Paesi. Ma anche in quegli Stati che teoricamente garantiscono a tutti nella propria Costituzione e nel proprio funzionamento ordinario la libertà religiosa, i cristiani e i simboli della fede cristiana possono lo stesso divenire il capro espiatorio di gruppi settari votati a una cultura della morte, di amministrazioni pervase da un laicismo aggressivo, di forme di vilipendio mediatico tollerate con crescente leggerezza dai poteri pubblici. Si va dai crocifissi rimossi in Germania negli uffici locali in cui si insediano amministratori "allergici" alla fede, ai raid di gruppi satanici contro chiese e cimiteri, in crescita ad esempio in Francia e in altri Paesi europei.
Fra gli Stati dove professarsi cristiani rappresenta un rischio mortale - tanto la libertà di culto è di fatto inesistente - compaiono la Cina comunista, il «buco nero» Corea del Nord e quel Vietnam dove i numerosi cattolici (7% della popolazione) sono «molto sorvegliati» e «minacce ed attacchi provenienti da una parte del clero buddista sono regolarmente denunciati». Analogo discorso per Paesi o aree dove i cristiani vivono costantemente sotto la spada di Damocle del fondamentalismo islamico, soprattutto fuori dal tessuto urbano: dall'Afghanistan a quel piccolo angolo teoricamente dell'Unione europea che è il Nord di Cipro occupato di fatto dalle truppe turche; dalla Penisola arabica fino alle vaste aree settentrionali della Nigeria da anni costantemente nel sangue - fino alle spaventose violenze in corso anche in queste ore - dove i governatori locali cercano di imporre la legge coranica anche ai non musulmani, in flagrante violazione della Costituzione federale.
Islamismo, comunismo, fanatismo indù e buddista in Asia ma anche le nuove metamorfosi del nichilismo nelle società «avanzate» rappresentano secondo il rapporto i quattro grandi poli da cui giungono le principal i minacce verso la Chiesa. In zone dove le croci erette spesso in tempi anche remoti di armonia e tolleranza interreligiosa, vengono oggi brutalmente strappate e abbattute. E si ritrovano da sole a terra come quella, fotografata in un cimitero profanato del Kosovo, che fa da copertina al rapporto.
Nel 2005, la barbara uccisione di 25 religiosi - fra cui tre italiani, monsignor Luigi Locati, l'abate Giuseppe Bessone e padre Angelo Redaelli - ha drammaticamente allungato lo stesso martirologio a cui è appena venuto ad aggiungersi il nome di don Andrea. La Mongolia, Taiwan o il Mali rappresentano alcuni degli esempi positivi citati nel rapporto che mostrano come l'intolleranza verso le minoranze cristiane anche più esigue possa essere sempre evitata, se esiste la volontà di farlo. Ma l'Acs, fondata alla fine della Seconda guerra mondiale dal monaco tedesco Werenfried van Straaten, risponde ogni anno a circa 7 mila richieste di aiuto di cristiani in pericolo in tutto il mondo. Anche più vicino di quanto spesso si creda, «gli atti di persecuzione sanguinosi o subdoli sono in aumento e rischiano di crescere ancora, se non saremo vigilanti», ha sostenuto ieri Grimaux con le sue tristi cifre in mano.

23 febbraio 2006

pena di morte in crisi

Due semplici medici mettono in crisi il sistema Usa
Se il no alla forca monta dal basso

Giorgio Ferrari (da l'Avvenire del 23-2-2006)

