28 marzo 2008

Testimonianza sulla famiglia



Ventenne, romana, studia fisica all'università ed è la sesta di otto figli: 'sono nata in una famiglia cristiana, aperta alla vita, in una casa con la porta aperta a tutti'.
All'Auditorium della Conciliazione, Irene parla delle difficoltà materiali per una casa così numerosa, ma anche del valore della famiglia. E proprio per le famiglie alla politica 'non chiede politiche assistenziali, ma giustizia'.

Matteo 7

1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3 Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? 5
6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7 Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; 8 perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. 9 Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? 10 O se gli chiede un pesce, darà una serpe? 11 Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
15 Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 1617 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19 Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20 Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
28 Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento: 29 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.

27 marzo 2008

L'identità della Chiesa

di Ernesto Galli della Loggia (Corriere della Sera - 27/3/2008)


Sono due le questioni al centro della discussione nata dalla conversione al Cattolicesimo di Magdi Allam, nonché dal battesimo in San Pietro impartitogli da Benedetto XVI, che quella conversione ha per così dire ratificato e reso pubblica nel più solenne dei modi. La prima questione riguarda per l’appunto il fortissimo segno pubblico impresso dalla solennità della circostanza. Molti vi hanno visto quasi l’immagine di una «Ecclesia triumphans», di una nuova Chiesa trionfante pronta a lanciarsi in una crociata anti-islamica. Vi hanno visto cioè un più o meno esplicito contenuto politico. Prima però di rispondere se il gesto in questione possa davvero essere interpretato così, sarebbe bene riflettere sul fatto che, come in tutte le istituzioni che hanno alle spalle una tradizione secolare (penso alla monarchia britannica ad esempio), anche nella Chiesa cattolica «pubblico » e «politico» non sono necessariamente due dimensioni sovrapposte e/o sovrapponibili.

Spesso la dimensione pubblica, i riti, le celebrazioni, corrispondono a esigenze che piuttosto che con la politica hanno a che fare con una vicenda storico- identitaria; sono cioè la manifestazione e insieme la rivendicazione della propria natura e della propria storia. Si potrà naturalmente obiettare che tra i due ambiti vi è un certo rapporto, ed è senz’altro vero. Ma è ancor più vero che si tratta di cose assai diverse, le quali implicano intenzioni e prospettive ideali anch’esse assai diverse. Riaffermare pubblicamente chi si è, da quale storia si viene, non vuol dire affatto enunciare per ciò stesso un programma di azione, indicare obiettivi, insomma fare politica nel senso che comunemente si dà a questa parola. È molto probabile insomma che con il battesimo in San Pietro la Chiesa di Benedetto XVI — il cui pontificato sembra particolarmente sensibile proprio a questo tema — abbia voluto soprattutto riaffermare la propria identità, al cui centro sta, precisamente, la conversione. E cioè il battesimo.

Il Cristianesimo, infatti, lungi dal nascere come una religione etnica, cioè legata vocazionalmente a una determinata popolazione, è nato anzi in polemica con una religione siffatta, nel suo caso rappresentata per l’appunto dall’ebraismo. Proprio perciò esso dovette inizialmente affidare le sue sole speranze di successo alla spontanea adesione di migliaia e migliaia di uomini e donne, dovendo a null’altro che a tale adesione la sua prima, decisiva diffusione nel mondo. C’è stato e c’è un evidente, intimo nesso tra tutto questo e alcuni tratti cruciali dell’identità culturale cristiana nel suo complesso, a cominciare da quei tratti fondamentali costituiti dalla centralità della persona e dal primato della coscienza. Il motore storico del Cristianesimo, insomma, così come una delle sue massime dimensioni fondative, è stata la conversione. Ed è plausibile, direi ovvio, che per la Chiesa, la quale della storia cristiana si considera la vera erede, continui a esserlo; e che con il rito in San Pietro essa abbia voluto semplicemente ribadire questo elemento centralissimo della sua identità: a dispetto di ogni opportunismo (questo sì politico!) e di ogni conformismo dei tempi.

Ha senso fargliene una colpa? Tuttavia, si aggiunge —ed è la seconda questione di cui si dibatte—le «bellicose dichiarazioni» rese da Magdi Allam stesso all’indomani del battesimo hanno piegato ad un significato politico la sua conversione, e dunque anche il rito e la partecipazione ad esso del Papa. Certo: bellicose quelle dichiarazioni lo sono state senz’altro. Ma chi punta il dito contro di esse, vedendovi soltanto un clamoroso fraintendimento della natura complessa dell’Islam, e, ancor peggio, una mancanza di carità cristiana, chi fa ciò, non solo, forse, dovrebbe spendere almeno qualche parola sulla terribile condizione personale del dichiarante. Sul fatto, per esempio, che Allam, sua moglie e i suoi figli vivono ormai da anni una vita non vita, una vita priva di un solo momento di vera intimità e tranquillità, dovendo tutto prevedere e programmare, circondati, 24 ore su 24, da uomini con le armi spianate che stanno lì a ricordargli continuamente il pericolo mortale sospeso sulle loro teste.

Non solo; forse dovrebbe anche chiedersi come mai, di fronte alla violenza delle ripetute condanne a morte giunte dall’islamismo «estremista» ad Allam come a Salman Rusdie, come a Robert Redeker e a tanti altri, come mai di fronte alle «aberranti derive fondamentaliste e terroriste» dell’Islam, in nessuna occasione sia arrivata alle nostre orecchie dallo stesso Islam una voce significativa, alta e forte, di condanna; come mai nessun imam di fama, nessun celebre intellettuale, nessuna importante istituzione o assemblea islamica abbia mai pensato di pronunciarsi in maniera irrevocabile contro tale uso barbarico della fede. Dovrebbe chiederselo e, se possibile, anche darsi, e darci, una risposta.

25 marzo 2008

La nuova fede di Magdi Cristiano Allam

«Approdo di un lungo cammino
Decisivo l’incontro con il Papa»

Caro Direttore, ciò che ti sto per riferire concerne una mia scelta di fede religiosa e di vita personale che non vuole in alcun modo coinvolgere il Corriere della Sera di cui mi onoro di far parte dal 2003 con la qualifica di vice-direttore ad personam. Ti scrivo pertanto da protagonista della vicenda come privato cittadino. Ieri sera mi sono convertito alla religione cristiana cattolica, rinunciando alla mia precedente fede islamica. Ha così finalmente visto la luce, per grazia divina, il frutto sano e maturo di una lunga gestazione vissuta nella sofferenza e nella gioia, tra la profonda e intima riflessione e la consapevole e manifesta esternazione. Sono particolarmente grato a Sua Santità il Papa Benedetto XVI che mi ha impartito i sacramenti dell’iniziazione cristiana, Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella Basilica di San Pietro nel corso della solenne celebrazione della Veglia Pasquale. E ho assunto il nome cristiano più semplice ed esplicito: «Cristiano».

Da ieri dunque mi chiamo «Magdi Cristiano Allam». Per me è il giorno più bello della vita. Acquisire il dono della fede cristiana nella ricorrenza della Risurrezione di Cristo per mano del Santo Padre è, per un credente, un privilegio ineguagliabile e un bene inestimabile. A quasi 56 anni, nel mio piccolo, è un fatto storico, eccezionale e indimenticabile, che segna una svolta radicale e definitiva rispetto al passato. Il miracolo della Risurrezione di Cristo si è riverberato sulla mia anima liberandola dalle tenebre di una predicazione dove l’odio e l’intolleranza nei confronti del «diverso», condannato acriticamente quale «nemico», primeggiano sull’amore e il rispetto del «prossimo » che è sempre e comunque «persona»; così come la mia mente si è affrancata dall’oscurantismo di un’ideologia che legittima la menzogna e la dissimulazione, la morte violenta che induce all’omicidio e al suicidio, la cieca sottomissione e la tirannia, permettendomi di aderire all’autentica religione della Verità, della Vita e della Libertà. Nella mia prima Pasqua da cristiano io non ho scoperto solo Gesù, ho scoperto per la prima volta il vero e unico Dio, che è il Dio della Fede e Ragione.

Il punto d’approdo
La mia conversione al cattolicesimo è il punto d’approdo di una graduale e profonda meditazione interiore a cui non avrei potuto sottrarmi, visto che da cinque anni sono costretto a una vita blindata, con la vigilanza fissa a casa e la scorta dei carabinieri a ogni mio spostamento, a causa delle minacce e delle condanne a morte inflittemi dagli estremisti e dai terroristi islamici, sia quelli residenti in Italia sia quelli attivi all’estero. Ho dovuto interrogarmi sull’atteggiamento di coloro che hanno pubblicamente emesso delle fatwe, dei responsi giuridici islamici, denunciandomi, io che ero musulmano, come «nemico dell’islam», «ipocrita perché è un cristiano copto che finge di essere musulmano per danneggiare l’islam», «bugiardo e diffamatore dell’islam », legittimando in tal modo la mia condanna a morte. Mi sono chiesto come fosse possibile che chi, come me, si è battuto convintamente e strenuamente per un «islam moderato », assumendosi la responsabilità di esporsi in prima persona nella denuncia dell’estremismo e del terrorismo islamico, sia finito poi per essere condannato a morte nel nome dell’islam e sulla base di una legittimazione coranica. Ho così dovuto prendere atto che, al di là della contingenza che registra il sopravvento del fenomeno degli estremisti e del terrorismo islamico a livello mondiale, la radice del male è insita in un islam che è fisiologicamente violento e storicamente conflittuale.

