28 febbraio 2007

La battaglia della vita

Così il pastore filosofo Ratzinger resiste sulla trincea della difesa dell’umano
Benedetto XVIRoma. Incurante di sarcasmi e anatemi di chi lo vorrebbe, se non proprio silenzioso, quanto meno concentrato innocuamente su asettiche questioni dogmatiche, Papa Benedetto XVI continua a dimostrare che volgere gli occhi al cielo non significa rifiutarsi di vedere ciò che avviene sulla terra. E sulla terra – lo conferma la cronaca quotidiana, proprio in queste ore, tra lo sdoganamento inglese della vendita di ovociti e il “miglioramento” genetico di embrioni – è in atto un tentativo senza precedenti di ridisegnare il senso stesso del termine “umano”.
Se quel tentativo passa nell’indifferenza o nell’inconsapevolezza generale, rubricato sotto il confortante titolo di “progresso scientifico che si autogiustifica in nome della felicità e della salute per tutti”, questo Papa ritiene invece sia suo preciso compito smascherarlo per quello che è. Lo va facendo da tempo, in ogni possibile occasione pubblica. Dei suoi appelli c’è chi si lamenta, come se quel battere reiterato su certi tasti (famiglia, origine, fine e manipolazione della vita, eugenetica) significasse scarsità di altri argomenti. Ma i punti richiamati dal Papa appaiono, a chi ha occhi per vedere, decisivi per il presente e il futuro degli esseri umani. Anche sabato, rivolgendosi ai congressisti chiamati da ogni parte del mondo e dalla Pontificia Accademia Pro Vita a discutere di obiezione di coscienza, il Papa ha ricordato che il diritto alla vita, “fondamentale in ordine agli altri diritti umani”, va difeso contando “su motivazioni che hanno profonde radici nella legge naturale e che possono quindi essere condivise da ogni persona di retta coscienza”.
Non ha paura, il Pontefice, di chiamare a raccolta credenti e non credenti. I suoi argomenti volano alto e non lasciano spazio a piccine dietrologie politicanti. La trincea della difesa dell’umano, al centro della sua azione pastorale, non riguarda solo chi ha fede ma anche, come dice con espressione faticosa ma efficace il filosofo tedesco Jürgen Habermas, tutti coloro che sanno cos’è l’“adeguata autocomprensione etica” del genere umano. Tutti coloro che, cioè, sanno riconoscere l’umano dove si manifesta. Operazione sempre più difficile, perché, dice Ratzinger, “nell’attuale fase della secolarizzazione chiamata post moderna e segnata da discutibili forme di tolleranza, non solo cresce il rifiuto della tradizione cristiana, ma si diffida anche della capacità della ragione di percepire la verità, ci si allontana dal gusto della riflessione. Addirittura, secondo alcuni, la coscienza individuale, per essere libera, dovrebbe disfarsi sia dei riferimenti alle tradizioni, sia di quelli basati sulla ragione”. Il Papa dice che “gli attacchi al diritto alla vita in tutto il mondo si sono estesi e moltiplicati, assumendo anche nuove forme”. Non ci sono solo l’aborto (anche nella variante del “ricorso alla liberalizzazione delle nuove forme di aborto chimico sotto il pretesto della salute riproduttiva”), le “politiche del controllo demografico”, la promozione di “leggi per legalizzare l’eutanasia” e le “spinte per la legalizzazione di convivenze alternative al matrimonio e chiuse alla procreazione naturale”. L’attacco all’umano oggi assume anche la forma della “ricerca biotecnologica più raffinata, per instaurare sottili ed estese metodiche di eugenismo fino alla ricerca ossessiva del ‘figlio perfetto’, con la diffusione della procreazione artificiale e di varie forme di diagnosi tendenti ad assicurarne la selezione. Una nuova ondata di eugenetica discriminatoria trova consensi in nome del presunto benessere degli individui”.


