27 novembre 2009

Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare

Avvenire - 27 Novembre 2009
LA SFIDA DELL'INTERGAZIONE

Violenze nel Bresciano, ora intervengono i parroci

Dopo la violenza e le polemiche accese, la comunità cristiana della Franciacorta nel Bresciano si mobilita per affrontare il delicato tema del rapporto tra immigrazione e sicurezza. È innegabile la tensione che da una settimana attraversa questa terra suggestiva del profondo nord a ridosso del lago d'Iseo, nota ai più per i vini eccellenti e le dolci colline e finita alla ribalta per fatti di violenza e razzismo. Anzitutto la terribile aggressione la settimana scorsa a una coppia di fidanzati a Rovato ad opera di un immigrato marocchino. E il pestaggio  martedì, dopo una fiaccolata, di due kosovari. Coccaglio è invece divenuto noto per la vicenda White Christmas, ideata dal comune per «censire» entro il 25 dicembre gli immigrati irregolari. La denominazione che voleva essere scherzosa e fa infelice riferimento al Natale, come hanno riconosciuto sindaco e assessore alla sicurezza, entrambi leghisti, è valsa agli amministratori l'accusa di razzismo. Ieri è arrivato l'intervento dei sacerdoti delle parrocchie dei comuni bresciani di Adro, Cazzago, Coccaglio, Cologne, Erbusco e Rovato, i quali distribuiranno domenica una lettera aperta indirizzata ai cristiani e agli uomini di buona volontà .

«La nostra gente e i nostri paesi – è scritto nella missiva – che vivono di tranquilla laboriosità e da sempre praticano l'accoglienza, sono improvvisamente diventati oggetto della stampa nazionale per fatti dolorosi e non sempre spiegabili. Prima di tutto vogliamo esprimere la nostra solidarietà e la nostra vicinanza ai genitori e ai familiari dei due giovani aggrediti dalla pazzia insana e dalla violenza di chi pare abbia agito sotto influsso della droga». Quanto a Coccaglio, i parroci esprimono «stima agli abitanti  da sempre testimoni di pacifica convivenza». Entrambi i casi «fanno riferimento alle persone di immigrati, aggressori o bersaglio di dichiarazioni che, come riferite dalla stampa, sono decisamente inaccettabili».

Nella lettera viene riassunto così il difficile momento: «Nella nostra sofferenza ci viene in mente il passo di Geremia: "Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare". Sicuri solo della fiducia in Dio, che si presta a rinascere Bambino tra noi, vogliamo proporre a tutti di incominciare di nuovo». Quindi l'appello alla sicurezza: «Il Signore ci dice di amare noi stessi: per questo richiediamo sicurezza, condizioni di vita fisica e spirituale consone al Vangelo, che da sempre illumina la nostra società, rispetto da parte di tutti». I sacerdoti poi affondano sull'accoglienza: «Perché l'amore del prossimo per noi è un dovere congenito alla nostra fede e perché nel prossimo è presente lo stesso Cristo, vi invitiamo a chiedere le stesse cose anche per coloro che sono venuti a vivere tra noi da altre terre e da altri paesi: a loro come a noi stessi dobbiamo chiedere il rispetto di tutte le regole e di tutte le tradizioni». Per le parrocchie di Franciacorta non è buonismo, ma giustizia. «Dobbiamo chiedere – è scritto – giustizia e severità per chi delinque, qualunque sia il colore della pelle, e non verso chi ha l'unico torto di essere diverso da noi. Solo se tutti crediamo e difendiamo la dignità di ogni essere umano, possiamo sperare che si ricreino quelle condizioni che possono garantire pace e sicurezza. La crisi che incombe, che ci fa tremare per i posti di lavoro, potrà richiedere ancora una maggior solidarietà reciproca, anche, magari, verso quegli immigrati che insieme al lavoro e alla cassa integrazione, dopo sei mesi rischiano di perdere anche il permesso di soggiorno». Proprio quelli interessati da White Christmas.

«Il cammino - concludono i parroci –  non è facile, ma la meta è certa: coniugare il doveroso rispetto e l'amore per noi stessi con l'amore per l'altro, chiunque esso sia». Le comunità parrocchiali si ritroveranno domenica 13 dicembre alle 20,30 nella chiesa di Erbusco per una veglia di preghiera.