Il caso di Michael Angelo Morales - il quarantaseienne condannato alla pena di morte nel 1983 per lo stupro e l'omicidio di un ragazzo di 17 anni - rischia di lasciare la una profonda e forse definitiva impronta nella storia sociale americana, come quello di Rosa Park, la donna di colore che si ribellò al segregazionismo dell'Alabama, o il caso di Ernesto Miranda, che impose alle forze dell'ordine l'obbligo di informare l'arrestato dei propri diritti al momento stesso dell'arresto.
L'esecuzione di Morales - rinchiuso nel braccio della morte del carcere di San Quentin in California e in attesa dell'iniezione letale che avrebbe posto fine alla sua vita - è stata, come si sa, sospesa per un'obiezione di coscienza: il rifiuto da parte di due anestesisti nominati dal giudice federale di somministrargli il famigerato cocktail di droghe mortali.
Il fatto in sé ha connotati quasi rivoluzionari. Deontologici, innanzitutto, ma non è questa la vera sorpresa, in quanto il giuramento di Ippocrate cui moralmente sottostà qualunque medico già di per sé escluderebbe un intervento destinato a provocare la morte volontaria di un essere umano.
Il dato più sorprendente - e certamente di incommensurabile spessore etico - risiede nel fatto che non sono state le processioni di abolizionisti con il loro carosello di fiaccole e di cartelli a fermare quell'esecuzione, né una tardiva grazia concessa dal governatore (anzi, Arnold Schwarzenegger l'ha negata anche questa volta) e neppure la supplica di questa o quella consorteria religiosa. La rivoluzione - se così vogliamo continuare a chiamarla - è venuta dal basso, da due semplici medical doctors convocati dal giudice distrettuale, che si sono chiamati fuori. O - per dirla con l'eroe di Herman Melville, forse il più amato degli scrittori americani - hanno proclamato un elementare: «Preferirei di no», la mite e insieme granitica frase che lo scrivano Bartleby pronuncia per rifiutare ciò che è inumano, indignitoso, irragionevole.
Ed è di questa scintilla che viene dal basso - come dal basso del resto proviene ogni sussulto evolutivo della società americana, a differenza di quella europea, dove a guidare i cambiamenti sono sempre state le élites - che ci pare di doverci per un istante compiacere. Una scintilla che non cancella il delitto efferato commesso dal detenuto reo confesso Morales né le conseguenze tragiche che ne sono discese per i congiunti delle sue vittime, ma si pone come un cuneo nel cuore del sistema giuridico statunitense, in bilico fra una Costituzione che al suo ottavo emendamento vieta i trattamenti crudeli e inumani (e l'iniezione letale tende a essere considerata dolorosamente inumana da ben prima del caso Morales) e un ordinamento giudiziario che contempla la pena di morte in 38 Stati su 50.
Negli ultimi anni la Corte Suprema americana ha ridotto considerevolmente le circostanze di condanna: i minorati mentali, i minori di 18 anni al momento del reato non possono essere giustiziati. Nello stesso tempo però gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione per l'abolizione della pena di morte approvata dalla Commissione Onu per i Diritti Umani il 20 aprile 2005. Come si vede, la strada da percorrere è ancora lunga. Ma il cuneo ormai c'è.

speriamo bene...

VIAGGIO CUPO E INQUIETANTE
HAMAS IN TRASFERTA A TEHERAN

Vittorio E. Parsi (da l'Avvenire del 22-2-2006)