Londra supera ogni confine alla ricerca del “golden embryo”. “E’ la via degli abusi genetici”

Roma. “Riusciranno gli illuminati Bellerofonti a prevalere sulle loro chimere?”, chiedeva qualche anno fa il biologo americano Ward Kischer, guardando alle ultime conquiste della frontiera inglese. La Gran Bretagna è il primo paese europeo ad aver introdutto l’aborto legale, in cui è nata la prima bambina fecondata in vitro e dove la sperimentazione umana progredisce a ritmo faustiano. Patria del pragmatismo scientista che ha dato i natali a Bacone, Galton, Darwin, Malthus e alla dinastia Huxley, l’Inghilterra ha ospitato i primi casi di inseminazione artificiale addirittura negli anni Trenta, seppure clandestinamente. E dal 1973 il servizio di fecondazione artificiale è rimborsato dal governo.
Il governo Blair, assicurano per motivi opposti fautori e detrattori della manipolazione embrionale, accoglierà anche l’ultima iniziativa che giunge dai castelli della genetica anglosassone. Ieri il Daily Telegraph rivelava che sarà forse possibile intervenire su un figlio appena concepito, “migliorandone intelligenza e aspetto”. L’Inghilterra diverrebbe il primo paese al mondo a consentire il “perfezionamento” degli embrioni umani. Ricordiamo che non ha mai aderito al Protocollo del Consiglio d’Europa contro la clonazione e nel 2002 la Camera dei Lord diede via libera alla clonazione, altro primato. “Dicono che la manipolazione avverrà solo per ricerca”, spiega Josephine Quintavalle, direttrice del Comment on reproductive ethics, organo da sempre in lotta contro la ricerca sugli embrioni. “Ma qui tutto è iniziato con questa promessa, è il primo passo per usare la tecnica nella fecondazione. E’ molto probabile che il governo accetti anche questo passaggio, com’è successo con gli ibridi. Entro marzo avremo la nuova bozza di legge sulla riproduzione artificiale. Ci sono state 25 proposte di cambiamento di norme. Una di queste intende eliminare la considerazione che il bambino ha bisogno di un padre”. Non è sorpresa Helen Watt, direttrice del Linacre center for healthcare ethics. “Siamo avviati sulla strada degli abusi genetici contro l’embrione, materiale da laboratorio. Il governo Blair è da sempre a favore della ricerca che crea e distrugge l’embrione umano. Non si rende conto della posta in gioco”.
Scalzata dalle tigri asiatiche, l’Inghilterra nel 2006 è tornata a essere leader nell’avventurismo genetico. La Human fertilisation and embryology authority, massimo organo bioetico, ha dato il via libera alla prima banca dello sperma “specializzata” nell’inseminazione di coppie lesbiche, alla selezione embrionale per portatori del gene del cancro al colon e di quella degli embrioni femmina che un giorno potrebbero sviluppare un particolare tipo di cancro al seno. E’ stata poi la volta della diagnosi preimpianto, degli ibridi umano-animali, dell’embrione nato da materiale genetico da madri differenti, della selezione sessuale dei figli e del pagamento di 375 sterline per donazione di ovociti. “Giocano con la genetica umana, aspettiamoci un disastro dietro l’altro”, conclude Quintavalle. “Tutti i cowboy genetici ci citano come esempio di illuminismo”. “Padre” scientifico di Louise Brown, nel 1999 Bob Edwards annunciò che “presto sarà peccato per i genitori avere un figlio portatore dei tetri fardelli delle malattie genetiche”. Venticinque anni fa, forte della fama di benefattore delle coppie infertili, si era spinto anche a profetizzare che “dedicarsi alla fecondazione in vitro senza prevenire la nascita di bambini minorati è indifendibile”.

(Il Foglio - 27/02/2007)