Paolo Lambruschi e Carlo Guerrini

19 novembre 2009

White Christmas

Reazioni cattoliche all'iniziativa "White Christmas" lanciata nel Bresciano

Per il Presidente delle ACLI è "istigazione all'odio razziale"

Padre Mario Toffari: "dobbiamo cercare noi cattolici di far capire ai nostri politici […] che non si può brandire il crocifisso, brandire il Natale per fare delle politiche anticristiane".

La notizia

17 novembre 2009

Cristo Re

Cristo Signore fa liberi gli uomini

Le letture proposte nel formulario liturgico ci aiutano a comprendere la profonda natura della regalità di Gesù Cristo. Gesù di Nazaret si è presentato come un re, ma il suo regno non è di questo mondo. Comincia a edificarsi quaggiù, ma non fa alcuna concorrenza ai regni terrestri. Durante tutta la sua vita pubblica, Gesù ha badato con cura estrema che non si potesse dare un'interpretazione politica alla sua missione. A parecchie riprese lo vogliono fare re, ma ogni volta egli si sottrae.

Cristo, re di un regno diverso
Gesù Cristo è re, perché è l'unico mediatore della salvezza di tutta la creazione. In lui, tutte le cose trovano il loro compimento, la loro vera consistenza secondo il disegno creatore di Dio. Dio continua a creare per mezzo dell'amore, e tutta la creazione è chiamata, nell'uomo, a partecipare alla sua stessa vita divina, a entrare nella sua Famiglia.
Questo disegno di amore si compie soltanto nell'invio dell'Uomo-Dio perché solo l'Uomo-Dio è capace, nella sua umanità, di far entrare nella Famiglia del Padre. Se tale è il disegno creatore di Dio, è in Gesù Cristo che tutta la creazione trova il punto d'appoggio della sua consistenza definitiva (cf Eb 1,3; Col 1,17). In questo senso Gesù Cristo è il primogenito di ogni creatura; egli
è il re della creazione perché egli solo è l'immagine di Dio invisibile, e la realizzazione del disegno creatore dipende unicamente da lui. Ma, poiché la creazione si è staccata dal suo Dio per effetto del peccato, la regalità di Gesù Cristo assume l'aspetto di una riconciliazione universale che egli opera versando il suo sangue sulla croce.

Cristo rispetta la libertà e la responsabilità dell'uomo
La regalità di Cristo è universale e ha un reale potere su tutto e su tutti; nessuna realtà creata sfugge al suo giudizio supremo. Egli ha acquistato questa regalità per mezzo della sua morte sulla croce in remissione di tutti i peccati. Il primogenito di ogni creatura è pure il primogenito di fra i morti, il risorto.
La regalità di Cristo è un tema cristologico abbondantemente sfruttato nella tradizione ecclesiastica, per le sue concrete incidenze sul ruolo della Chiesa nel mondo. La riflessione teologica su questo argomento ha  talora peccato  di gratuità; a più riprese si è degradata in una ideologia giustificatrice di una situazione contingente della Chiesa, che alcuni si auguravano di veder continuare. In particolare, il tema è servito per spiegare i rapporti fra la Chiesa e il mondo in un «regime di cristianità», senza tener abbastanza conto del carattere transitorio di quest'ultimo. Quando questo stato di cose ha cominciato a scricchiolare alcuni si sono riferiti alla regalità di Cristo per difendere certe istituzioni e combattere i nemici della Chiesa con spirito non alieno da clericalismo. D'altra parte l'avvento del mondo moderno rischia di mettere in causa una giusta concezione della regalità universale di Cristo, relegandola al puro dominio dello spirito.

La regalità di Cristo è per la regalità dell'uomo
Quando Pio XI istituì, nel 1925, la festa di Cristo Re, intendeva reagire contemporaneamente agli eccessi del laicismo moderno che fa a meno di Dio, e a quelli del cesaropapismo e del clericalismo di ieri tentati di «servirsi» di Dio. Ma certo le eredità del passato erano tali che alcuni cristiani hanno preso questa festa come un'arma per difendere l'ordine antico e rifiutare il mondo che veniva; mentre i laicisti si sono irrigiditi sulle loro posizioni di rifiuto. Oggi, altri cristiani, preoccupati di una riconciliazione della Chiesa col mondo e del mondo con la Chiesa, vedono in questa proclamazione della regalità di Cristo  un ostacolo al  loro irenismo.
Ma la festa di Cristo Re può essere l'occasione per approfondire una verità essenziale della nostra fede e per rivalutare il contenuto di questa regalità nel contesto dei nuovi rapporti Chiesa-mondo.
Cristo è re per creare un popolo regale, libero da ogni asservimento dell'uomo, per favorire e accogliere le risorse, le consuetudini, le ricchezze dei popoli, purificarle, consolidarle, elevarle(cf LG 13). In particolare, i laici, partecipi della regalità di  Cristo,devono operare per la promozione della persona umana, per animare di spirito evangelico le realtà temporali, e dare così testimonianza concreta che Cristo Re è liberatore e salvatore di tutto l'uomo e di tutti gli uomini. Cristo, l'uomo nuovo, solidale con la comunità umana, eleva e perfeziona, nel suo mistero pasquale, l'attività degli uomini per una migliore, più umana convivenza nella collaborazione, nella fraternità,  nella pace  (cf GS 22; 32;33-45; 77-78; 92-93).

