16 dicembre 2007

Due leader cristiani in occidente

• Il repubblicano Huckabee lo dice chiaro: “La fede mi definisce”. E’ in ascesa, era un predicatore, è anche un fan dei Rolling Stones • Il liberal “San Barack” Obama spiega: “I laici sbagliano a chiedere ai credenti che entrano in politica di mettere da parte la religione”

New York. Mike Huckabee è il candidato alla Casa Bianca più giovane tra quelli in corsa per il Partito repubblicano. Barack Obama lo è in assoluto. Entrambi sono in grande ascesa nei sondaggi e sono accreditati di una vittoria a sorpresa contro Rudy Giuliani, Mitt Romney e Hillary Clinton. Questa settimana il conservatore Huckabee è sulla copertina del liberal New York Times magazine. Il liberal Obama, disegnato e vestito da monaco francescano, è sulla copertina del neoconservatore Weekly Standard sotto il titolo “San Barack d’Iowa”. Entrambi stanno conducendo una campagna elettorale da leader cristiani. Huckabee esplicitamente, Obama evitando di dirlo.
In America Dio è sulla bocca di tutti, specie dei politici in corsa per la Casa Bianca. L’Economist ha scritto che “Hillary Clinton fa più riferimenti a Dio di quanti ne faccia un normale vescovo europeo”, Mitt Romney è riuscito finalmente a farsi accettare come leader nazionale nel momento esatto in cui ha affrontato il tema della “sinfonia delle fedi” che sta alla base della religiosità americana. Ogni fondamentale passaggio politico della storia americana, dall’abolizione della schiavitù al diritto di voto per le donne, dal proibizionismo alla lotta contro la segregazione razziale, è stato plasmato da una speciale miscela di idee liberali e sentimenti religiosi. La moralità cristiana e l’influenza della fede nella vita pubblica americana è stata colta perfettamente da Alexis de Tocqueville nel suo ancora oggi insuperabile “Viaggio in America” della prima metà dell’Ottocento: “Appena sono arrivato negli Stati Uniti la prima cosa che ha colpito la mia attenzione è stata l’aspetto religioso del paese e più ci sono rimasto più ho percepito le grandi conseguenze politiche derivanti da questo stato delle cose. In Francia avevo quasi sempre visto lo spirito della religione e lo spirito della libertà marciare nella direzione opposta. In America li ho trovati intimamente uniti e alla guida, insieme, dello stesso paese”.
Su questa scia sono stati moltissimi i politici americani di primo piano, in particolare del Partito democratico, che hanno puntato sulla carta religiosa. William Jennings Bryan, sconfitto tre volte alle elezioni presidenziali a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo, è stato uno dei grandi sostenitori, con motivazioni religiose, del proibizionismo e della lotta all’evoluzionismo darwinista. L’insegnante di catechismo Jimmy Carter è stato il primo presidente cristiano rinato ed evangelico. Così via, fino a George W. Bush, il quale nel 1999 disse che “Gesù” era il suo filosofo politico preferito.
In questo ciclo elettorale, però, si nota qualcosa di nuovo. Due giovani candidati con buone chance di vincere le primarie dei rispettivi partiti, Huckabee e Obama, si candidano appellandosi direttamente ai valori, alle battaglie e alle parole cristiane. “C’è un’overdose di pietà pubblica”, ha notato il neoconservatore laico Charles Krauthammer ieri sul Washington Post.
“La fede non si limita a influenzarmi – recita uno spot televisivo del predicatore Huckabee, oggi in testa nei sondaggi in Iowa – piuttosto mi definisce. Non mi devo alzare tutte le mattine e chiedermi in che cosa ho bisogno di credere. Noi crediamo in alcune cose, sosteniamo alcune cose e viviamo o moriamo per queste cose”. Lo spot si conclude con una scritta in maiuscolo che dice: “Un leader cristiano”.
Barack Obama ha aperto la sua recente manifestazione con la star televisiva Oprah Winfrey con queste parole: “Rendiamo grazie e onoriamo Dio. Guardate che bel giorno che ha creato il nostro Signore”.
Huckabee e Obama conducono una campagna elettorale molto simile, ciascuna delle quali è influenzata dalle rispettive esperienze religiose, cristiano-conservatrice per il repubblicano, vicina alla teologia della liberazione per il democratico. Huckabee è egli stesso un predicatore e, prima di diventare governatore dell’Arkansas, ha guidato una grande congregazione battista del sud. Obama, invece, è un seguace di Jeremiah Wright, l’incendiario predicatore nero della Trinity United Church of Christ di Chicago. E ama ricordare che “Abramo Lincoln, Martin Luther King e la maggioranza dei grandi riformatori americani non erano soltanto motivati dalla loro fede, ma hanno anche usato il linguaggio religioso per sostenere le loro cause”.
La cosa interessante è che la loro pronunciata religiosità non li ha relegati agli estremi dei rispettivi schieramenti. Huckabee è il volto simpatico e rassicurante della destra religiosa, non usa i toni arrabbiati e apocalittici degli ormai anziani leader del movimento, non spaventa, non fa battute e gli piace il rock, soprattutto quello considerato satanico dei Rolling Stones (“Sono favorevole alla divisione tra church and stage, tra chiesa e palco”). Obama dice con naturalezza ed eleganza cose che pronunciate da qualcun altro farebbero saltare parecchi progressisti dalla sedia: “I laici sbagliano a chiedere ai credenti di mettere da parte la religione se entrano in politica. E’ un’assurdità, la nostra legge è per definizione la codificazione della morale, gran parte della quale è radicata nella tradizione giudaico-cristiana”. Entrambi conducono battaglie contro gli anni Sessanta. Huckabee li considera il male assoluto per la celebrazione della cultura della pillola anticoncezionale, del sesso gay, dell’amore libero e delle droghe. Obama li giudica come la fonte primaria dell’attuale scontro ideologico e della guerra culturale che vorrebbe superare.
Magari nessuno dei due vincerà le primarie, ma la loro discesa in campo da leader cristiani sta già cambiando la natura delle due coalizioni politiche. Il solidarismo cristiano di Huckabee, così come quello di Bush, comincia a convincere i conservatori che l’intervento dello stato a favore delle classi più deboli non è un’eresia dei principi conservatori. La compassione religiosa di Obama, invece, indica ai liberal una piattaforma programmatica e ideale per riconquistare l’elettorato evangelico.
(Il Foglio 15/12/2007)