16 febbraio 2007

La grande occasione laica

Nella battaglia sulla libertà della chiesa i veri laici hanno l’ultima parola

Uno può inseguire il percorso di una legge-pasticcio come i Dico, un testo non molto interessante e che potrebbe avere ria sorte molto presto, che certo contiene alcune salvaguardie utili per i diritti delle persone (recuperabili anche altrimenti) però mascherate da un puntiglio ideologico e di bandiera. Ma non è gran che. Lo si fa per dovere. Oppure uno può addirittura mettersi a ruota delle polemiche sessiste, che in genere sono prerogativa della destra becera, soprattutto quando espresse senza alcuna ironia, e adesso diventano appannaggio del guardonismo di sinistra che si impiccia dei matrimoni dei leader del centrodestra o del curriculum professionale delle cosiddette “deputate-soubrettes”, personalmente e volgarmente insultate dai partigiani più inquieti e nervosi della legge in discussione. Vabbè, ma allora tanto vale cambiare mestiere.
Invece per i laici, non i soloni dell’anticlericalismo ottocentesco, parliamo di quelli moderni che criticano la cultura moderna proprio in nome della virtù del dubbio e della nozione di pluralismo, si apre una grande occasione: battersi finalmente, e a testa alta, per una vera libertà, la libertà di chi è diverso da te, di chi parte da un’altra prospettiva e ha qualcosa da dire che ti interroga, la libertà dei vescovi nella loro intransigente posizione etica e culturale, antropologica e morale, sulla questione della famiglia. Il quotidiano vaticano ha castigato, difendendo questa libertà, gli intellettuali cattolici firmatari della supplica da noi pubblicata ieri, con una replica di parte laica e cattolica. La sede petrina non intende ritirarsi all’ombra di una iperclericale concezione veteroconcordataria, con i vescovi che si “occupano di Dio”, come chiede il ministro cattolico democratico della Famiglia, Rosy Bindi, e la lobby parlamentare postdemocristiana, di sinistra, che negozia in nome della sua interpretazione del pensiero religioso compromessi abborracciati con le forze laiche della maggioranza ulivista e del Partito democratico. Senza nemmeno volerlo, quasi costretta dall’aria del tempo, la chiesa occupa a parti rovesciate una posizione laica, liberale e perfino libertaria, come quando i radicali volevano mettere in galera i vescovi che predicavano l’astensione nella drammatica questione referendaria del sacrificio dell’embrione umano sull’altare della cultura desiderante e del bimbo bello e sano. E’ un fatto culturale di grande e felice novità, nello spento teatro delle idee in Europa, che ci sia un paese in cui, come accade da sempre nel modello americano di libertà religiosa, una bimillenaria istituzione si batte per far valere le sue idee nella società e nella politica civile, allargando il campo del dissenso, delle posizioni e delle culture di minoranza, e mettendo in discussione laicamente le premesse ideologiche del nostro stile di vita e della nostra identità di abitatori dell’occidente cristiano e di questo tempo. Comunque la pensi nel merito della questione famiglia, un laico non può che gioire di questo arricchimento, che mette in pericolo soltanto il conformismo del pensiero dominante e il già detto, già saputo, cioè l’ideologia di cui si nutre la vita quotidiana delle persone nell’epoca in cui i matrimoni durano in media quattro anni e la scelta sempre più rara della procreazione è affidata all’amniocentesi e all’aborto selettivo.
(Il Foglio - 16/02/2007)

13 febbraio 2007

"In Portogallo si conserverà sempre il dogma della Fede..."

La non rivoluzione dei garofani

Lisbona coltiva la sua eccezione e non esige l’aborto come una conquista

E’ scandaloso: per la seconda volta (la prima fu nel 1998) il Portogallo ha mostrato di non sentire affatto l’urgenza di modernità, l’ansia di avvicinarsi alla Spagna, o persino all’Italia. E’ scandaloso, nessun quorum è stato raggiunto per modificare la legge sull’aborto (che non lo vieta, ma prevede l’interruzione di gravidanza nelle prime dodici settimane in caso di rischio per la vita o la salute mentale della madre, fino a sedici se la gravidanza è stata causata da una violenza, e fino alla ventiquattresima in caso di malformazioni del feto), e il quaranta per cento di coloro che sono andati a votare si sono espressi per il no. Hanno detto, insomma, che la legge funziona bene così. Nonostante la campagna referendaria sia stata potente e guidata dal premier in persona, e nonostante il ceto politico abbia evidentemente una gran voglia di non sentirsi più in clamoroso ritardo rispetto alla storia. Mentre l’Europa s’interroga mollemente sui limiti della scienza, su un’eugenetica accettabile e gentile e su magnifiche possibilità ancora inesplorate di manipolazione, il Portogallo ride in faccia anche al proprio primo ministro e sceglie il super eccezionalismo. Preferisce restare fuori moda: certamente avrà presto l’annunciata riforma libertaria dell’aborto, per via legislativa, ma ha appena dimostrato, con un gesto enorme che non potrà mai passare per indifferentismo etico, di non avvertire alcun passionale bisogno di inseguire il resto del mondo, e soprattutto di non considerare l’interruzione di gravidanza una conquista.
(13/02/2007)


Nota: "In Portogallo si conserverà sempre il dogma della Fede..." è una frase del Messaggio di Fatima.