Parallelamente la Provvidenza mi ha fatto incontrare delle persone cattoliche praticanti di buona volontà che, in virtù della loro testimonianza e della loro amicizia, sono diventate man mano un punto di riferimento sul piano della certezza della verità e della solidità dei valori. A cominciare da tanti amici di Comunione e Liberazione con in testa don Juliàn Carròn; a religiosi semplici quali don Gabriele Mangiarotti, suor Maria Gloria Riva, don Carlo Maurizi e padre Yohannis Lahzi Gaid; alla riscoperta dei salesiani grazie a don Angelo Tengattini e don Maurizio Verlezza culminata in una rinnovata amicizia con il Rettore maggiore Don Pascual Chavez Villanueva; fino all’abbraccio di alti prelati di grande umanità quali il cardinale Tarcisio Bertone, monsignor Luigi Negri, Giancarlo Vecerrica, Gino Romanazzi e, soprattutto, monsignor Rino Fisichella che mi ha personalmente seguito nel percorso spirituale di accettazione della fede cristiana. Ma indubbiamente l’incontro più straordinario e significativo nella decisione di convertirmi è stato quello con il Papa Benedetto XVI, che ho ammirato e difeso da musulmano per la sua maestria nel porre il legame indissolubile tra fede e ragione come fondamento dell’autentica religione e della civiltà umana, e a cui aderisco pienamente da cristiano per ispirarmi di nuova luce nel compimento della missione che Dio mi ha riservato.

La scelta e le minacce
Caro Direttore, mi hai chiesto se io non tema per la mia vita, nella consapevolezza che la conversione al cristianesimo mi procurerà certamente un’ennesima, e ben più grave, condanna a morte per apostasia. Hai perfettamente ragione. So a cosa vado incontro ma affronterò la mia sorte a testa alta, con la schiena dritta e con la solidità interiore di chi ha la certezza della propria fede. E lo sarò ancor di più dopo il gesto storico e coraggioso del Papa che, sin dal primo istante in cui è venuto a conoscenza del mio desiderio, ha subito accettato di impartirmi di persona i sacramenti d’iniziazione al cristianesimo. Sua Santità ha lanciato un messaggio esplicito e rivoluzionario a una Chiesa che finora è stata fin troppo prudente nella conversione dei musulmani, astenendosi dal fare proselitismo nei Paesi a maggioranza islamica e tacendo sulla realtà dei convertiti nei Paesi cristiani. Per paura. La paura di non poter tutelare i convertiti di fronte alla loro condanna a morte per apostasia e la paura delle rappresaglie nei confronti dei cristiani residenti nei Paesi islamici. Ebbene oggi Benedetto XVI, con la sua testimonianza, ci dice che bisogna vincere la paura e non avere alcun timore nell’affermare la verità di Gesù anche con i musulmani.

Basta con la violenza
Dal canto mio dico che è ora di porre fine all’arbitrio e alla violenza dei musulmani che non rispettano la libertà di scelta religiosa. In Italia ci sono migliaia di convertiti all’islam che vivono serenamente la loro nuova fede. Ma ci sono anche migliaia di musulmani convertiti al cristianesimo che sono costretti a celare la loro nuova fede per paura di essere assassinati dagli estremisti islamici che si annidano tra noi. Per uno di quei «casi» che evocano la mano discreta del Signore, il mio primo articolo scritto sul Corriere il 3 settembre 2003 si intitolava «Le nuove catacombe degli islamici convertiti». Era un’inchiesta su alcuni neo-cristiani che in Italia denunciavano la loro profonda solitudine spirituale ed umana, di fronte alla latitanza delle istituzioni dello Stato che non tutelano la loro sicurezza e al silenzio della stessa Chiesa. Ebbene mi auguro che dal gesto storico del Papa e dalla mia testimonianza traggano il convincimento che è arrivato il momento di uscire dalle tenebre dalle catacombe e di affermare pubblicamente la loro volontà di essere pienamente se stessi. Se non saremo in grado qui in Italia, nella culla del cattolicesimo, a casa nostra, di garantire a tutti la piena libertà religiosa, come potremmo mai essere credibili quando denunciamo la violazione di tale libertà altrove nel mondo? Prego Dio affinché questa Pasqua speciale doni la risurrezione dello spirito a tutti i fedeli in Cristo che sono stati finora soggiogati dalla paura.

Magdi Allam
23 marzo 2008

20 marzo 2008

Popoff nell'Udc

Cattolico, sposato con una catechista, oggi si occupa di sistemi informatici

Dallo Zecchino d'oro alla lista dell’Udc: corre con Casini il «bambino» di Popoff

Valter Brugiolo aveva conquistato l'Italia nel 1967 cantando le disavventure del cosacco cicciottello

Valter Brugiolo ai giorni nostri
MILANO — «Nella steppa sconfinata / a 40 sotto zero / se ne infischiano del gelo / i cosacchi dello Zar!». E adesso in fondo se ne infischia pure lui, ValterBrugiolo, che nel 1967 aveva cinque anni e conquistò lo Zecchino d’oro e l’Italia cantando le imprese del cosacco cicciottello che rimaneva indietro rispetto ai compagni diretti al fiume Don, «Ma Popoff / sbuffa, sbuffa e dopo un po’ / gli si affonda lo stivale nella neve e resta lì». Anche Brugiolo resta lì, e poco importa se nelle varie liste ai quattro angoli del Paese viaggiano in prima linea segretarie e pregiudicati, fisioterapiste di fiducia e gggiovani di bella presenza. Lui, candidato numero 19 dell’Udc alla Camera in Emilia-Romagna, l’altro giorno stava a fianco di Casini in un comizio all’Antoniano di Bologna ed è contento così, «io credo nella dottrina della Chiesa, nel valore della testimonianza, è importante cercare di portare un po’ di credibilità anche in politica, parlare di famiglia e principi non negoziabili, se pensassi a correre solo per vincere avrei preso da tempo strade diverse...».

Ascolta: «Popoff» allo Zecchino del 1967

Brugiolo nel '67 durante l'esibizione con il coro dell'Antoniano
Disarmante, Brugiolo. Dopo la vittoria allo Zecchino, quel bimbo dal caschetto biondo, che cantava serissimo il suo «Popoff» con le braccia dietro la schiena (su Youtube il video continua ad avere un suo pubblico: quasi settantamila spettatori) era diventato popolarissimo. Film musicali tipo Zum zum zum e spot per Carosello, a pensarci ancora ride, «c’erano due cose che non sopportavo da bambino: le banane e i formaggini. Crede mi abbiano proposto la Nutella? Macché, mi toccò la pubblicità dei formaggini...». E poi le serate in giro per l’Italia, «Cinecittà, Napoli, Capri», finché i genitori dissero: basta. «Hanno fatto una grande scelta, dicevano che quella vita non era adatta per un bimbo della mia età: e non è che fosse facile, la mia non era una famiglia agiata, avevano un mulino da portare avanti e sapevano bene cosa vuol dire la fatica, guadagnarsi la pagnotta. Se vorrai diventare cantante, dicevano, lo farai da grande...». Ora Valter ha 46 anni, si è laureato in Economia e commercio mentre aiutava suo padre al mulino e lavora come responsabile dei sistemi informatici in una coop di Bologna.. Vive ancora nel suo paese, a San Venanzio di Galliera.

E canta nella corale della parrocchia dove sua moglie Alessandra fa la catechista, «ho frequentato anche un corso di due anni in seminario per fare l’accolito, una figura che aiuta il parroco anche nella comunione, del resto facevo il chierichetto da quando avevo quattro anni...». Si sono sposati vent’anni fa, anche lei è una ragazza del paese, «abbiamo scoperto una foto dove io sto sulla giostra a quattro anni e lei è lì vicino, quasi in fasce!». Hanno quattro figli, «tre adottati e uno in affido». E basterebbe tutto questo a spiegare che cosa vorrebbe portare in politica. Se gli chiedi di Cuffaro sbuffa: «Non giudico chi non conosco. Ecco, magari in certi casi bisognerebbe farsi da parte in attesa che tutto si chiarisca, e non parlo solo di lui. In politica bisognerebbe essere credibili». E pazienza se non potrà essere eletto. In fondo il suo cosacco, mentre gli altri cedevano sfiniti, alla fine ce l’ha fatta, «Ma Popoff così tondo che farà /rotolando nella neve / fino al fiume arriverà!».