Il capo dell'ufficio politico di Hamas vola da Gaza a Teheran, e con questo volo evoca purtroppo il più cupo degli scenari ipotizzati dagli analisti, ovvero il passaggio a un'alleanza organica fra l'Iran degli ayatollah e l'Autorità nazionale palestinese guidata da Hamas. Ufficialmente la delegazione palestinese era in Iran alla ricerca di quei finanziamenti che Europa e Stati Uniti hanno sospeso fino a quando Hamas non dichiarerà di rinunciare al terrorismo e di accettare il diritto all'esistenza dello Stato di Israele. Qualcuno si affannerà a dire che, considerato il congelamento dei fondi deciso da gran parte della comunità internazionale, la mossa palestinese non deve essere eccessivamente «drammatizzata». Oltretutto, altri Paesi arabi hanno già promesso sostegno finanziario all'Anp (a partire dai sauditi).
È una spiegazione formalmente ineccepibile, ma non troppo rassicurante. Perché ciò che è sostanzialmente ineccepibile, e assai più inquietante, è che l'obiettivo a cui Hamas non intende per ora rinunciare - cioè distruggere Israele - sia lo stesso sbandierato ai quattro venti dal presidente iraniano Ahmadinejad, che ha fatto dell'antisemitismo, per altro assai diffuso nel mondo musulmano, il suo cavallo di battaglia, arrivando a promuovere un convegno internazionale che «sbugiardi l'impostura dell'olocausto». Ironia della sorte: uno storico inglese, David Irving, è appena stato condannato a tre anni da un tribunale austriaco per aver negato la realtà storica dell'olocausto.
Conosciamo già il ritornello di quanti preferiscono descrivere il mondo come più gli aggrada, o come più gli conviene (magari per non compromettere i propri affari petroliferi o metaniferi): le parole di Ahmadinejad sono dichiarazioni a uso interno, frutto della retorica estremis ta di un ex capo pasdaran, eletto sulla base di un programma populista. Sarà. Ma si dicevano le stesse cose dei proclami sulla militarizzazione della Renania e sulle necessità di un Lebensraum (spazio vitale), lanciati da un improbabile caporale austriaco, improvvisamente divenuto cancelliere del Reich. Intanto l'Iran va avanti nel suo programma nucleare, che la comunità internazionale nel suo complesso ritiene illegale, e che Europa, Stati Uniti e Israele (cioè il Paese nel mirino sia di Hamas sia dell'Iran) sospettano in realtà indirizzato all'obiettivo di dotarsi dell'arma atomica.
Sotto il profilo geopolitico, oggi forse non c'è nulla di peggio che la saldatura tra le secche del Mediterraneo orientale e del Golfo Persico. Per Israele la prospettiva di una protesi dell'Iran ai suoi confini costituirebbe una minaccia drammatica, che potrebbe innescare una strategia della tensione dagli esiti imprevedibili. Per la comunità internazionale è inaccettabile la prospettiva che la pressione finanziaria che cerca di esercitare su Hamas, affinché il processo di pace possa avere ancora una speranza, venga vanificata proprio grazie allo Stato, l'Iran, che la sfida apertamente su uno dei pochi principi (la non proliferazione nucleare) che ancora sono considerati «non trattabili». Che tutto ciò prenda poi corpo sullo sfondo della radicalizzazione estrema di queste settimane, non solo rende più difficile la composizione degli interessi in gioco, ma soprattutto rende meno percorribili le strade tortuose della pacificazione di un'area strategica come quella mediorentale.

22 febbraio 2006

Picchiano solo su Gesù

PICCHIANO SOLO SU GESU’

Antonio Socci

Le vignette della discordia. Fra un fanatisnmo islamico violento e intollerante (innanzitutto con i cristiani) e una cultura europea cinica e ridanciana (anch’essa violenta con i cattolici), lo stupore per la tenerezza di Maria e l’irrompere del “miracolo”….

Dalla prima pagina dell’Unità, Sergio Staino e Adriano Sofri lanciano un appello perché i giornali europei, per difendere la libertà di stampa sotto attacco, pubblichino tutti insieme in prima pagina le vignette che hanno scatenato le ire dei musulmani. Però l’Unità non le pubblica, se non una sola, innocua, nella remota pagina 11, tratta da Le Monde. Insomma l’Unità lancia l’ appello agli altri, ma è come dire “Armiamoci e partite”. I cuor di leone per ora tentennano.

Eppure quello di Staino e Sofri è un vibrante allarme: denunciano il “mostruoso attacco oscurantista” (che esagerati, quando l’integralismo islamico ha massacrato 2 milioni di cristiani e animisti in Sudan non era un attacco più mostruoso? Eppure nessun appello e nessuna denuncia dagli intellettuali progressisti). Poi Sofri e Staino affermano che è in gioco “la libertà di opinione e di espressione dei popoli europei” e occorre “dimostrare ai seguaci dell’oscurantismo più reazionario che non siamo disposti a cedere le nostre convinzioni democratiche di fronte a nessuna minaccia”.