06 febbraio 2007

Sugli sproloqui di Pippo Baudo

Ci mancava Pippo Baudo che, dall'alto di un popolarissimo programma televisivo dedicato al calcio, ha criticato Benedetto XVI per non essere subito intervenuto sui gravi fatti di Catania, ma piuttosto - è sembrato suggerire - su questioni di secondaria importanza come l'eutanasia, l'aborto o i pacs. Tutti i media, con poche eccezioni, sembrano impegnati in una critica serrata al Papa, e ogni pretesto pare buono. La violenza negli stadi sarebbe l'unica contro la quale è legittimo - anzi, doveroso - pronunciarsi, mentre tutto il resto sarebbe meglio lasciarlo ai politici. Questa era l'aria sui giornali italiani di ieri, dai quali, in misura maggiore o minore, la giornata della vita, celebrata domenica dalla Chiesa italiana e da Benedetto XVI, risulterebbe solo un'inutile ripetezione di rimproveri già fatti, un arroccamento perdente su posizioni conservatrici non condivise neppure da tutti i cattolici. Perfino i ragazzi del Movimento per la Vita - ridotti a "poche migliaia", in un implicito confronto con l'alto numero di giovani presenti in altre manifestazioni - con i loro palloncini bianchi e verdi, sembrano poveri fanatici, fuori della storia e del tempo. Del resto già due settimane fa L'espresso, mandando un suo giornalista nei confessionali - con una grave violazione della deontologia professionale prima ancora che con un affronto al sacramento della confessione, quasi da nessuno deplorato (e proviamo solo a immaginare le conseguenze di qualcosa di simile nei confronti di ebrei o musulmani) - ha cercato di dimostrare che il Papa è un generale senza esercito. Mentre abbondano critiche e accuse, non c'è nessuno che risponda veramente alle obiezioni di Benedetto XVI sulle questioni della intangibilità della vita e della famiglia. Al massimo si dice che i suoi allarmi sono inutili, le sue parole insensate. Di fronte alle sue ragioni, che sono forti e ben argomentate, si sbandiera solo una generica ideologia in cui le parole libertà e amore fanno balenare un avvenire di felicità contrapposto a un presente di oppressione. Oppure, la necessità di adeguarsi in proposito ai paesi più avanzati, senza tenere conto che là dove sono in vigore da più tempo queste leggi libertarie - come in Olanda e Gran Bretagna - giornali e osservatori di ogni tendenza denunciano il degrado sociale e morale in cui è caduta la società, ben visibile nella crisi delle nuove generazioni. Si aggiungono i sondaggi dalle domande manipolate, per convincere che ormai tutti pensano così, che bisogna mettersi in linea per non rimanere tagliati fuori. E si sorvola invece quando altre ricerche rivelano come fra le comunità immigrate quelle che riescono a sfuggire in maggior numero a prostituzione, droga e delinquenza sono quelle asiatiche, tra le quali la famiglia è ancora fortissima. Se non si sa cosa rispondere - o se la risposta vera è solo quella della necessità politica di tenere unito il governo di centrosinistra facendo concessioni a radicali e sinistra - si arriva alla lapidazione mediatica del Papa, nel tentativo di delegittimarlo e quindi di rendere le sue parole inefficaci. Tutto questo svela una grande paura di aprire un dibattito autentico su questi temi, per riflettere su cosa stiamo facendo e sulle conseguenze di provvedimenti di questo tipo nella nostra società. E stupisce che quanti hanno a cuore la libertà di espressione - cattolici di varie tendenze o laici che siano - non denuncino questa situazione, chiedendo che le parole di Benedetto XVI siano ascoltate e discusse con il rispetto e l'attenzione che si devono non solo al capo di una confessione religiosa, ma a chiunque esprima un'opinione controcorrente.
(Avvenire - 6/2/2007)