Gian Guido Vecchi
(Corriere della sera - 20/3/2008)

19 marzo 2008

Via Crucis 2005

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Via Crucis 2005 - 6°stazione

SESTA STAZIONE

La Veronica asciuga il volto di Gesù

MEDITAZIONE

“Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27, 8-9). Veronica – Berenice, secondo la tradizione greca – incarna questo anelito che accomuna tutti gli uomini pii dell’Antico Testamento, l’anelito di tutti gli uomini credenti a vedere il volto di Dio. Sulla Via crucis di Gesù, comunque, ella, all’inizio, non rende altro che un servizio di bontà femminile: offre un sudario a Gesù. Non si fa né contagiare dalla brutalità dei soldati, né immobilizzare dalla paura dei discepoli. È l’immagine della donna buona, che, nel turbamento e nell’oscurità dei cuori, mantiene il coraggio della bontà, non permette che il suo cuore si ottenebri. “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5, 8). All’inizio Veronica vede soltanto un volto maltrattato e segnato dal dolore. Ma l’atto d’amore imprime nel suo cuore la vera immagine di Gesù: nel Volto umano, pieno di sangue e di ferite, ella vede il Volto di Dio e della sua bontà, che ci segue anche nel più profondo dolore. Soltanto con il cuore possiamo vedere Gesù. Soltanto l’amore ci rende capaci di vedere e ci rende puri. Soltanto l’amore ci fa riconoscere Dio che è l’amore stesso.

ORAZIONE

Signore, donaci l’inquietudine del cuore che cerca il tuo volto. Proteggici dall’ottenebramento del cuore che vede solo la superficie delle cose. Donaci quella schiettezza e purezza che ci rendono capaci di vedere la tua presenza nel mondo. Quando non siamo capaci di compiere grandi cose, donaci il coraggio di un’umile bontà. Imprimi il tuo volto nei nostri cuori, così che possiamo incontrarti e mostrare al mondo la tua immagine.

Via Crucis 2005 - 5°stazione

QUINTA STAZIONE

Gesù è aiutato dal Cireneo a portare la Croce

MEDITAZIONE

Simone di Cirene torna dal lavoro, è sulla strada di casa quando s’imbatte in quel triste corteo di condannati – per lui, forse, uno spettacolo abituale. I soldati usano del loro diritto di coercizione e mettono la croce addosso a lui, robusto uomo di campagna. Quale fastidio deve aver provato nel trovarsi improvvisamente coinvolto nel destino di quei condannati! Fa quello che deve fare, certo con molta riluttanza. L’evangelista Marco però, assieme a lui, nomina anche i suoi figli, che evidentemente erano conosciuti come cristiani, come membri di quella comunità (Mc 15, 21). Dall’incontro involontario è scaturita la fede. Accompagnando Gesù e condividendo il peso della croce, il Cireneo ha capito che era una grazia poter camminare assieme a questo Crocifisso e assisterlo. Il mistero di Gesù sofferente e muto gli ha toccato il cuore. Gesù, il cui amore divino solo poteva e può redimere l’umanità intera, vuole che condividiamo la sua croce per completare quello che ancora manca ai suoi patimenti (Col 1, 24). Ogni volta che con bontà ci facciamo incontro a qualcuno che soffre, qualcuno che è perseguitato e inerme, condividendo la sua sofferenza, aiutiamo a portare la croce stessa di Gesù. E così otteniamo salvezza e noi stessi possiamo contribuire alla salvezza del mondo.

PREGHIERA

Signore, a Simone di Cirene hai aperto gli occhi e il cuore, donandogli, nella condivisione della croce, la grazia della fede. Aiutaci ad assistere il nostro prossimo che soffre, anche se questa chiamata dovesse essere in contraddizione con i nostri progetti e le nostre simpatie. Donaci di riconoscere che è una grazia poter condividere la croce degli altri e sperimentare che così siamo in cammino con te. Donaci di riconoscere con gioia che proprio nel condividere la tua sofferenza e le sofferenze di questo mondo diveniamo servitori della salvezza, e che così possiamo aiutare a costruire il tuo corpo, la Chiesa.

Via Crucis 2005 - 4°stazione

QUARTA STAZIONE

Gesù incontra sua Madre

MEDITAZIONE

Sulla Via crucis di Gesù c’è anche Maria, sua Madre. Durante la sua vita pubblica dovette farsi da parte, per lasciare spazio alla nascita della nuova famiglia di Gesù, la famiglia dei suoi discepoli. Dovette anche sentire queste parole: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (Mt 12, 48-50). Adesso si vede che ella, non soltanto nel corpo, ma nel cuore, è la Madre di Gesù. Ancora prima di averlo concepito nel corpo, grazie alla sua obbedienza, lo aveva concepito nel cuore. Le fu detto: “Ecco concepirai un figlio… Sarà grande… il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre” (Lc 1, 31s). Ma poco dopo aveva sentito dalla bocca del vecchio Simeone un’altra parola: “E anche a te una spada trafiggerà l’anima” (Lc 2, 35). Così si sarà ricordata delle parole pronunciate dai profeti, parole come queste: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello” (Is 53, 7). Ora tutto questo diventa realtà. Nel suo cuore avrà sempre custodito la parola che l’angelo le aveva detto quando tutto cominciò: “Non temere, Maria” (Lc 1, 30). I discepoli sono fuggiti, ella non fugge. Ella sta lì, con il coraggio della madre, con la fedeltà della madre, con la bontà della madre, e con la sua fede, che resiste nell’oscurità: “E beata colei che ha creduto” (Lc 1, 45). “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18, 8). Sì, in questo momento egli lo sa: troverà la fede. Questa, in quell’ora, è la sua grande consolazione.

PREGHIERA

Santa Maria, Madre del Signore, sei rimasta fedele quando i discepoli sono fuggiti. Come hai creduto quando l’angelo ti annunciò ciò che era incredibile - che saresti divenuta madre dell’Altissimo - così hai creduto nell’ora della sua più grande umiliazione. È così che, nell’ora della croce, nell’ora della notte più buia del mondo, sei diventata Madre dei credenti, Madre della Chiesa. Ti preghiamo: insegnaci a credere e aiutaci affinché la fede diventi coraggio di servire e gesto di un amore che soccorre e sa condividere la sofferenza.

18 marzo 2008

Via Crucis 2005 - 3°stazione

TERZA STAZIONE

Gesù cade la prima volta

MEDITAZIONE

L’uomo è caduto e cade sempre di nuovo: quante volte egli diventa la caricatura di se stesso, non più immagine di Dio, ma qualcosa che mette in ridicolo il Creatore. Colui che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, incappò nei briganti che lo spogliarono lasciandolo mezzo morto, sanguinante al bordo della strada, non è forse l’immagine per eccellenza dell’uomo? La caduta di Gesù sotto la croce non è soltanto la caduta dell’uomo Gesù già sfinito dalla flagellazione. Qui emerge qualcosa di più profondo, come Paolo dice nella lettera ai Filippesi: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini… umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2, 6-8). Nella caduta di Gesù sotto il peso della croce appare l’intero suo percorso: il suo volontario abbassamento per sollevarci dal nostro orgoglio. E nello stesso tempo emerge la natura del nostro orgoglio: la superbia con cui vogliamo emanciparci da Dio non essendo nient’altro che noi stessi, con cui crediamo di non aver bisogno dell’amore eterno, ma vogliamo dar forma alla nostra vita da soli. In questa ribellione contro la verità, in questo tentativo di essere noi stessi dio, di essere creatori e giudici di noi stessi, precipitiamo e finiamo per autodistruggerci. L’abbassamento di Gesù è il superamento della nostra superbia: con il suo abbassamento ci fa rialzare. Lasciamo che ci rialzi. Spogliamoci della nostra autosufficienza, della nostra errata smania di autonomia e impariamo invece da lui, da colui che si è abbassato, a trovare la nostra vera grandezza, abbassandoci e volgendoci a Dio e ai fratelli calpestati.

PREGHIERA

Signore Gesù, il peso della croce ti ha fatto cadere per terra. Il peso del nostro peccato, il peso della nostra superbia ti atterra. Ma la tua caduta non è segno di un destino avverso, non è la pura e semplice debolezza di chi è calpestato. Sei voluto venire incontro a noi che, per la nostra superbia, giacciamo per terra. La superbia di pensare che siamo in grado di produrre l’uomo ha fatto sì che gli uomini siano diventati una sorta di merce, che vengano comprati e venduti, che siano come un serbatoio di materiale per i nostri esperimenti, con i quali speriamo di superare da noi stessi la morte, mentre, in verità, non facciamo altro che umiliare sempre più profondamente la dignità dell’uomo. Signore, aiutaci perché siamo caduti. Aiutaci ad abbandonare la nostra superbia distruttiva e, imparando dalla tua umiltà, a essere rialzati di nuovo.