Questo è giusto. Ma ci si sarebbe aspettati che pubblicando in prima pagina parole così altisonanti l’Unità facesse seguire sulla stessa pagina la pubblicazione delle vignette. Macché. Non dobbiamo forse difendere “le nostre convinzioni democratiche” di fronte alle “minacce”? Come si spiega la timidezza dell’Unità e degli altri giornali di solito sempre così dissacratori, sempre a menare il torrone con Voltaire e con la laicità, contro il clericalismo e la Chiesa? Semplice. Sulla Chiesa si può sputazzare a piacimento, è come menare uno con le mani legate, ma sugli imam neanche per idea. Leggo che proprio in questi giorni a Firenze (la città di Staino e Sofri) i collettivi della Sinistra studentesca della facoltà di Lettere hanno lanciato, al “bar autogestito”, una “grande” iniziativa culturale su “Pacs, Chiesa e legge 194. Pare che il programma preveda: “Aperitivo anticlericale, musica blasfema e bestemmia libera”. Sarebbero gli stessi, secondo i giornali, che a Natale affissero su un muro una bestemmia contro Gesù bambino (e si segnalano altre analoghe iniziative “illuminate”).

Naturalmente anche questi signorini, che si sentono paladini della laicità, si guardano bene dall’andare a fare cose analoghe in un paese islamico o nei quartieri di immigrazione musulmana delle nostre città. Loro picchiano solo sui cristiani che non minacciano nessuna laicità e che sono non-violenti. Del resto, negli anni Settanta, i compagni in branco addirittura sprangavano i “porci ciellini” nelle scuole e nelle università. Sanno da sempre che picchiare sui preti e i cattolici (far vignette su Gesù Cristo e la Madonna) è come menare un bambino, perché neanche si difendono. Per questo i giornali laici e “de Sinistra” ci danno dentro, con piacere. E’ il conformismo di oggi. Come in Alabama ridacchiare dei negri al saloon. Ma con gli islamici tutta la vena provocatoria e dissacratrice sparisce. Tutto lo zelo per la laicità dello Stato è divorato dalla strizza. I laici e “de sinistra” se la fanno sotto davanti ai fratelli musulmani. Tutti ricordano la fine che ha fatto il povero Theo Van Gogh e nessuno vuol fare l’eroe. Sugli eroi veri, come Fabrizio Quattrocchi, lorsignori intellettuali e politici ironizzano o storcono il naso tenendo bene il culo al caldo in Italia. Certo c’è sempre il “teorema Vauro” secondo cui la rabbia degli islamici è da giustificare perché avrebbero subito gravi torti dall’America. Però fa acqua da tutte le parti perché i primi a insorgere sono stati i sauditi (proprio il regime alleato degli Usa, quello che proibisce ai cristiani perfino di portare il crocifisso al collo perché sarebbe blasfemo). E fa acqua anche perché le masse islamiche se la sono presa con l’Europa filo-islamica e anti-americana e non con Bush. Infine perché il “teorema Vauro” dice l’opposto del teorema (anch’esso di sinistra) di Staino e Sofri secondo i quali “se lasciamo passare questa feroce macchinazione senza una risposta forte rischiamo che, un domani molto prossimo, la stessa cosa possa accadere a qualunque altro giornalista, sia esso disegnatore o inviato o editorialista eccetera”.