  

Venga il tuo regno

Dall'opuscolo «La preghiera» di Origène, sacerdote  (Cap. 25; PG 11, 495-499)
Il regno di Dio, secondo la parola del nostro Signore e Salvatore, non viene in modo da attirare l'attenzione e nessuno dirà: Eccolo qui o eccolo là; il regno di Dio è in mezzo a noi (cfr. Lc 16, 21), poiché assai vicina è la sua parola sulla nostra bocca e nel nostro cuore (cfr. Rm 10, 8). Perciò, senza dubbio, colui che prega che venga il regno di Dio, prega in realtà che si sviluppi, produca i suoi frutti e giunga al suo compimento quel regno di Dio che egli ha in sé. Dio regna nell'anima dei santi ed essi obbediscono alle leggi spirituali di Dio che in lui abita. Così l'anima del santo diventa proprio come una città ben governata. Nell'anima dei giusti è presente il Padre e col Padre anche Cristo, secondo quell'affermazione: «Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14, 23).
Ma questo regno di Dio, che è in noi, col nostro instancabile procedere giungerà al suo compimento, quando si avvererà ciò che afferma l'Apostolo del Cristo. Quando cioè egli, dopo aver sottomesso tutti i suoi nemici, consegnerà il regno a Dio Padre, perché Dio sia tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 24. 28). Perciò preghiamo senza stancarci. Facciamolo con una disposizione interiore sublimata e come divinizzata dalla presenza del
Verbo. Diciamo al nostro Padre che è in cielo: «Sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno» (Mt 6, 9-10). Ricordiamo che il regno di Dio non può accordarsi con il regno del peccato, come non vi è rapporto tra la giustizia e l'iniquità né unione tra la luce e le tenebre né intesa tra Cristo e Beliar (cfr. 2 Cor 6, 14-15).
Se vogliamo quindi che Dio regni in noi, in nessun modo «regni il peccato nel nostro corpo mortale» (Rm 6, 12). Mortifichiamo le nostre « membra che appartengono alla terra» ( Col 3, 5). Facciamo frutti nello Spirito, perché Dio possa dimorare in noi come in un paradiso spirituale. Regni in noi solo Dio Padre col suo Cristo. Sia in noi Cristo assiso alla destra di quella potenza spirituale che pure noi desideriamo ricevere. Rimanga finché tutti i suoi nemici, che si trovano in noi, diventino «sgabello dei suoi piedi» (Sal 98, 5), e così sia allontanato da noi ogni loro dominio, potere ed influsso. Tutto ciò può avvenire in ognuno di noi. Allora, alla fine, «ultima nemica sarà distrutta la morte» (1 Cor 25, 26). Allora Cristo potrà dire dentro di noi: «Dov'è , o morte, il tuo pungiglione? Dov'è , o morte, la tua vittoria? » ( Os 13, 14; 1 Cor 15, 55). Fin d'ora perciò il nostro «corpo corruttibile» si rivesta di santità e di « incorruttibilità; e ciò che è mortale cacci via la morte, si ricopra dell'immortalità» del Padre (1 Cor 15, 54). Così regnando Dio in noi, possiamo già godere dei beni della rigenerazione e della risurrezione.

02 novembre 2009

Toscana: troppi «registri», pochi registrati

da Avvenire - 29/10/2009

Le iniziative largamente propagandate di raccolta dei testamenti biologici in alcuni Comuni si stanno risolvendo nel prevedibile insuccesso

A fare da apripista è stata Pisa: da inizio luglio, infatti, è possibile recarsi a Palazzo Gambacorti, sede dell’amministrazione comunale, e depositare il proprio testamento, mutuato dal modello Veronesi che prevede, sic et simpliciter, la rinuncia ad idratazione ed alimentazione artificiale, escluse invece dal testo di legge-Calabrò, approvato al Senato e ora alla Camera.