Via Crucis 2005 - 2°stazione

SECONDA STAZIONE

Gesù è caricato della Croce

MEDITAZIONE

Gesù, condannato come sedicente re, viene deriso, ma proprio nella derisione emerge crudelmente la verità. Quante volte le insegne del potere portate dai potenti di questo mondo sono un insulto alla verità, alla giustizia e alla dignità dell’uomo! Quante volte i loro rituali e le loro grandi parole, in verità, non sono altro che pompose menzogne, una caricatura del compito a cui sono tenuti per il loro ufficio, quello di mettersi a servizio del bene. Gesù, colui che viene deriso e che porta la corona della sofferenza, è proprio per questo il vero re. Il suo scettro è giustizia (cfr. Sal 45, 7). Il prezzo della giustizia è sofferenza in questo mondo: lui, il vero re, non regna tramite la violenza, ma tramite l’amore che soffre per noi e con noi. Egli porta la croce su di sé, la nostra croce, il peso dell’essere uomini, il peso del mondo. È così che egli ci precede e ci mostra come trovare la via per la vita vera.

PREGHIERA

Signore, ti sei lasciato deridere e oltraggiare. Aiutaci a non unirci a coloro che deridono chi soffre e chi è debole. Aiutaci a riconoscere in coloro che sono umiliati ed emarginati il tuo volto. Aiutaci a non scoraggiarci davanti alle beffe del mondo quando l’obbedienza alla tua volontà viene messa in ridicolo. Tu hai portato la croce e ci hai invitato a seguirti su questa via (Mt 10, 38). Aiutaci ad accettare la croce, a non sfuggirla, a non lamentarci e a non lasciare che i nostri cuori si abbattano di fronte alle fatiche della vita. Aiutaci a percorrere la via dell’amore e, obbedendo alle sue esigenze, a raggiungere la vera gioia.

17 marzo 2008

Via Crucis 2005 - 1°stazione

Via Crucis del 25 marzo 2005,
l'ultima del pontificato di Giovanni Paolo II, celebrata dal Cardinale Ratzinger


PRIMA STAZIONE

Gesù è condannato a morte

MEDITAZIONE

Il Giudice del mondo, che un giorno ritornerà a giudicare tutti noi, sta lì, annientato, disonorato e inerme davanti al giudice terreno. Pilato non è un mostro di malvagità. Sa che questo condannato è innocente; cerca il modo di liberarlo. Ma il suo cuore è diviso. E alla fine fa prevalere sul diritto la sua posizione, se stesso. Anche gli uomini che urlano e chiedono la morte di Gesù non sono dei mostri di malvagità. Molti di loro, il giorno di Pentecoste, si sentiranno “trafiggere il cuore” (At 2, 37), quando Pietro dirà loro: “Gesù di Nazareth – uomo accreditato da Dio presso di voi – … voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi…” (At 2, 22s). Ma in quel momento subiscono l’influenza della folla. Urlano perché urlano gli altri e come urlano gli altri. E così, la giustizia viene calpestata per vigliaccheria, per pusillanimità, per paura del diktat della mentalità dominante. La sottile voce della coscienza viene soffocata dalle urla della folla. L’indecisione, il rispetto umano conferiscono forza al male.

PREGHIERA

Signore, sei stato condannato a morte perché la paura dello sguardo altrui ha soffocato la voce della coscienza. Accade sempre così, lungo tutta la storia, che degli innocenti vengano maltrattati, condannati e uccisi. Quante volte abbiamo, anche noi, preferito il successo alla verità, la nostra reputazione alla giustizia. Dona forza, nella nostra vita, alla sottile voce della coscienza, alla tua voce. Guardami come hai guardato Pietro dopo il rinnegamento. Fa’ che il tuo sguardo penetri nelle nostre anime e indichi la direzione alla nostra vita. A coloro che il Venerdì santo hanno urlato contro di te, il giorno di Pentecoste hai donato la commozione del cuore e la conversione. E così hai dato speranza a tutti noi. Dona anche a noi, sempre di nuovo, la grazia della conversione.

Ricordi...

14 marzo 2008

Caro Adriano, Abort macht frei

Prima di una serie di risposte al pamphlet di Sofri
Caro Adriano, Abort macht frei

di Giuliano Ferrara - il Foglio - 14/3/2008

Caro Adriano, rubo tempo al sonno per rispondere in campagna elettorale, dunque a rate, al tuo consistente pamphlet “Contro Giuliano”, che è una lunga lettera d’amicizia e di radicale dissenso dalle mie idee sull’aborto e il maltrattamento della vita umana. Ma ora che hai condensato in un’intervista all’Espresso ciò che pensi, è urgente una risposta da giornale a giornale entro la misura di tempo che è dei giornali. Ora che le tue idee distese e pensate, sbagliatissime epperò amichevoli, vanno in pasto al giornalista collettivo, che ne saprà fare uso acconcio, il subgiornalista individualista che io sono è tenuto a replicare.
Avrai letto le nuove da Genova. Avrai visto, tu che tendi a riconoscermelo sia pure con riserva, che la 194 non c’entra con la mia campagna. Io sono inorridito dall’aborto moralmente indifferente, seriale, segnacolo chirurgico o farmacologico nel vessillo della libertà femminile, non da una legge che si proponeva di combattere l’aborto clandestino “tutelando socialmente la maternità”. Avrai visto su Repubblica di ieri, a pagina quindici, l’onesta cronaca di due giornalisti non collettivi sui motivi degli aborti nel milieu benestante (da cinquecento a mille euro l’uno) di una certa Genova. Avrai letto che si può raschiare via un bambino da un utero, e assoggettarsi a questo orrore che ti seguirà tutta la vita, e che si può comporlo in una busta di plastica, chiamarlo “rifiuto speciale ospedaliero”, gettarlo in una discarica, perché si deve proteggere la carriera in un reality show, e agire in tutta riservatezza. Avrai letto che la stessa cosa si può fare perché un fidanzamento è in crisi. Avrai visto che questi delitti non si commettono per tutelare la salute fisica e psichica delle donne, secondo il dettato di una legge tradita dalla più spietata ipocrisia ideologica e sociale, ma “perché l’ho deciso”, cioè perché sono libera di farlo, l’aborto mica è illegale, non sapevo nemmeno che andando da un ginecologo privato commettevo un reato.
Abort macht frei. Abtreibung macht frei. Questo bisognerebbe scrivere, trent’anni dopo, un miliardo di aborti dopo, davanti agli studi ginecologici abortisti e agli ospedali dove si praticano le cosiddette interruzioni di gravidanza. E mi dispiace che tu dissenta da Giovanni Paolo II il Grande, e da una specie di Klinefelter con le palle piccole come sono io, quando ti diciamo ciò che è ovvio, scontato, vero e fin troppo reale: l’aborto massificato e moralmente e mortalmente indifferente di oggi è una pratica di disprezzo e disumanizzazione della vita il cui unico paragone moderno è la Shoah. E’ un reality da paura contro il quale devono insorgere le convinzioni laiche di ogni cattolico e il voto cristiano di ogni laico che non abbia portato il cervello all’ammasso delle discariche in cui vengono gettati i feti.
Tu sei convinto che io sia un convertito, uno strano simulatore della fede che però passa di conversione in conversione invece di aderire con la tua sovrana stabilità alla cultura pestifera emersa dallo squallido riflusso delle famose lotte degli anni Sessanta, poi fattesi mattatoio negli anni Settanta, gli anni del terrorismo e dell’aborto. Ti risponderò bene bene su questo, e domani nel Foglio vedrai che cosa accade quando in un teatro di Catania parlo di Cristo, della fede, della ragione e della tecnoscienza con un prete che mi è amico e mi vuole a tutti i costi convertire sulla via del Signore. Ma intanto. Perché non chiedi una piccola conversione, anche provvisoria, alla ministra delle Impari Opportunità di vita e di morte, onorevole Barbara Pollastrini? Quella gentile signora che dichiarava, mentre emergeva la realtà di un bambino ucciso per un reality, che la colpa di quel che è successo a Genova era mia? Perché non chiedi una simulazione della fede alla cattolica Livia Turco, ministra della Salute, che invece di occuparsi dei corpi delle donne e dei bambini, martoriati dall’aborto, punta a introdurre in Italia la pillola abortiva Ru486, cioè la soluzione finale?
Perché tu lo sai, vero Adriano?, lo sai che quando la soubrette del reality, che Dio protegga la sua serenità personale e il suo anonimato (il mio giornale lo custodirà con attenzione), quando la ragazza sarà in grado di andare dal dottor Viale, quel buffo ginecologo radicale e democratico con il Diavolo che gli fa capolino sulla spalla, e chiedergli una pilloletta amica per soddisfare il proprio desiderio abortivo-televisivo, e lui gliela darà felice, sarà stato costruito il ponte, l’anello mancante, tra l’aborto pubblico per la “tutela sociale della maternità” e l’aborto privato e clandestino, fatto in ambulatorio o a casa, nel bagno della propria casa, con l’espulsione privata del feto, e tanti saluti alle campagne odiose di Giuliano Ferrara. Sarà il trionfo dell’anarchia etica, non quella di Silvio Berlusconi, che come al solito è una innocente commedia leggera, quella della realtà, quella di tutti i giorni, quella della nostra malinconia e della nostra dannazione.
Che le donne non siano assassine, ma l’aborto sia un omicidio, non l’ho detto solo io. L’ha detto la tua amata Natalia Ginzburg, l’ha detto il tuo maestro Bobbio, il tuo poeta prediletto Pasolini. Tutta gente che hai messo in appendice al tuo pamphlet contro Giuliano. Li ho usati tutti per spiegare quel che penso e quel che sento. Io li ho usati, traendoli dall’ectoplasma degli anni Settanta e Ottanta, perché purtroppo non posso usare te, non posso usare testimonianze serie e coraggiose del mio tempo tristo e ortodosso, che ha dichiarato eretici amore e buonumore, perché testimonianze del genere non ci sono più, non ci sono più voci moderne che si pronuncino contro l’immondezzaio dell’aborto di massa o che almeno, anche nella comprensione e nella denuncia di un mistero (come Natalia), chiamino le cose con il loro nome. E sai perché non ci sono più quelle voci, a parte i “nostri”, quelli di un mondo che voi intellettuali di sinistra non sapete ascoltare e che vi è estraneo, parlo delle voci di preti e di filosofi e di gente comune che non accetta la cultura della morte; sai perché non ci sono più, dalla tua parte, persone che dicano come stanno le cose? Perché siamo nel mondo postmoderno, ha vinto il pensiero debole, il relativismo nichilista senza remore né confini, e nominare le cose con il loro nome vuol dire bestemmia contro gli idoli, vuol dire presumere che esista quella cosa che oggi si considera cupa e dominatrice e che è la verità, la rocciosa verità che resta dopo che tutto quanto è crollato.
Io sono isolato ma non vinto, caro Adriano. Non ho ripudiato il mio mondo, è dal meglio del mio mondo laico che prendo le risorse razionali per stringere la mano di quell’altro mondo di fede che rispetta la realtà. Non sono io che criminalizzo o colpevolizzo le donne, è l’aborto che le sfregia. Non sono io che calunnio i benpensanti abortisti, sono loro che si diffamano da soli al cospetto della ragione, della cultura e dello spirito. Con te i tiepidi di ogni latitudine e longitudine, che saranno regolarmente vomitati, con me le diocesi di Roma e di Toledo, e mi bastano. Con me la verità, e mi basta e avanza. Anche perché la dico e continuerò a dirla senza fanatismo, ma con una ferrigna e intrattabile convinzione. Trovando il cinismo dove si nasconde e provando a infilzarlo con la mia lancia, e peggio per me se prenderò un sacco di botte, intanto la verità sarà stata detta, si saprà che ce n’è una sola, e il chicco di grano se ne morirà come deve perché qualcuno raccolga. Per il resto, come ti ho detto, ruberò tempo al sonno e ti risponderò a rate.

