29 ottobre 2009

Catecumenato post battesimale

Card. Scherer: molti cattolici sono stati battezzati, ma non evangelizzati

"L'evangelizzazione 'generica' non è sufficiente", avverte

di Alexandre Ribeiro

SAN PAOLO, giovedì, 29 ottobre 2009 (ZENIT.org).- "Al giorno d'oggi constatiamo purtroppo che la maggioranza dei cattolici è stata battezzata, ma non evangelizzata", sostiene il Cardinale Odilo Scherer, Arcivescovo di San Paolo (Brasile).

A suo avviso, "battezzare e poi lasciare il cristiano a un'evangelizzazione 'generica' è insufficiente".


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Il condom è inutile, serve solo al gay business

«Il condom è inutile, serve solo al gay business»

Postato il Giovedì, 29 ottobre @ 09:17:50 CET di David
 
Tempi, 3 settembre 2009

«Diffondevo contraccentivi in Africa. Oggi dico che solo la fedeltà coniugale batterà l'Aids». Parla Edward Green, professore di Harvard


di Rodolfo Casadei


«Sudafrica. Coordinerò la promozione di programmi incentrati sulla riduzione del numero dei partner sessuali, la fedeltà di coppia e l'astinenza, rivolti a leader tradizionali e religiosi. Lavorerò sotto l'egida dell'Ubuntu Institute, una Ong presieduta dal genero di Nelson Mandela. Valorizzeremo cerimonie e rituali tradizionali. Sarà un approccio molto indigeno, il contrario del modello top-down internazionale, il contrario della promozione di tecnologie e medicinali americani».

Mancano quattro mesi alla definitiva chiusura del suo programma di ricerca sulla prevenzione dell'infezione da Hiv ad Harvard, ed Edward Green ha già deciso la mèta del suo esilio. Messo alla porta dalla famosa università americana per le sue ultradecennali posizioni troppo controcorrente in materia di lotta all'Aids – culminate nella difesa della dichiarazione papale sulla dannosità del condom in occasione della visita in Camerun e Angola – l'antropologo della medicina (65 anni) ha deciso che non andrà in pensione, e lo fa sapere col consueto accompagnamento di frecciatine polemiche.


Al Meeting di Rimini è andato a raccogliere l'applauso solidale di migliaia di partecipanti, che gli hanno espresso la loro gratitudine per aver dimostrato con argomenti di ragione e di buon senso che Benedetto XVI non è affatto un ignorante e un fanatico in materia di Aids africano, e che il pregiudizio semmai sta di casa altrove. Ma che forse hanno notato meno uno dei contenuti cardine della sua relazione: «Il modello dei programmi internazionali contro l'Aids – ha detto Green – è quello dei programmi concepiti negli anni Ottanta negli Stati Uniti: da noi i primi gruppi di popolazione colpiti sono stati gli omosessuali e gli utilizzatori di droga intravena. Gli attivisti gay hanno imposto il punto di vista che chiedere a queste persone di modificare le loro abitudini sessuali equivaleva a esprimere una condanna morale nei loro confronti. Hanno imposto la linea che bisognava combattere l'Aids senza rinunciare alla liberazione sessuale che gli omosessuali avevano appena conquistato. Così è nato e si è imposto in tutto il mondo il costosissimo modello di lotta all'Aids centrato sui condom e sugli antiretrovirali. Ma in Africa questo modello non funziona di sicuro».

«I due gruppi che storicamente hanno modellato le politiche americane, poi quelle internazionali, in materia di Aids», spiega Green a Tempi, «sono stati il movimento gay e le organizzazioni del family planning. Da subito si è realizzata un'alleanza di fatto, basata sulla comunanza di interessi e di visione del mondo: entrambi erano ideologicamente liberal, entrambi antireligiosi e in particolare ostili alla Chiesa cattolica, perché la sua dottrina condanna sia l'uso degli anticoncezionali che i rapporti fra persone dello stesso sesso. Parlo con cognizione di causa, perché a quel tempo io facevo parte del secondo gruppo: ero un esperto di social marketing degli anticoncezionali, mi occupavo di strategie per diffondere la contraccezione moderna nel Terzo mondo. L'Aids era una tragedia, ma per noi rappresentava anche una grande opportunità che avrebbe facilitato il nostro lavoro: pubblicizzavamo i profilattici spiegando che risolvevano due problemi: quello delle gravidanze indesiderate e quello di una gravissima malattia a trasmissione sessuale».

