Il nichilismo “corrode la speranza nel cuore dell’uomo, inducendolo a pensare che dentro di lui e intorno a lui regni il nulla: nulla prima della nascita, nulla dopo la morte”. Così Benedetto XVI nell’omelia per i Primi vespri d’Avvento pronunciata sabato, terza formidabile tappa del weekend forse più intenso del suo pontificato, iniziato con la presentazione della “Spe Salvi”, proseguito con le bordate al “relativismo” delle Nazioni Unite contenute nel discorso di sabato alle ong cattoliche e concluso domenica con l’Angelus, in cui ha sintetizzato: “Lo sviluppo della scienza moderna ha confinato sempre più la fede e la speranza nella sfera privata e individuale, così che oggi appare in modo evidente, e talvolta drammatico, che l’uomo e il mondo hanno bisogno di Dio”, perché la storia va “rievangelizzata e rinnovata dall’interno”. L’Avvento per la chiesa è l’inizio del nuovo anno, e sul filo della metafora temporale si potrebbe ben dire che Ratzinger non si fa dettare l’agenda da nessuno ma anzi, come un Papa rinascimentale, è lui a stabilire il calendario: ora ha deciso che è tempo di sfidare la modernità opponendo al suo nichilismo “il futuro luminoso dell’uomo e del mondo”. Frammenti di una battaglia culturale di lungo periodo, che si intrecciano con l’agenda diplomatica. Il prossimo 18 aprile Benedetto XVI varcherà la soglia del Palazzo di vetro, e il suo discorso alle ong non ha risparmiato critiche alle politiche di alcune organizzazioni dell’Onu: “Spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità”, ha detto. Criticando inoltre una “concezione del diritto e della politica, in cui il consenso tra gli stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola e ultima fonte delle norme internazionali”. Temi del resto non nuovi: Ratzinger in un intervento del 2000 aveva attaccato con durezza le conferenze del Cairo e di Pechino, proprio in quanto lasciavano “trasparire una vera e propria filosofia dell’uomo nuovo e del mondo nuovo”. Lo stile del Pontefice è però noto: preferisce la proclamazione delle verità essenziali all’esercizio della mera diplomazia e del dialogo solo formale. Analogamente, a Ratisbona aveva scelto di affrontare il tema dell’islam e della violenza religiosa poco prima di recarsi in Turchia. Da allora, Benedetto XVI va impostando l’agenda del dialogo “senza ignorare o minimizzare le nostre differenze di cristiani e musulmani” – come ha risposto, per il tramite del segretario di stato Tarcisio Bertone, alla lettera delle 138 “guide islamiche” – e recuperando il cardinale Jean-Louis Tauran alla guida del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, pur senza rimettere completamente il Vaticano sul binario ecumenico del periodo wojtyliano. Anche sull’Onu, come per Ratisbona, l’impressione è che il Papa abbia approfittato per mandare un “promemoria” al segretario Ban Ki-moon.
Ci sono poi i tempi di una verifica interna alla chiesa. Non sono sfuggiti alcuni passaggi chiave della “Spe Salvi”, in cui si parla di necessità di autocritica anche per i cristiani: “Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno”. Un programma di revisione radicale, che ha fatto ipotizzare al vaticanista del Corriere della Sera, Luigi Accattoli, una sorta di “mea culpa di nuovo tipo”, destinato a fare i conti con il lungo periodo storico in cui i cristiani si sono mostrati troppo acquiescienti con la secolarizzazione, fino a rendere la fede marginale e quasi inutile. Una colpa – sostiene il Papa nell’enciclica – che ha avuto l’effetto nefasto di abbandonare il mondo a se stesso: con la fede “orientata soprattutto verso la salvezza personale dell’anima”, mentre “la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte dominata dal pensiero del progresso”.
(il Foglio - 04/12/2007)
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