Mi sembra un ragionamento giusto. Se l’Europa se la farà sotto oggi, domani che i musulmani presenti nei nostri Paese saranno di più – per evitare aggressioni e reazioni – ci sentiremo costretti anche a bandire la Divina Commedia (dove Maometto è rappresentato in modo molto duro) e magari gli affreschi che riempiono l’Italia. Del resto tutto il mondo islamico è arroventato di rabbia contro vignette che nessuno di loro ha neanche visto perché è proibito riprodurle. Il dolore di chi si sente offeso, nei suoi sentimenti religiosi, da quelle vignette, è da rispettare (se è non violento). Ma ormai mi sembra che vada in scena il rancore del fanatismo e dell’ideologia. Ora anche l’Europa – di solito così anti-israeliana e filopalestinese – può sperimentare che significa avere a che fare con questa bella gente sbraitante e scatenata. Ora dovrebbe capire come vivono gli israeliani e le minoranze cristiane perseguitate (e sempre snobbate da tutti) in quei regimi islamici. E ora l’Europa laicona dovrebbe anche realizzare da dove viene veramente l’attacco alla laicità dello Stato e ai diritti civili. Il caso ha voluto che lo scandalo scoppiasse proprio il 2 febbraio che è l’anniversario della prima lacrimazione di sangue della Madonnina di Civitavecchia, avvenuta il 2 febbraio 1995, undici anni fa. Si ricorderà che canizza si scatenò contro quella povera statuina e contro la famiglia Gregori che dovette difendersi addirittura in tribunale. Il settimanale satirico della Sinistra post-comunista, “Cuore”, allora si divertì per molte settimane. La prima settimana titolò sghignazzando: “Miracolo a Sassuolo: una Madonna ride. Un segno di speranza dopo mezzo secolo di lacrime pre-elettorali”. Il 4 marzo un’altra copertina un po’ più greve: “Incredibile! Lacrime di sangue: i periti svelano un’atroce verità. E’ sieropositiva la Madonna di Civitavecchia”. E la settimana dopo: “Miracolo a Terrasini: Sanguina anche un carabiniere” (e qui evito di commentare il riferimento al suicidio del maresciallo Lombardo).

La sinistra laico-ridanciana, abituata a sghignazzare di tutti – ma mai a piangere sulle vergogne e gli orrori della propria storia – non prende neanche in considerazione l’esistenza del Mistero che ha affascinato le menti più geniali della modernità, come Einstein. Eppure il mistero della realtà è immensamente più grande dei nostri pregiudizi, come diceva Shakespeare. E lo si intuisce anche da fatti clamorosi e scientificamente inspiegabili come quello di Civitavecchia sul quale sono appena stati pubblicati i risultati di undici anni di indagini nel libro “Lacrime di sangue” (Sei) e nel volume di Riccardo Caniato, “La Madonna si fa la strada” (Ares).

Le analisi radiografiche hanno permesso di accertare che la statuetta è di gesso pieno, “non sono risultate al suo interno strutture o apparecchiature o cavità, pertanto viene escluso ogni trucco interno”, infine quel sangue “non poteva essere prodotto dal materiale della statua”. E’ egualmente impossibile che qualcuno possa aver artatamente iniettato il liquido dal momento che le lacrimazioni sono state viste iniziare da persone del tutto diverse (a quella avvenuta a casa del vescovo, per esempio, dopo alcuni giorni di conservazione della statua in Curia, non era presente nessuno della famiglia Gregori o di coloro che hanno assistito alle altre lacrimazioni). Oltretutto il sangue delle 14 lacrimazioni, avvenute in luoghi diversi, davanti a persone diverse, appartiene tutto a uno stesso, unico individuo. Chi è quest’uomo misterioso? E come e perché una statua raffigurante la Madonna piange il suo sangue?

Perfino la magistratura che si era messa in moto per denunce e polemiche giornalistiche molto violente, dopo anni di indagini, avendo fatto tutti gli accertamenti del caso (sulla statuetta, sul sangue e sui protagonisti della vicenda) ha infine chiuso la sua inchiesta ammettendo la verità storica degli eventi (il 16 ottobre del 2000 ha cioè archiviato il procedimento relativo al presunto abuso).