«Nei gay abbiamo trovato dei formidabili alleati nella causa della diffusione del condom: negli Stati Uniti il movimento assunse subito la posizione che i malati di Aids non dovevano essere stigmatizzati, che non era giusto colpevolizzare le persone per i comportamenti che li avevano portati a contrarre l'infezione. I messaggi per la prevenzione dovevano essere gay-friendly e dovevano rispettare gli stili di vita di tutti senza giudicarli. La soluzione stava in una propaganda martellante a favore dell'utilizzo continuativo e perfetto del condom, e nella messa a disposizione di aghi sterili gratuiti ai tossicodipendenti. I gay sono stati molto persuasivi coi politici e li hanno convinti ad applicare questa impostazione ai programmi pubblici finanziati dallo Stato negli Usa. I gay non avevano esperienza di programmi nel Terzo mondo, e a portare nei Caraibi, in Africa, Asia e America latina questa filosofia di lotta all'Aids ci abbiamo pensato noi che lavoravamo nel family planning, e che siamo entrati a far parte massicciamente dei programmi internazionali».

«Si è compiuto così un grande paradosso: dalla California ai paesi musulmani conservatori del Nordafrica e del Medio Oriente, da New York e da Parigi ai villaggi dell'Africa nera tradizionalista, si applica un unico modello di prevenzione dell'Hiv, derivato dall'ideologia della liberazione sessuale per cui si sono battuti i liberal americani. È una vera assurdità antropologica, e infatti in Africa non ha funzionato. Gli unici paesi in cui si segnala una flessione dei tassi di sieropositività sono quelli dove la gente ha ridotto il numero dei partner sessuali e ha praticato la fedeltà di coppia. Queste cose io le ho scoperte sul campo già all'inizio degli anni Novanta e ho cercato di comunicarle a tutti gli attori interessati, ma ho fatto molta fatica a trovare orecchie disposte ad ascoltarmi. I miei primi articoli, scientificamente ineccepibili, sono stati respinti da riviste importanti come Social Science and Medicine e Medical Anthropology. Io mi limitavo ad analizzare separatamente gli interventi condom-based e quelli non condom-based, ma già solo questo linguaggio li mandava in bestia: "È un'utopia, la verità è che tu odi i condom e hai in testa un'agenda religiosa", mi dicevano. Ma io non sono cristiano e non appartengo ad alcuna chiesa!».

«La verità amico, era ed è anche oggi un'altra: la lotta all'Aids è un'industria multimiliardaria che sarebbe messa in pericolo da una strategia così semplice come quella che dice "non avere tanti partner, sii fedele alla tua compagna, astieniti". Piuttosto che puntare all'eliminazione del rischio con una strategia che costerebbe molto poco e che molto poco è costata laddove, come in Uganda, è stata applicata, ci si limita alla riduzione del rischio spendendo miliardi di dollari in condom e antiretrovirali sempre più potenti a causa dei ceppi resistenti di Aids che sorgono. Ma è un business che resta molto popolare, perché è agganciato all'idea di "liberazione sessuale"».

15 ottobre 2009

Tripode dei cristiani in politica

Difesa della vita, famiglia e libertà di educazione: principi per i cristiani in politica


CITTA' DEL VATICANO, giovedì, 30 marzo 2006 (ZENIT.org).- Ci sono tre principi non negoziabili per la Chiesa e i cristiani nella vita pubblica, ha spiegato questo giovedì Benedetto XVI: la difesa della vita, il riconoscimento della famiglia e la libertà di educazione.

Il Papa lo ha detto a circa cinquecento parlamentari del Partito Popolare Europeo, che hanno celebrato a Roma il loro congresso continentale.

Nel suo discorso, con il quale ha risposto alle parole di saluto del presidente del gruppo parlamentare, Hans-Gert Poettering, il Santo Padre ha iniziato rivendicando il diritto dei rappresentanti religiosi ad esprimere i loro principi in una società democratica.

"Quando le Chiese o le comunità ecclesiali intervengono nel dibattito pubblico, esprimendo riserve o ricordando principi, non stanno manifestando forme di intolleranza o interferenza, perché questi interventi cercano unicamente di illuminare le coscienze, affinché le persone possano agire liberamente e con responsabilità, in base alle autentiche esigenze della giustizia, anche se questo può entrare in conflitto con situazioni di potere e di interesse personale", ha spiegato.

Passando ad analizzare in particolare gli interventi pubblici della Chiesa cattolica, la sua massima guida ha osservato che il suo interesse "si centra sulla protezione e sulla promozione della dignità della persona e per questo presta particolare attenzione ai principi che non sono negoziabili".

Con la chiarezza di un professore, il Pontefice ha enunciato questi principi:

- "protezione della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del suo concepimento fino alla morte naturale";

- "riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, e la sua difesa di fronte ai tentativi di far sì che sia giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che in realtà la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo ruolo sociale insostituibile";

- "la protezione del diritto dei genitori ad educare i loro figli".

Benedetto XVI ha constatato che "questi principi non sono verità di fede", perché "anche se sono illuminati e confermati dalla fede" "sono insiti nella natura umana, e pertanto sono comuni a tutta l'umanità".