13 marzo 2008

Il giusto vivrà mediante la fede

Capitolo 1 della lettera di San Paolo Apostolo ai Romani

1 Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio, 2 che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture, 3 riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, 4 costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore. 5 Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome; 6 e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo. 7 A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
8 Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo. 9 Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi, 1011 Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati, 12 o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13 Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi - ma finora ne sono stato impedito - per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra gli altri Gentili. 14 Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti: 15 sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma.
16 Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. 17 È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: Il giusto vivrà mediante la fede.
18 In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia, 19 poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato. 20 Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità; 21 essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa. 22 Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti 23 e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24 Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, 25 poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
26 Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. 27 Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. 28 E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, 29 colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, 30 maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, 31 insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. 32 E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.
chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi.

11 marzo 2008

10 marzo 2008

Il Papa sulla Vita eterna

dall'omelia di BENEDETTO XVI

Chiesa di San Lorenzo “in piscibus”, Via Pfeiffer, Roma
V Domenica di Quaresima, 9 marzo 2008
[...]
Veniamo adesso al Vangelo di questo giorno dedicato ad un tema grande, fondamentale: che cosa è la vita? che cosa è la morte? come vivere? come morire? San Giovanni, per farci meglio capire questo mistero della vita e la risposta di Gesù, usa per questa unica realtà della vita due parole diverse, per indicare le diverse dimensioni di questa realtà “vita”: la parola bíos e la parola zoé. Bíos, come si capisce facilmente, significa questo grande biocosmo, questa biosfera che va dalle singole cellule primitive fino agli organismi più organizzati, più sviluppati; questo grande albero della vita, nel quale tutte le possibilità di questa realtà bíos si sono sviluppate. A questo albero della vita appartiene l’uomo; egli fa parte di questo cosmo della vita che comincia con un miracolo: nella materia inerte si sviluppa un centro vitale; la realtà che noi chiamiamo organismo.

Ma l’uomo, pur essendo parte di questo grande biocosmo, lo trascende perché è parte pure di quella realtà che san Giovanni chiama zoé. E’ un nuovo livello della vita, in cui l’essere si apre alla conoscenza. Certo, l’uomo è sempre uomo con tutta la sua dignità, anche se in stato di coma, anche se allo stadio di embrione, ma se egli vive solo biologicamente, non sono realizzate e sviluppate tutte le potenzialità del suo essere. L’uomo è chiamato ad aprirsi a nuove dimensioni. Egli è un essere che conosce. Certo anche gli animali conoscono, ma solo le cose che sono interessanti per la loro vita biologica. La conoscenza dell’uomo va oltre; egli vuol conoscere tutto, tutta la realtà, la realtà nella sua totalità; vuol sapere che cosa è questo suo essere e che cosa è il mondo. Ha sete di una conoscenza dell’infinito, vuole arrivare alla fonte della vita, vuole bere a questa fonte, trovare la vita stessa.

E abbiamo toccato così una seconda dimensione: l’uomo non è solo un essere che conosce; egli vive anche in relazione di amicizia, di amore. Oltre alla dimensione della conoscenza della verità e dell’essere, esiste, inseparabile da questa, la dimensione della relazione, dell’amore. E qui l’uomo si avvicina maggiormente alla fonte della vita, dalla quale vuol bere per avere la vita in abbondanza, per avere la vita stessa. Potremmo dire che tutta la scienza è un’unica grande lotta per la vita; lo è soprattutto la medicina. In fin dei conti, la medicina è ricerca di contrapporsi alla morte, è ricerca dell’immortalità. Ma possiamo trovare la medicina che ci assicuri l’immortalità? E’ proprio questa la questione del Vangelo di oggi. Proviamo ad immaginare che la medicina arrivi a trovare la ricetta contro la morte, la ricetta dell’immortalità. Anche in quel caso, si tratterebbe pur sempre di una medicina che si collocherebbe entro la biosfera, una medicina certamente utile anche per la nostra vita spirituale e umana, ma di per sé una medicina confinata entro questa biosfera. E’ facile immaginare quel che succederebbe se la vita biologica dell’uomo fosse senza fine, fosse immortale: ci ritroveremmo in un mondo invecchiato, un mondo pieno di vecchi, un mondo che non lascerebbe più spazio ai giovani, al rinnovarsi della vita. Comprendiamo così che questo non può essere quel tipo di immortalità a cui aspiriamo; non è questa la possibilità di bere alla fonte della vita che noi tutti desideriamo.

Proprio a questo punto in cui, da una parte, capiamo di non poter sperare in un prolungamento infinito della vita biologica e tuttavia, dall’altra, desideriamo bere alla fonte stessa della vita per godere di una vita senza fine, proprio a questo punto interviene il Signore e ci parla nel Vangelo dicendo: “Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno”. “Io sono la Risurrezione”: bere alla fonte della vita è entrare in comunione con questo amore infinito che è la fonte della vita. Incontrando Cristo, entriamo in contatto, anzi in comunione, con la vita stessa e abbiamo già attraversato la soglia della morte, perché siamo in contatto, al di là della vita biologica, con la vita vera.

I Padri della Chiesa hanno chiamato l’Eucaristia farmaco dell’immortalità. Ed è così, perché nell’Eucaristia entriamo in contatto, anzi in comunione, con il corpo risorto di Cristo, entriamo nello spazio della vita già risorta, della vita eterna. Entriamo in comunione con questo corpo che è animato dalla vita immortale e siamo così già da ora e per sempre nello spazio della vita stessa. E così questo Vangelo è anche una profonda interpretazione di che cos’è l’Eucaristia e ci invita a vivere realmente dell’Eucaristia per poter essere così trasformati nella comunione dell’amore. Questa è la vera vita. Il Signore nel Vangelo di Giovanni dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Vita in abbondanza non è, come alcuni pensano, consumare tutto, avere tutto, poter fare tutto ciò che si vuole. In quel caso vivremmo per le cose morte, vivremmo per la morte. Vita in abbondanza è essere in comunione con la vera vita, con l’amore infinito. E’ così che entriamo realmente nell’abbondanza della vita e diveniamo portatori della vita anche per gli altri.