13 dicembre 2007

Cultura dell'anticristo /2

A FIRENZE L’ULTIMO EPISODIO DI UNA FESTA « SVUOTATA »
Gesù non c’entra col Natale. Parola di maestra intelligente

di Marina Corradi (Avvenire - 13/12/2007)

U n padre fiorentino scrive sbigottito al Giornale:
la maestra di mio figlio, che fa la quarta elementare, ha detto ai bambini di fare un disegno sul Natale.
Mio figlio si è messo a a disegnare la Natività ma la maestra glielo ha impedito. A noi genitori la maestra ha poi detto che sarebbe «una scemenza» associare la nascita di Cristo al Natale, e che in questo modo si rischierebbe di offendere il sentimento religioso dei non cristiani. La storia raccontata da questo padre introduce una variante sul tema, non nuovo e ripetuto, dei presepi proibiti nelle scuole per «non offendere» i fedeli di altre confessioni. Infatti, la prima obiezione della maestra fiorentina sarebbe stata ancora più radicale: è «insensato» associare la nascita di Gesù al Natale. Natale dunque, pare di capire, come una festa che ormai prescinderebbe totalmente dalla memoria di ciò che viene in quel giorno ricordato. Ci sarebbe dunque un 25 dicembre che 'una volta' celebrava la nascita di Gesù Cristo in Palestina. Ma ormai così sbiadita sarebbe questa tradizione, che la festa è diventata semplicemente un’amabile convenzione condivisa: si fa l’albero, si mangia il panettone e ci si scambiano regali, perché così si usa, ma niente a che vedere con quell’antica assurda storia di un neonato in una mangiatoia. Presumiamo che questo volesse dire quella maestra, se davvero ha detto che associare il Natale a Gesù è «una scemenza». Una tesi surreale, certo, ma che contiene in sé, radicalizzato, un pensiero che si va diffondendo. Il Natale cristiano – e sul copyright originario della ricorrenza non ci sono dubbi – se ci guardiamo intorno, appare spesso come un guscio svuotato. C’è un parlare assordante del Natale in tv, nei negozi, e fra noi; ma discorriamo di strenne, di vacanze, di tacchini.
Dell’evento di quel giorno – istante che taglia e rivoluziona la storia – di quello taciamo, e spesso anche fra cristiani. È rimasto, e anzi s’è gonfiato in una massa ipertrofica, tutto il contorno della festa: ma è il nucleo, il centro di gravità che sembra mancare. La maestra di Firenze, con la sua affermazione apparentemente strabiliante, avrebbe estrinsecato ciò che galleggia sotto le parole in questi nostri giorni annegati nei pandori e nei babbi natale. Abbiamo sentito un sociologo alla radio teorizzare di un Natale trasformato in una «festa della bontà», che non darebbe fastidio agli islamici e agli altri. Il brillante studioso ha sintetizzato lo stesso spirito dei tempi espresso dalla maestra fiorentina: facciamo festa il 25 dicembre, ma Gesù Cristo, che c’entra? Ora, ciascuno a casa sua festeggia ciò che vuole, Allah, Hare Krishna, come meglio crede. Ma c’è un accento di violenza nella piccola storia del bambino fermato con la matita per aria mentre sta per disegnare la cometa. Disegna ciò che vuoi: alberi, Santa Claus, renne, ma Gesù Bambino, no. Quello non c’entra. Quello è una vecchia fiaba, di cui vogliamo dimenticarci – che fiaba assurda poi, un Dio che nasce da una donna, e vergine anche, e in una stalla. La Festa della Bontà è laica e illuminata, corretta e multietnica. Non vuol dire niente, quindi non dà fastidio a nessuno: ma incentiva positivamente i consumi.