Le accesissime polemiche, di sapore pesantemente anticlericale, dei primi giorni, che avevano portato a denunciare l’ “abuso di credulità popolare”, si sono dissolte in seguito, di fronte all’evidente inspiegabilità scientifica di quelle lacrime umane piante da una statuina di gesso. La Commissione insediata dalla diocesi ha interrogato 40 testimoni, “che variano per anni, sesso, condizione sociale, fede religiosa”. Tutti “si sono presentati liberamente e senza alcun interesse personale hanno giurato di dire la verità, hanno dichiarato di aver visto le lacrime formarsi e scendere, quindi in movimento, e che al momento nessuno stava manomettendo la statuina”. Inoltre “i professori Angelo Fiori e Umani Ronchi sono stati anche ascoltati dalla Commissione teologica davanti alla quale hanno ribadito i risultati delle indagini da loro effettuate e consegnate al Vescovo affermando anche la non spiegabilità scientifica del fenomeno”.

Dall’aspra contesa che oggi oppone un Occidente laico, scettico e cinico, a un mondo islamico fanatico e intollerante, la Chiesa resta al di sopra o a margine, silenziosa e stupita dell’evidenza del Mistero che irrompe nella storia e nella nostra vita quotidiana. Con un segno inspiegabile di dolore e di misericordia come a Civitavecchia. Un segno che interroga la ragione e la scienza. Un segno il quale ci rivela che la più esaltante libertà dell’uomo non è sghignazzare, ma riconoscere il Mistero e il Suo amore per noi. La più alta dignità dell’uomo non è ridere , come sembra insegnare Umberto Eco nel “Nome della rosa”, ma amare.

Da "Libero" del 4-2-2006, riportato su www.antoniosocci.it

14 febbraio 2006

Da Colonia

Dal discorso di Benedetto XVI
alla veglia con i giovani a Colonia,
per la Giornata Mondiale della Gioventù

(20 agosto 2005)

I santi, abbiamo detto, sono i veri riformatori. Ora vorrei esprimerlo in modo ancora più radicale: Solo dai santi, solo da Dio viene la vera rivoluzione, il cambiamento decisivo del mondo. Nel secolo appena passato abbiamo vissuto le rivoluzioni, il cui programma comune era di non attendere più l'intervento di Dio, ma di prendere totalmente nelle proprie mani il destino del mondo. E abbiamo visto che, con ciò, sempre un punto di vista umano e parziale veniva preso come misura assoluta d'orientamento. L'assolutizzazione di ciò che non è assoluto ma relativo si chiama totalitarismo. Non libera l'uomo, ma gli toglie la sua dignità e lo schiavizza. Non sono le ideologie che salvano il mondo, ma soltanto il volgersi al Dio vivente, che è il nostro creatore, il garante della nostra libertà, il garante di ciò che è veramente buono e vero. La rivoluzione vera consiste unicamente nel volgersi senza riserve a Dio che è la misura di ciò che è giusto e allo stesso tempo è l'amore eterno. E che cosa mai potrebbe salvarci se non l'amore?

Cari amici! Permettetemi di aggiungere soltanto due brevi pensieri. Sono molti coloro che parlano di Dio; nel nome di Dio si predica anche l'odio e si esercita la violenza. Perciò è importante scoprire il vero volto di Dio. I Magi dell'Oriente l'hanno trovato, quando si sono prostrati davanti al bambino di Betlemme. "Chi ha visto me ha visto il Padre", diceva Gesù a Filippo (Gv 14, 9). In Gesù Cristo, che per noi ha permesso che si trafiggesse il suo cuore, in Lui è comparso il vero volto di Dio. Lo seguiremo insieme con la grande schiera di coloro che ci hanno preceduto. Allora cammineremo sulla via giusta.