I prigionieri di guerra che erano in Russia per dieci anni e più, esposti al freddo e alla fame, dopo essere ritornati hanno detto: “Potevo sopravvivere perché sapevo di essere aspettato. Sapevo che c’erano persone che mi aspettavano, che ero necessario e atteso”. Questo amore che li aspettava è stata l’efficace medicina della vita contro tutti i mali. In realtà, noi tutti siamo aspettati. Il Signore ci aspetta e non solo ci aspetta; è presente e ci tende la mano. Accettiamo la mano del Signore e preghiamolo di concederci di vivere realmente, di vivere l’abbondanza della vita e di poter così comunicare anche ai nostri contemporanei la vera vita, la vita in abbondanza. Amen

09 marzo 2008

Suor Rita Montella

Secondo alcune testimonianze, Suor Rita Montella dello Spirito Santo, è colei che, in bilocazione, ha fermato la mano di Ali Agca impedendogli di uccidere Giovanni Paolo II. Antonio Socci lo racconta nel suo ultimo libro "Il segreto di Padre Pio".

Per leggere il testo del racconto clicca qui.

Pensieri di un "reduce"

Il concerto-intervento del cantautore in piazza Farnese

Il canto libero di Ferretti Giovanni Lindo

Piazza bella piazza a sostegno di una lista pazza

S'OSTINA

Da giovane frequentavo le piazze. Ogni sabato pomeriggio, per qualche anno, sono sceso in piazza a manifestare: occasioni internazionali, nazionali, locali, non mancavano. C’era sempre una bastarda repressione da contrastare, una nobile causa da sostenere. Certo non sono stato né il primo né l’ultimo che, nell’assoluta convinzione di essere libero, padrone della propria esistenza e votato alla miglior causa si è ritrovato poi a constatare l’infinita distanza, spesso la netta contrapposizione, tra la realtà e le parole usate per comprenderla e raccontarla. Tra la complessità del vivere e la sua riduzione a sequela rancorosa e lineare, tra il mistero della vita e la lista delle rivendicazioni. Convinto di luccicare di verità e di libertà mi sono ritrovato a proteggere l’oppressione e servire la menzogna. E’ stata la guerra che ha distrutto la Jugoslavia a travolgermi: la realtà e l’ideologia che avrebbe dovuto decodificarla erano inconciliabili. Anzi, l’ideologia che sostenevo era un peggiorativo dell’esistente. Un po’ come chi semina vento, raccoglie tempesta e si rammarica per il maltempo. A Mostar, ridente cittadina europea a vocazione turistica, travolta dall’odio e dal sangue, la realtà si presentava in forma beffarda. La linea del fuoco, cannoneggiata bombardata cecchinata, era il “viale della pace e della fratellanza tra i popoli”: il dogma dell’internazionalismo socialista e la bandiera del pacifismo. Sono stato costretto a guardare la realtà con i miei occhi, ad ascoltare con le mie orecchie, a toccare con mano. Mi sono ricordato che, da qualche parte c’era un cuore e, per quanto maltrattata, avevo un’anima. Così ero stato allevato e ben educato: era il caso di ricominciare da lì. Trovarmi altri maestri, nuovi insegnanti, vecchi insegnamenti.

LE COSE CAMBIANO

Me ne sono tornato a casa. Molte incombenze quotidiane, nessuna pretesa, nessuna rivendicazione. Fosse servito a qualcosa prendermi a schiaffi per la mia dabbenaggine l’avrei fatto. Ho preferito ringraziare per la vita che mi era stata donata. Non immaginavo un qualsiasi pubblico impegno per l’avvenire ma, per l’appunto, la vita oltre che dono, meraviglioso comunque, è un mistero che non siamo noi a determinare. Non così tanto come vorremmo. C’è altro oltre la nostra buona o pessima volontà. Ho cominciato a comprare il Foglio. La prima volta che l’ho visto, sullo scaffale di un’edicola, l’ho comprato, con un po’ di imbarazzo residuale, perché era bello. Come? – mi sono detto – in un tempo in cui i giornali sono sempre più gravati da titoli, fotografie, rubriche, allegati, colori, chi è che si permette tanta eleganza formale, tanta leggerezza?. Il Foglio è diventato il mio legame quotidiano con il contemporaneo e poi molto di più perché mi ha aperto alla conoscenza di mondi sconosciuti di cui percepivo la mancanza: il pensiero neo-conservatore americano, tanto per dirne uno. Grazie, di cuore, Giuliano Ferrara.

SIAMO CASI DIFFICILI

Un giorno al bar mentre bevevo il caffè mi sono messo a sfogliare l’Espresso che “dalla A alla Z” snocciolava tutti i bei nomi della musica, dello spettacolo. Tutti a favore dell’abrogazione della legge sulla fecondazione assistita. La cosa che mi ha innervosito oltre ogni limite era l’assunto indubitabile: la musica è il bene, il giusto e da che mondo è mondo il bene e il giusto sono di sinistra sono progressisti. Mi sono sentito chiamato in causa, proprio io, ero pur sempre il cantante dei CCCP Fedeli alla Linea, dei CSI. Non ci ho mangiato, non ci ho dormito, finché non ho scritto una letterina e l’ho spedita al Foglio grazie al quale avevo scoperto che, anche in quel caso come nella mia vita, tra la realtà e le parole che la raccontano si può creare un corto circuito. Spacciare l’eugenetica per liberazione non mi pare bello. Spacciare i desideri per diritti non mi pare giusto. E se il mondo della musica lo fa, con quella nonchalance che rende evidente la propria superiorità morale e materiale, beh! allora toccava a me, nel mio piccolo, sostenere Giuliano Ferrara e il cardinale Ruini. Mai e poi mai avrei immaginato il risultato del referendum. Ho riso di cuore per giorni e giorni. Come? Tutta lì, in quella percentuale, l’Italia dei media, della cultura, dello spettacolo, del radioso futuro, dei diritti perfetti così come fan tutti, così come bisogna fare? Da allora ogni tanto scrivo al Foglio, ogni volta mi chiedo il perché, che senso ha, chi mi credo di essere? Non lo so, non so rispondermi, ma ci sono cose, problemi, accadimenti, che interrogano tutti, e ognuno secondo le proprie capacità e responsabilità, è chiamato a rispondere. Non si può far finta di niente. Non per le cose essenziali della vita, quelle davvero importanti.

AMANDOTI - Per sempre

Quanto suona strano, in un vortice di mutazioni e cambiamenti che inducono a reinventarsi la vita ogni giorno, ogni weekend, ogni stagione come se noi potessimo ricrearci a nostra immagine e somiglianza, a misura delle nostre voglie, dei nostri contrattempi! Un ciclo perpetuo di sfilate dove agli ingegneri sociali, come ai grandi sarti, spetta volare alto: alta moda, per i maestri del pensiero, gli organizzatori sociali, c’è il prêt-à-porter e alle grandi masse toccano i grandi magazzini, i saldi, l’usato comunque l’obbligo di far bella figura, essere, in tempo reale, aggiornati. Comunque la si rigiri, e si può rigirare all’infinito, trattasi sempre di braghe o di gonne. Hai voglia di chiamarli pareo o salopettes. Trattasi dell’umano: maschi e femmine. Declinabili, i due, in tutte le variazioni possibili, inimmaginabili a priori ma, dal momento del concepimento alla morte, vivi, vitali, in atto e in potenza. Trattasi della meraviglia del creato, delle creature, questi esseri miserrimi e sorprendenti che noi tutti siamo, trattasi dell’uomo. Dispiace che qualcuno si consideri scimmia nuda o poco altro. Deve essere la insalubre conseguenza del troppo rimirarsi l’ombelico; un delirio d’onnipotenza ribaltato. Umani siamo, donne e uomini, non è mai troppo né troppo poco.

DEL MONDO - Glorifichi la vita

Mai avrei immaginato di ritrovarmi, a 54 anni, in così bella piazza a festeggiare le donne, la vita, a festeggiare l’8 marzo. Una data che mi sovrasta e un po’ mi imbarazza. So di mille osservazioni possibili, dall’astioso allo strafottente, tutte valide. A mio favore ho solo un motivo: sostenere con la mia presenza, la mia parola, il mio canto: la campagna per la moratoria: “Aborto? No, grazie!” così come è stata pensata e costruita da Giuliano Ferrara e il Foglio. Dalla petizione alla lista. Con tutti i dubbi, le perplessità, il giorno dell’angoscia e i molti della felicità; a ognuno i suoi. Come vi ho detto, mia volontà era di non assumermi alcuna responsabilità pubblica, non farmi arruolare in nessun caso, memore anche di troppe cause sbagliate e insofferente verso i media e la smania di apparire che ci sovrasta, ma sono le persone che si incontrano a fare la differenza. E succede. Sono le persone, nella loro corposità, nel loro comportarsi, nel loro esserci che mi fanno cambiare nei miei buoni proponimenti di montanaro scontroso e scantonante.