"L'azione della Chiesa nella loro promozione non è quindi di carattere professionale, ma si dirige a tutte le persone, indipendentemente dalla loro affiliazione religiosa", ha affermato.

Quest'opera di difesa degli aspetti fondamentali della dignità umana, ha concluso, non dovrebbe essere realizzata solo dalla Chiesa. Di fatto, "è ancor più necessaria nella misura in cui questi principi sono negati o fraintesi, perché in questo modo si compie un'offesa alla verità della persona umana, una grave ferita provocata alla giustizia stessa".


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06 ottobre 2009

In Sud Sudan «crocifissi» sette cristiani

da Avvenire.it - 6/10/2009

LA GUERRA DIMENTICATA

In Sud Sudan «crocifissi» sette cristiani

Prima li hanno rapiti mentre pre­gavano in chiesa, strappandoli al­le loro famiglie: tutti ragazzini sui 15-20 anni. Poi, li hanno uccisi, a picco­li gruppi. Dapprima è toccato ad un ra­gazzo, trovato attaccato ad un albero: il suo corpo senza vita era orrendamente mutilato. Quindi è stata la volta di altri sei sequestrati: chi ne ha scoperto i cadave­ri ha descritto la scena come la «parodia di una crocifissione», con le vittime legate su assi di legno inchiodati a terra. A com­piere la sanguinosa strage sono stati ele­menti del Lord's Resistance Army (Lra), un gruppo armato nato nella Uganda del Nord, responsabile di attacchi contro ci­vili nella zona che lambisce Sudan, Re­pubblica democratica del Congo e la stessa Uganda.

È stata questa la drammatica fine di set­te cattolici della diocesi di Tombura­Yambio, nel Sudan meridionale. La de­nuncia arriva dal vescovo locale, monsi­gnor Eduardo Hiibiro Kussala, che ha raccontato il tragico episodio di violen­za che segnala, una volta di più, la dram­matica situazione del Sud Sudan alle pre­se con la recrudescenza di violenza e in­stabilità sociale sulla quale si innestano i raid dei ribelli ugandesi. A denunciare l'attacco è stato monsignor Kussala: il presule ha raccontato all'isti­tuzione Aiuto alla Chiesa che Soffre che nelle scorse settimane – il rapimento è avvenuto a metà agosto, ma le difficoltà di comunicazioni hanno permesso solo adesso di far conoscere fuori dal Sudan i macabri particolari del blitz che era pas­sato sotto silenzio – un folto gruppo di miliziani dell'Lra ha fatto irruzione nel­la chiesa di Nostra Signora della Pace nel­la città di Ezo, sul confine tra Sudan, Re­pubblica Centrafricana e Congo.

A po­chi giorni dopo risale il ritrovamento del­la prima vittima, mentre una settimana dopo è avvenuto il ritrovamento delle al­tre sei vittime nei pressi della città di N­zara. Alla violenza è riuscito a sfuggire invece un sacerdote, il parroco di Ezo, padre Justin, che ha trovato rifugio in u­na foresta vicino alla città. Di fronte a questi fatti il vescovo di Tom­bura- Yambio ha lanciato un appello al­la comunità internazionale: «Senza un intervento esterno non sarà possibile fer­mare le violenze e garantire la sicurezza di donne, bambini e civili innocenti, di­venuti il bersaglio di attacchi quasi quo­tidiani », sottolinea il presule in un'inter­vista al Sudan Tribune r ilanciata da Mi­sna . «Il governo non può non agire e affron­tare il problema dell'Lra. Ci aveva pro­messo di tenere la situazione sotto con­trollo, ma vediamo invece qual è la realtà. Chiediamo alla comunità internaziona­le di fare qualcosa». E parlando con Aiu­to alla Chiesa che Soffre il vescovo ha rac­contato le tristi condizioni dei suoi fede­li: «La gente viene da me con la soffe­renza negli occhi, chiedendomi di fare qualcosa e di riportare a casa i loro figli e nipoti rapiti».

Per­ché nella mani dei miliziani ugandesi restano ancora dieci ragazzini. In risposta al nuovo atto di violenza che ha preso di mira la comunità cattolica, monsignor Kussala ha indetto tre giorni di preghiera e peni­tenza: all'evento hanno preso parte oltre 20mila fedeli. «Pensavo che potes­se venire molta gente, ma sono arrivate il doppio delle persone previste. È stato un incontro impressionante», ha com­mentato Kussala. La situazione nel Sud Sudan sta pro­gressivamente peggiorando. Secondo al­cuni dati dell'Onu, gli attacchi dei ribel­li ugandesi nel Sudan meridionale, in particolare negli stati dell'Equatoria oc­cidentale (la regione dove ha sede la dio­cesi di Tombura-Yambio) e centrale, so­no in aumento: tra agosto e settembre sono state 11 le incursioni.

Lorenzo Fazzini