Questo significa che non ci costruiamo un Dio privato, non ci costruiamo un Gesù privato, ma che crediamo e ci prostriamo davanti a quel Gesù che ci viene mostrato dalle Sacre Scritture e che nella grande processione dei fedeli chiamata Chiesa si rivela vivente, sempre con noi e al tempo stesso sempre davanti a noi. Si può criticare molto la Chiesa. Noi lo sappiamo, e il Signore stesso ce l'ha detto: essa è una rete con dei pesci buoni e dei pesci cattivi, un campo con il grano e la zizzania. Papa Giovanni Paolo II, che nei tanti beati e santi ci ha mostrato il volto vero della Chiesa, ha anche chiesto perdono per ciò che nel corso della storia, a motivo dell'agire e del parlare di uomini di Chiesa, è avvenuto di male. In tal modo fa vedere anche a noi la nostra vera immagine e ci esorta ad entrare con tutti i nostri difetti e debolezze nella processione dei santi, che con i Magi dell'Oriente ha preso il suo inizio. In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori. La Chiesa è come una famiglia umana, ma è anche allo stesso tempo la grande famiglia di Dio, mediante la quale Egli forma uno spazio di comunione e di unità attraverso tutti i continenti, le culture e le nazioni. Perciò siamo lieti di appartenere a questa grande famiglia che vediamo qui; siamo lieti di avere fratelli e amici in tutto il mondo. Lo sperimentiamo proprio qui a Colonia quanto sia bello appartenere ad una famiglia vasta come il mondo, che comprende il cielo e la terra, il passato, il presente e il futuro e tutte le parti della terra. In questa grande comitiva di pellegrini camminiamo insieme con Cristo, camminiamo con la stella che illumina la storia.

11 febbraio 2006

Per una Quaresima di Pace

MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI
PER LA QUARESIMA 2006

Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9, 36)

Carissimi fratelli e sorelle!

La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua. Anche nella “valle oscura” di cui parla il Salmista (Sal 23,4), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell’opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell’orrore spadroneggi. Come infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c’è un “limite divino imposto al male”, ed è la misericordia (Memoria e identità, 29 ss). È in questa prospettiva che ho voluto porre all’inizio di questo Messaggio l’annotazione evangelica secondo cui “Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione” (Mt 9,36). In questa luce vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo. Anche oggi lo “sguardo” commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il “progetto” divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione.

Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro “sguardo” sull’uomo si misuri su quello di Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore. Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la nostra responsabilità verso i poveri del mondo. Già il mio venerato Predecessore, il Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità. In questo senso nell’Enciclica Populorum progressio egli denunciava “le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall’egoismo… le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall’ingiustizia delle transazioni” (n. 21). Come antidoto a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto “l’accresciuta considerazione della dignità degli altri, l’orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace”, ma anche “il riconoscimento da parte dell’uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine” (ibid.). In questa linea il Papa non esitava a proporre “soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell’uomo, e l’unità nella carità di Cristo” (ibid.). Dunque, lo “sguardo” di Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell’«umanesimo plenario» che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello “sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini” (ibid., n. 42). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell’uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell’annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l’autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell’uomo.

Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell’umanità, l’indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo “sguardo” di Cristo. Il digiuno e l’elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello “sguardo”. Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo. Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all’altro nel quale si esprime la carità. Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guarda come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: “La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo”. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide.

Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di formazione professionale, micro-imprese. Sono iniziative che, molto prima di altre espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per l’uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico. Queste opere indicano una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell’uomo e così conduca alla pace autentica. Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un’importante verifica di questo sforzo sarà l’effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità. In questo sforzo si iscrive pure l’effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell’uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa.

Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all’incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne. Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: “La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l’uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale” (Enc. Redemptoris missio, 11).

È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l’uomo. Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno “sguardo” che ci scruta nel profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi. Esso restituisce la fiducia a quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell’eternità beata. Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l’odio sembra dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore. A Maria, “di speranza fontana vivace” (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12) affido il nostro cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio. A Lei affido in particolare le moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione. Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.

Dal Vaticano, 29 Settembre 2005

BENEDICTUS PP. XVI