Era già successo lo scorso anno ed erano stati gli occhi di due donne, una anziana e una giovane, la loro luminosità velata da una tristezza che durava da troppo tempo a farmi decidere, di colpo, di organizzare un 25 aprile, la festa della liberazione dal nazifascismo, perché vivesse, non fosse cancellata la memoria di un fratello e uno zio prima calunniati poi uccisi poi rigettati da una retorica faziosa e falsa. L’abbiamo chiamato: un 25 aprile solitario, in onore di Giorgio Morelli, nome di battaglia Il Solitario, in onore del comandante Azor, dei partigiani cattolici di Reggio Emilia. Un 25 aprile sui monti che li avevano visti prima ribelli, poi vittoriosi, poi assassinati, poi defraudati del loro valore, della loro storia. Una messa a suffragio, un pranzo ipercalorico all’aperto, un piccolo concerto, la recita del S. Rosario. Due-trecento persone per un 25 aprile solitario. Troppo pochi? I partigiani erano meno. Sono le persone, solo le persone, a essere importanti, sempre. In una comunione tra i morti, i viventi, i non ancora nati. I numeri non sono che l’infinita variazione dell’uno. E’ successo di nuovo oggi, 8 marzo 2008, ne sono felice. Ci voleva Giuliano Ferrara. Non che manchino persone meravigliose, a me sconosciute, che dedicano il proprio tempo, la propria vita, i propri scritti, all’onore nascosto e mistificato dell’aborto. E’ che le idee, la speranza e i fatti che ne conseguono viaggiano con le persone che ne sono sostegno e incarnazione. E poi serve un contesto che permetta di fiorire e crescere. Serve la terra, l’acqua, il sole. Serve la giusta dose di concime e al fondo ci vuole buon umore. Quel buon umore che unito alla conoscenza e all’intelligenza permette di far fronte tanto alle tragedie dell’umanità che alle interviste televisive. Quel buon umore che, unito all’amore per l’uomo, è il solo che può incrinare e combattere il sublime convincimento che non c’è problema, oppure c’è ma non bisogna parlarne, oppure bisogna parlarne ma non in campagna elettorale e comunque deve essere chiaro che è tutta una mossa del cardinal Ruini, delle forze oscure e clericali, il ritorno ai tempi bui, lo spettro della Reazione. E’ il buon umore, e un po’ di strafottenza, che può intaccare la pressante invocazione all’Italia perché diventi al fine un paese normale. Normale? Normale a chi? Detto da chi fa culto di ogni trasgressione. Sarebbe normale essere accusati d’oscurantismo antiscientifico perché si fa presente che la tecnica odierna permette di fotografare i bimbi nel ventre materno? Ed è evidente all’occhio e al cuore che trattasi di bimbi, personcine. Sono bimbi, sono figli, nipoti. Sono innocenti, deboli, indifesi. Sarebbe normale accusare di visione reazionaria chi si ribella a un determinismo genetico che fa dei non ancora nati oggetto di ogni sperimentazione, di ogni abuso, ne fa oggetti di selezione e commercializzazione? Si tratta del mistero della vita, la vita in atto, in un ciclo umano che va dal concepimento alla morte naturale. Per ciò che mi riguarda la morte non è che un passaggio ad altro: il giudizio, l’inferno o il paradiso, ma questa è fede e la fede è un dono non un’imposizione e tantomeno un motivo d’orgoglio che sottintenda una superiorità morale. Anche la vita è un dono, ma è carne, è palpabile, dimostrata. Si può fotografare, raccontare con dovizia di particolari, si può cantare nelle canzoni e farci dei bei film. Ci sono mille obiezioni possibili alla presentazione di questa lista ma sono di natura politica, corrente e ordinaria, non valgono. E’ la politica a essere in funzione della vita, non viceversa. Se non c’è rispetto per la vita la politica è solo accaparramento e distribuzione del potere. Legittimo ma un po’ poco, troppo poco.

Per quanto riguarda la conta dei numeri il rischio è alto ma io faccio riferimento alla risposta del patriarca ortodosso: “Mi dicono coloro che si interessano di numeri…”, un incipit che rende onore a tale interesse ma non ne fa ragione per la propria esistenza. Che qualcuno, anche pochi, pongano oggi a base della politica nella sua totalità, la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale è indispensabile. E’ giusto, è bello e mette di buon umore. Comunque è una semina e non sempre chi semina raccoglie ma se nessuno semina chi raccoglierà? Benvenuta sorella lista.

LA VITA E’ UNA GRAN COSA - TE DEUM

di Ferretti Giovanni Lindo

07 marzo 2008

Aborti diminuiti? Attenti alle falsità

Dossier del Mpv sull’aborto per i candidati alle politiche
di Carlo Casini

Nella campagna elettorale già iniziata si discuterà inevitabilmente anche di aborto.
Anzi, a mio giudizio, proprio il diverso giudizio sulla legge 194/1978 dovrebbe essere un criterio di orientamento nel voto, per evitare che le forze decisamente contrarie al riconoscimento del diritto alla vita, riescano ad ingannare gli elettori con riferimenti vaghi alla tutela della vita (Quale? Da che momento? Come? Perché?).
È possibile che i candidati siano chiamati a parlare dell’aborto e della legge sull’aborto. Purtroppo la pressione «abortista» di molti mezzi di comunicazione di massa e la distrazione personale hanno prodotto la accettazione di talune falsità e comunque una grande ignoranza.
Per questo il Movimento per la vita ha in corso di pubblicazione un dossier da mettere a disposizione di tutti i candidati.
Esso farà parte del numero di marzo di Sì alla vita.
Un punto che merita particolare attenzione riguardo l’argomento che la legge 194 avrebbe ridotto il numero degli aborti.
È proprio vero?
È vero che la cifra annuale degli aborti registrati è andata crescendo dal 1978 al 1982-83 fino a superare le 230.000 unità, mentre da tempo si è stabilizzata su 130-140.000. Ma questa diminuzione, purtroppo, può essere apparente e comunque dovuta a cause socio­demografiche estranee alla legge.
A chi pensa che l’aborto sia un male perché sopprime una vita umana, interessa il numero complessivo degli aborti, non soltanto di quelli registrati. Ora, a parte quelli clandestini di tipo, diciamo tradizionale, a quelli legali vanno aggiunti quelli di tipo nuovo, tanto clandestini da essere inconoscibili, causati dalle varie «pillole del giorno dopo», che trent’anni fa non esistevano. Il
Corriere della Sera ha dato la notizia che ogni anno vengono vendute circa 350.000 confezioni di «pillole del giorno dopo».
L’aborto non è avvenuto se non vi era stato concepimento. Ma come non pensare che in molte decine di migliaia di casi vi è stata la eliminazione dell’embrione impedendogli di raggiungere la mucosa uterina? Inoltre, bisogna considerare che per effetto del crollo delle nascite le donne in età feconda nel 1982-1983 erano molto più numerose di quelle capaci di generare negli anni 2000. Va poi considerato il marcato innalzamento dell’età matrimoniale. L’aborto italiano è prevalentemente di tipo familiare.
È pensabile che una consuetudine di vita garantita dal patto matrimoniale porti ad una maggior frequenza di rapporti sessuali e ad una minore determinazione nell’evitare i concepimenti non voluti. Se le cose stanno così, è comprensibile che il mutamento sociologico possa avere contribuito alla diminuzione delle Ivg (interruzioni volontarie di gravidanza). Insomma, è dubbio il calo complessivo della eliminazione dei concepiti prima della nascita. Tuttavia è sperabile e chi vuol difendere la vita non può non auspicarlo.
Ma, posto che la diminuzione sia reale, sorge una seconda più decisiva domanda: per quale ragione tale riduzione sarebbe stata prodotta dalla L. 194? Quale sarebbe stato il meccanismo?
Certamente non quello dell’intervento consultoriale, che avviene in una minoranza di casi e che tutti riconoscono non essere stato affatto applicato nella direzione della difesa della vita, ma semmai per consolidare la scelta abortiva. In effetti gli «abortisti» sostengono che la riduzione sarebbe stata prodotta dalla contraccezione. Domanda: ma mettendo da parte le riserve della Chiesa e senza prendere in considerazione la natura eventualmente abortiva di taluni mezzi farmacologici e meccanici (spirale), classificati tra i contraccettivi, posto che effettivamente l’uso più diffuso dei contraccettivi abbia compresso gli aborti, cosa ne avrebbe impedito di farne propaganda senza la legge 194? Anzi, vi sarebbe stata una ragione in più per ricorrere al loro uso, di fronte alla impossibilità di ricorrere all’aborto per porre «rimedio» ad una gravidanza non voluta! La verità è che se una diminuzione vi è stata, la causa non è la contraccezione ma qualcosa di diverso. La riprova viene dalla Francia, dall’Inghilterra e dal confronto tra le varie regioni di Italia. Francia e Regno Unito hanno una popolazione più o meno uguale a quella italiana e leggi - almeno in Francia - simili a quella italiana. Certamente in questi paesi la contraccezione è più diffusa che in Italia. In particolare la «pillola del giorno dopo» e la Ru486 proprio in Francia hanno trovato la più estesa diffusione. Eppure proprio nel paese transalpino e in Gran Bretagna gli aborti, che qualche decennio fa erano un numero minore che da noi, sono andati progressivamente aumentando fino a raggiungere cifre che superano le 200.000 unità all’anno. Come spiegare questo fenomeno? Evidentemente la contraccezione non comprime le interruzioni volontarie della gravidanza. Alla stessa conclusione si giunge confrontando il numero degli aborti nelle varie regioni d’Italia.
Nessuno può sostenere che Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lombardia facciano un uso della contraccezione minore che in Sicilia, Calabria, Altro Adige o Veneto. Eppure le Ivg sono più numerose nelle aree dove la contraccezione è più diffusa.
Dunque la sperabile riduzione degli aborti va spiegata non con la legge 194 né con la contraccezione. Vi deve essere un fattore diverso. Perché non pensare che al lavoro del Movimento per la vita e dei Cav (nel 2008 sarà raggiunta probabilmente la cifra di 100.000 bambini aiutati a nascere) e molto di più a una maggiore disponibilità diffusa nel tessuto sociale ad ascoltare l’incessante messaggio della Chiesa e dei grandi pontefici, da Giovanni Paolo II - il Papa della Vita! - a Benedetto XVI. La difesa della vita nascente, passa prioritariamente attraverso la mente ed il cuore della gente e forse, nonostante la crescente secolarizzazione e scristianizzazione, in Italia resta, più che altrove, la disponibilità ad ascoltare il messaggio cristiano.
Dunque se vera riduzione vi è stata, il merito non è della legge.
Per ridurre il fumo delle sigarette ne viene proibito l’uso nei locali pubblici e nei mezzi di trasporto.
Se vi fosse scritto «si può fumare» o, addirittura «offriamo gratuitamente le sigarette» non credo che si fumerebbe di meno. È strana l’idea che dicendo «si può abortire» e talora «è tuo diritto fondamentale abortire, se vuoi» si possa automaticamente disincentivare il ricorso alla Ivg.
Si può concludere che se vera riduzione vi è stata, ciò non è avvenuto a causa della legge. Ma nonostante la legge, soprattutto per merito della cultura che si oppone alla legge.