Pochi giorni dopo il registro è arrivato anche nel comune di Calenzano, cittadina tra Prato e Firenze: la delibera con cui la giunta dava il via libera a un registro delle Dat (Dichiarazioni anticipate di trattamento) è del 28 aprile, ma solo dal 21 luglio i cittadini hanno potuto recarsi a palazzo comunale per depositare le proprie Dat. Si tratta di un modello più articolato di quello pisano, dove il cittadino è invitato ad esprimere se desidera accettare o rifiutare, ad esempio, cure palliative, respirazione meccanica, idratazione e nutrizione artificiale, dialisi, ma anche interventi di chirurgia d’urgenza, trasfusioni di sangue e persino terapie antibiotiche.
Da allora, la corsa all’adozione di un registro per la raccolta di testamenti biologici o delle Dat, ha coinvolto molti altri comuni. Un registro è già operativo a San Giuliano Terme, centro termale all’immediata periferia di Pisa.
Presto potremo vederli anche nei comuni di Firenze, Livorno, Rosignano, Fiesole e Massa, e nel palazzo dell’amministrazione provinciale a Pisa, dove i consigli hanno impegnato le rispettive giunte ad organizzare questo servizio. A Empoli l’approvazione di una mozione vincolante su questo tema è stata preceduta da due manifestazioni pubbliche promosse dall’associazione Liberi di Decidere, dove sono state raccolte sul posto – secondo i promotori – duecento Dat.

Ovunque questa decisione è stata accompagnata da polemiche politiche. Il Pdl ha fatto opposizione. A Massa il gruppo consiliare dell’Udc, che pure appoggia la maggioranza, si è smarcato dall’odg.
Nel Pd, per quanto ci risulta, solo il vicepresidente del Senato Vannino Chiti ha criticato apertamente il documento approvato dal consiglio comunale di Firenze: «Il consiglio comunale non ha competenza in questa materia – ha osservato Chiti –. Occorre una legge nazionale» e dunque sarebbe stato meglio, semmai, sollecitare il Parlamento a fare la sua parte.
«Deliberare l’istituzione del registro del testamento biologico senza fondamento giuridico è un atto privo di efficacia – ha continuato Chiti – che mette soltanto una bandierina su temi che sono invece di estrema serietà e importanza».

Ricorda volentieri le parole di Chiti il capogruppo Udc in consiglio regionale Marco Carraresi. Che osserva però: «Fatta questa debita eccezione, è utile osservare come ormai nel Pd vige il pensiero unico, quello che considera l’aborto un diritto, la pillola abortiva un bel passo avanti, che plaude a Beppino Englaro e alla scelta di far morire di fame e di sete Eluana, quello che sulla fecondazione assistita vuol tornare alla sperimentazione sugli embrioni umani, quello che è a favore dell’equiparazione tra famiglia e coppie di fatto, anche omosessuali».
Si difende il Pd fiorentino: «Quella di una legge che sancisca il diritto al testamento biologico è un’esigenza avvertita dall’80% degli italiani, senza distinzione di fede o di appartenenza
Ma è proprio così? Questa la situazione nelle città che hanno già un registro: a Pisa (88 mila residenti) l’assessore Maria Paola Ciccone aveva presentato la delibera con cui la giunta di Palazzo Gambacorti aveva deciso di istituire un registro per la raccolta dei testamenti biologici, asserendo che essa andava incontro a numerose richieste dei cittadini.
Richieste ridotte a circa cinquanta «dichiarazioni» fino a oggi depositate.
Va un po’ meglio (si fa per dire) a Calenzano, cittadina di 15.700 abitanti, e 24 Dat depositate nell’ufficio del responsabile dell’Urp.
Non sfonda l’idea del testamento biologico a San Giuliano Terme, comune di 31.317 abitanti: chi desidera depositarlo deve recarsi allo sportello (certamente più protetto rispetto agli altri che ha in dotazione l’ufficio per il pubblico) dei servizi cimiteriali.
Un’esperienza che ha fatto, ad oggi, una sola persona.
L’idea che ci siamo fatti è che, dopo annunci altisonanti, nessuno abbia voglia di fare troppa pubblicità a questo servizio. Un esempio? Gli informatici del comune termale, nei primi giorni di lancio del testamento biologico, gli avevano dato una bella rilevanza nella home page del sito: dopo pochi giorni, per scaricare il modulo del testamento occorre addentrarsi in un labirinto telematico da cui uscire risulta difficile anche ad esperti internauti.
Andrea Bernardini