Piccolo, togli quella sciocca stella e l’asino e il bue. Cancella. Il mix di politically cor­rect e di un acido neo-oscurantismo dei lumi si vanta di non tollerare censure, ma con un’eccezione. Quel Bambino in una culla di paglia non lo vuole vedere. Che resti pure il contorno della festa, le lumi­narie e le cornamuse e l’abbacchio. Ma, quel nucleo, quell’oscuro centro di gra­vità di duemila anni di storia, quello no.
Bambini, da bravi, disegnate le renne.
[commento di Padre Livio: "Bambini, disegnate le corna alla maestra!"]

Cultura dell'anticristo /1

È Natale, che "scemenza" parlare di Gesù

di Walter Vecchi (Il Giornale - 12/12/2007)

Caro Direttore,
sono un Vostro lettore «da sempre» ed invio la presente per segnalarvi quello che a mio avviso, è un fatto molto grave avvenuto in questi giorni nella scuola elementare Villani di Firenze, ove mio figlio Alessandro di anni 9 frequenta la classe IV C.
La maestra di disegno ha nei giorni scorsi invitato gli alunni a fare un disegno che rappresentasse il Natale e mio figlio si stava quindi accingendo a rappresentare la «Natività di Cristo» quando è intervenuta detta maestra «vietando» al bambino di disegnare «Gesù bambino».
Mio figlio è rimasto molto amareggiato da questa vicenda, anche perché non è riuscito a comprendere la ragione di tale assurdo divieto ed ha riferito il proprio turbamento a noi genitori.
Pensando l'incidente si fosse verificato per un equivoco, mia moglie si è quindi recata personalmente a parlare con la maestra di disegno ma questa, appresa la ragione del colloquio, si è «inalberata» affermando che sarebbe «una scemenza» (testuali parole) voler rappresentare la nascita di Gesù Cristo ed associarla al Natale (ma a cos'altro andrebbe associato il Natale? Al solstizio di inverno?), poiché in tal modo si rischierebbe di offendere il sentimento religioso di chi non è cristiano.
In ogni caso, a detta della maestra di disegno medesima, le insegnanti sarebbero obbligate ad impedire qualsivoglia rappresentazione religiosa, anche nei disegni e addirittura gli insegnanti di «Religione» non potrebbero parlare di Gesù Cristo agli alunni. Richiesta di indicare quale mai fosse la norma cui faceva riferimento, la maestra medesima ha girato le spalle e se ne è andata senza neppure salutare.
Il giorno dopo, anche l'insegnante di Italiano è intervenuta in classe sull'argomento, dicendo agli alunni che «le maestre sono stufe delle “scemenze” delle loro mamme».
Non ho parole per commentare l'accaduto. Non condivido che nelle nostre scuole il Natale non sia più rappresentato come quando ero bambino io (quarant'anni fa) con recite e canti dedicati alla nascita di Gesù, ma ritengo che costituisca un vero atto di violenza morale impedire ad un bambino di 9 anni di rappresentare in un disegno la Natività, specie in un disegno che la maestra stessa ha detto doveva essere dedicato al Natale e portato a casa dalle rispettive famiglie.