05 marzo 2008

Si tratta di guerra al Cristianesimo. Ce ne siamo accorti?

(da Agenzia Fides - 25/02/2008)

La presa di posizione dell’Ordine italiano dei Medici del 23 febbraio scorso, che chiede di ammettere “finalmente” la pratica dell’aborto chimico (orribile).

Roma (Agenzia Fides) - Dopo l’assunzione di 200 mg di mifepristone (la vera e propria Ru486, che uccide l’embrione in pancia) e, due giorni dopo, con 800 mcg di misoprostol, il farmaco che induce le contrazioni e causa l’espulsione dell’embrione, una ragazza americana si sente male. Brividi, dolori addominali, nausea, vomito e vertigini. Si pensa ai soliti effetti collaterali, ma si aggrava. Si reca in clinica e le prescrivono dei farmaci. Torna a casa. Passa ancora un giorno, sta molto male e viene ricoverata al pronto soccorso. Si aggiungono pressione alta e tachicardia. Accertamenti. Di nuovo antibiotici e intervento chirurgico esplorativo. Le trovano due litri di e mezzo di liquido peritoneale torbido e nessuna evidenza di gravidanza extrauterina. La ricoverano in terapia intensiva. Dopo sedici ore la ragazza muore. L’autopsia conferma la presenza nel tessuto uterino di Clostridium Sordellii, l’agente batterico responsabile della morte. E’ uno dei sedici casi registrati nel mondo di morte per assunzione di RU486. Di questa morte ha dato notizia, nel novembre 2007, la rivista specializzata Obstetrics & Gynecology, dell’American College of Obstetricians and Gynecologists.
Le morti non bastano, 16 quelle accertate - soprattutto quando ci sono fortissimi interessi economici che premono per la distribuzione di questo farmaco - per impedire che la RU486 sia diventata il più formidabile mezzo di controllo delle nascite, assieme alle pratiche nefaste di sterilizzazione delle donne (sono stimate in 160 milioni le donne sterilizzate nel mondo).
In questo contesto va letta la presa di posizione dell’Ordine italiano dei Medici del 23 febbraio scorso, che chiede di ammettere “finalmente” la pratica dell’aborto chimico, attraverso l’uso della RU486 e di non opporre “surrettizie limitazioni” all’uso della pillola del giorno dopo, definita contraccettivo d’emergenza, disponibile nei supermercati americani, venduta in Francia, Spagna, Svizzera, Regno Unito, Sudafrica, Albania, Algeria, Belgio, Canada (Québec), Cile, Danimarca, Finlandia, Grecia, Israele, Messico, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo e Svezia, senza prescrizione medica, promossa da molti Governi dell’America Latina come metodo contraccettivo.
L’Ordine dei Medici italiano non sottolinea che esiste un parere del Comitato nazionale per la bioetica, in base al quale è un diritto del medico scegliere di non prescrivere la pillola del giorno dopo e quindi affermare la sua obiezione di coscienza (in Italia è obbligatoria la prescrizione medica); sostiene la modernità della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, definendola “la migliore legge possibile anche sotto il profilo morale”; si esprime favorevolmente rispetto alla diagnosi pre-impianto, che secondo il laicissimo presidente del Comitato Consultivo di Bioetica francese, si sta trasformando in una pratica eugenetica, strumento per eliminare i bambini malati, imperfetti.
Se si consultasse il Codice Deontologico che i medici italiani si sono dati, all’art.3 si leggerebbe “Dovere del medico è la tutela della vita (…)”. A volte, si sa, può capitare che le norme vengano fatte proprio per non essere rispettate; così come può capitare, come avviene, ad esempio in Italia, che ambiziosi e illustri clinici professino con ardore il loro favore nei confronti dell’eutanasia o che profetizzino per l’umanità un futuro bisessuale; che le organizzazioni internazionali sovvertano nei loro documenti, da decenni, l’ordine naturale del mondo, non parlando più di maschio e femmina, ma di genere, che annulla l’identità.
Tutto questo, non avviene a caso. C’è una citazione nell’ultima Enciclica di Benedetto XVI. Riguarda Immanuel Kant: "Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose". L’abbandono del cristianesimo e la guerra ai suoi principi, primo fra tutti il diritto alla vita e alla dignità della persona umana, potrebbero portare secondo Kant - evocato da Benedetto XVI - ad una fine non naturale, “perversa” dell’umanità, una specie di autodistruzione, in senso morale e in senso materiale. Il relativismo di cui è pervasa la società occidentale ha questa forza, che inquina la vita privata e quella pubblica. (D.Q.)

04 marzo 2008

Lo sterminio rosa in India

I demografi hanno analizzato gli aborti in uno dei più grandi distretti indiani, Salem. Il risultato è questo: “Il sessanta per cento delle bambine viene abortito o ucciso entro il terzo giorno dalla nascita”. Ne ha parlato il quotidiano americano Christian Science Monitor, fra i più quotati nel racconto delle “missing girls” del Nobel Amartya Sen, denunciate pochi giorni fa dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. “La violenza contro le donne è una questione che non può attendere” ha detto Ban Ki-moon alla Commissione sullo status della donna. “Attraverso la pratica della selezione sessuale prenatale, un numero imprecisato non ha neppure diritto alla vita”.
La tecnologia neonatale in India è talmente finalizzata all’identificazione sessuale e all’aborto che la dottoressa Puneet Bedi, ginecologa dell’Apollo Hospitals di Nuova Delhi, ha spiegato che “nessuna donna incinta ne soffrirebbe se il test degli ultrasuoni venisse bandito. Oggi è usato per salvare un bambino su 20 mila e per ucciderne 20 su 100 se sono del sesso sbagliato”. “Paga 500 rupie oggi per risparmiarne 50 mila in futuro” è uno degli slogan più diffusi nello stato di Salem, dove il 60 per cento delle bambine è sistematicamente eliminato. Cinquecento rupie, nove euro, è il costo di un’ecografia oggi in India. The Hindu, grande quotidiano in lingua inglese, ha spiegato che si può acquistare on line un kit (formalmente illegale) che consente di determinare il sesso a casa propria dopo sei settimane con la semplice analisi di poche gocce di sangue.
Il governo ha avviato il programma “Girl Protection”, con il quale alla nascita di una bambina si apre un conto a suo nome dove vengono immediatamente depositati 20 mila rupie. “Ogni tipo di carestia, epidemia e guerra è niente in confronto a questo” ha detto la dottoressa Bedi. “In alcune parti dell’India, una bambina su cinque viene eliminata nella fase fetale. E’ una situazione da genocidio”. Quando nel Punjab venne introdotta la prima macchina per il test, nel 1979, c’erano 925 femmine ogni 1.000 maschi. Nel 1991 erano scese a 875 e nel 2001 a 793. La situazione va ogni giorno peggiorando. Times of India ha scritto più volte che “la Cina elimina ogni anno un milione di bambine, ma il trend attuale vede l’India in testa”. Renuka Chowdhury, ministro per lo Sviluppo delle donne e del bambino, si batte da anni contro l’aborto selettivo. “E’ una questione internazionale di vergogna, la maggior parte delle bambine viene uccisa prima della nascita, non dopo” dice il professor Sabu George, che studia il fenomeno da vent’anni al Center for Women’s Development Studies di New Delhi.

di Giulio Meotti (Il Foglio - 4/3/2008)