Andrea's version (Il Foglio)
E’ molto addolorato, in quanto cattolico. Si aspettava un altro intervento da parte del Papa, sperava ancora che Sua Santità cambiasse linea, atteggiamento, parole, ha denunciato infatti la cosa sulla libera stampa. Si aspettava che Benedetto XVI si comportasse, prima o poi, come di sicuro si sarebbe comportato Giovanni Paolo II, anche se intendeva dire, probabilmente, Giovanni Vigesimo Terzo. E’ molto addolorato, come cattolico, perché non ha capito se questo Papa sia dentro la realtà o ne rimanga fuori, non ha capito perché la chiesa, che quando vuole sa muoversi con maestria, si stia muovendo senza, non riesce a capacitarsi che il Vicario di Cristo, il quale dovrebbe avvertire i problemi sociali come parte di sé, o mal che vada comunque accanto a sé, se ne dimostri distante. E’ molto addolorato, sempre in quanto cattolico, perché ormai si ritrova deluso dalla maestà del Santo Padre, perché si aspettava che all’Angelus avrebbe detto alcune cose e Sua Santità ne ha pronunciate invece certe altre. Bah. Pippo Baudo dev’essersi messo in testa di essere il cardinale Martini.
(06/02/2007)

Onu: proteggiamo i disabili, ma è meglio se non nascono

Dietro il rifiuto della Santa Sede di aderire alla Convenzione per la protezione dei diritti dei disabili approvata dall'Onu si intravvede una preoccupazione forte per ciò che si scorge fra le righe di un documento in cui pure, a giudizio della stessa Santa Sede, si affermano molti ottimi intenti. Il nodo sta anzitutto in un passaggio dell'articolo 25, in cui si parla di garantire programmi di "salute riproduttiva": un'espressione che, nell'accezione utilizzata da molti Stati membri dell'Onu, comprende anche l'aborto, e dunque non può essere accettata dalla Chiesa. Ma ancora più critico sembra il secondo punto dello stesso articolo, dove i firmatari si impegnano ad assicurare ai disabili le cure di cui hanno bisogno a causa del loro handicap: includendo in questi servizi "la precoce identificazione e gli appropriati interventi e servizi destinati a minimizzare e prevenire future disabilità".
Ora, la "precoce identificazione" e gli "appropriati interventi" per prevenire future disabilità si concretizzano, ad oggi, principalmente in un intervento solo, e cioè nell'aborto dei nascituri al più presto individuati "imperfetti" con le tecniche diagnostiche prenatali. È tragico, commenta l'Osservatore permanente della Santa Sede all'Onu, monsignor Celestino Migliore, che la stessa convenzione creata per difendere i disabili possa essere usata per negare a queste persone il diritto di venire al mondo. Di più: la ratifica del documento da parte di quegli Stati che ancora non ammettono l'aborto potrebbe introdurre nelle loro legislazioni le premesse perché la facoltà di abortire sia concessa a disabili e portatori di malattie ereditarie, in una opzione preferenziale che odora pesantemente di eugenetica.
La Convenzione, che pure all'articolo 10 proclama il diritto alla vita di "ogni essere umano", contiene dunque fra i suoi commi, quasi sottovoce, la premurosa assicurazione che debbano essere garantiti quella precoce individuazione dell'handicap e quegli appropriati interventi, che nella grande maggioranza dei casi sopprimono, oltre ai problemi del futuro malato, il malato stesso.
Oltre ai molti lodevoli princìpi circa l'educazione e l'aiuto alle famiglie - che pure il Vaticano condivide - emerge dunque al fondo questa solidarietà ambigua, e il pensiero, non esplicitamente affermato ma sotteso, che certi uomini è meglio non farli nascere per niente. Raggelante messaggio sotto la prosa molto corretta e molto solidale delle Nazioni Unite: aiutiamoli, proteggiamoli, educhiamoli, ma - finché si è in tempo - cerchiamo di eliminarli.
E sarà anche, come dice l'ex Segretario generale dell'Onu Kofi Annan, questa Convenzione "l'alba di una nuova era per i disabili". Tutto sta a vedere quale era, e per quanti. È molto probabile che la maggioranza degli Stati membri adotti entusiasticamente un testo pieno di buone intenzioni, senza far caso a quei piccoli commi secondari. La Chiesa no, non firma, messa in allerta da quell'opportunità apparentemente generosa di "interventi adeguati", di "individuazione precoce" che con garbo suggeriscono di risolvere alla radice il problema delle vite "diverse". Cosa che, a chiamarla col suo nome, è eugenetica. Se per la Convenzione che segna una "nuova era" il primo diritto degli uomini intaccati nel grembo materno da un "difetto" è il non venire al mondo, forse molti di loro penseranno che devono la loro vita, dolorosa ma cui non rinuncerebbero, al fatto di essere nati prima di questa nuova luminosa alba di progresso.
(L'Avvenire - 2/2/07)