04 dicembre 2007

Un formidabile weekend da Papa

Dopo la pubblicazione della “Spe Salvi”, Ratzinger detta la sua agenda Critica il relativismo dell’Onu prima di recarsi al Palazzo di Vetro, sfida il mito del progresso e chiede un’autocritica al cristianesimo moderno
Il nichilismo “corrode la speranza nel cuore dell’uomo, inducendolo a pensare che dentro di lui e intorno a lui regni il nulla: nulla prima della nascita, nulla dopo la morte”. Così Benedetto XVI nell’omelia per i Primi vespri d’Avvento pronunciata sabato, terza formidabile tappa del weekend forse più intenso del suo pontificato, iniziato con la presentazione della “Spe Salvi”, proseguito con le bordate al “relativismo” delle Nazioni Unite contenute nel discorso di sabato alle ong cattoliche e concluso domenica con l’Angelus, in cui ha sintetizzato: “Lo sviluppo della scienza moderna ha confinato sempre più la fede e la speranza nella sfera privata e individuale, così che oggi appare in modo evidente, e talvolta drammatico, che l’uomo e il mondo hanno bisogno di Dio”, perché la storia va “rievangelizzata e rinnovata dall’interno”. L’Avvento per la chiesa è l’inizio del nuovo anno, e sul filo della metafora temporale si potrebbe ben dire che Ratzinger non si fa dettare l’agenda da nessuno ma anzi, come un Papa rinascimentale, è lui a stabilire il calendario: ora ha deciso che è tempo di sfidare la modernità opponendo al suo nichilismo “il futuro luminoso dell’uomo e del mondo”. Frammenti di una battaglia culturale di lungo periodo, che si intrecciano con l’agenda diplomatica. Il prossimo 18 aprile Benedetto XVI varcherà la soglia del Palazzo di vetro, e il suo discorso alle ong non ha risparmiato critiche alle politiche di alcune organizzazioni dell’Onu: “Spesso il dibattito internazionale appare segnato da una logica relativistica che pare ritenere, come unica garanzia di una convivenza pacifica tra i popoli, il negare cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità”, ha detto. Criticando inoltre una “concezione del diritto e della politica, in cui il consenso tra gli stati, ottenuto talvolta in funzione di interessi di corto respiro o manipolato da pressioni ideologiche, risulterebbe essere la sola e ultima fonte delle norme internazionali”. Temi del resto non nuovi: Ratzinger in un intervento del 2000 aveva attaccato con durezza le conferenze del Cairo e di Pechino, proprio in quanto lasciavano “trasparire una vera e propria filosofia dell’uomo nuovo e del mondo nuovo”. Lo stile del Pontefice è però noto: preferisce la proclamazione delle verità essenziali all’esercizio della mera diplomazia e del dialogo solo formale. Analogamente, a Ratisbona aveva scelto di affrontare il tema dell’islam e della violenza religiosa poco prima di recarsi in Turchia. Da allora, Benedetto XVI va impostando l’agenda del dialogo “senza ignorare o minimizzare le nostre differenze di cristiani e musulmani” – come ha risposto, per il tramite del segretario di stato Tarcisio Bertone, alla lettera delle 138 “guide islamiche” – e recuperando il cardinale Jean-Louis Tauran alla guida del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, pur senza rimettere completamente il Vaticano sul binario ecumenico del periodo wojtyliano. Anche sull’Onu, come per Ratisbona, l’impressione è che il Papa abbia approfittato per mandare un “promemoria” al segretario Ban Ki-moon.
Ci sono poi i tempi di una verifica interna alla chiesa. Non sono sfuggiti alcuni passaggi chiave della “Spe Salvi”, in cui si parla di necessità di autocritica anche per i cristiani: “Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno”. Un programma di revisione radicale, che ha fatto ipotizzare al vaticanista del Corriere della Sera, Luigi Accattoli, una sorta di “mea culpa di nuovo tipo”, destinato a fare i conti con il lungo periodo storico in cui i cristiani si sono mostrati troppo acquiescienti con la secolarizzazione, fino a rendere la fede marginale e quasi inutile. Una colpa – sostiene il Papa nell’enciclica – che ha avuto l’effetto nefasto di abbandonare il mondo a se stesso: con la fede “orientata soprattutto verso la salvezza personale dell’anima”, mentre “la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte dominata dal pensiero del progresso”.

(il Foglio - 04/12/2007)