11 novembre 2007

La Moschiesa

Perplessità per la decisione di fare di una parrocchia anche una moschea

Dalla terra veneta un nuovo dolore per i cattolici semplici: la Moschiesa di Paderno. Don Aldo Danieli, di concerto col Centro islamico di Treviso, ha trasformato la parrocchia in un ircocervo: per sei giorni chiesa, per un giorno moschea, a disposizione dei musulmani della zona. Quindi a Paderno il venerdì non sarà più il giorno della Passione di Cristo ma quello della preghiera in direzione della Mecca. Non conosciamo il teologo di riferimento di don Aldo ma siccome Paderno è frazione di Ponzano e Ponzano è il comune della Benetton avanziamo l’ipotesi che la prima ispirazione derivi da Oliviero Toscani, l’autore della indimenticata campagna pubblicitaria “United Colors”. Stavolta però l’indifferentismo non è applicato alle cromie cutanee bensì a qualcosa di più intimo e fondante: alle credenze religiose. “Preferisco i musulmani che pregano ai cristiani che bestemmiano” ha detto don Aldo ai parrocchiani esterrefatti. Passando in un balzo dalla linea Toscani alla linea Amato, il ministro secondo il quale è preferibile il velo alle veline. Purtroppo tutto questo non è cristiano, non è cattolico, non è evangelico. Gesù dopo la Resurrezione si presenta agli apostoli e usando il modo imperativo dice: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato”. In quell’estremo frangente, pochi istanti prima dell’Ascensione, il Figlio di Dio non spreca le sue ultime parole terrene per spingere sul tasto della morale (a prendersela coi bestemmiatori e con le ballerine basta qualunque fariseo) ma su quello della verità. Andate, predicate, battezzate. A questo sono tenuti gli apostoli e a questo sono tenuti ovviamente i preti. Pertanto don Aldo deve certamente aprire la chiesa di Paderno ai musulmani, ma non per lasciarli nell’oscurità bensì per illuminarli circa la divinità di Cristo. Senza questa persuasione non è possibile il battesimo, che prevede la formula trinitaria “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Il prete che non fornisce gli strumenti della salvezza ai suoi fratelli è colpevole di mancanza di carità nei loro confronti. Può fallire, certo, e anche questo è previsto da Gesù nel Vangelo (Luca 10), quando esorta i discepoli ad allontanarsi dai refrattari con un gesto sublime, scuotendo la polvere dai propri calzari. Ma ci deve provare.
(Il Foglio 10/11/2007)

Le Crociate, crogiolo d'Europa?

di Franco Cardini

Le crociate non sono mai state "guerre di religione", non hanno mai mirato alla conversione forzata o alla soppressione degli infedeli. Eccessi e violenze compiuti nel corso delle spedizioni - che ci sono stati e non vanno dimenticati - debbono tuttavia esser valutati nel quadro della normale ancorché dolorosa fenomenologia degli eventi militari e sempre tenendo presente che alcuna ragione teologica li ha giustificati. La crociata corrisponde a un movimento di pellegrinaggio armato lentamente affermatosi e sviluppatosi nel tempo - fra XI e XVIII secolo - che dev'essere inteso inserendolo nel contesto del lungo incontro fra la Cristianità e Islam, che ha prodotto positivi risultati culturali ed economici (come si giustifica altrimenti la notizia di frequenti amicizie e addirittura alleanze militari tra cristiani e musulmani nella storia delle crociate?).

L'"ideologia" della crociata si è affermata e costruita lentamente, a partire dal diritto canonico del Duecento, per consolidarsi solo in età moderna alla luce delle lotte tra Europa cristiana e turchi ottomani. La polemica illuminista contro le crociate nel nome della tolleranza religiosa - ha fatto sì che le crociatesiano state considerate, a torto, antenate delle guerre di religione e delle guerre ideologiche.
Un contributo alla chiarificazione è giunto adesso dal libro di L'invenzione delle crociate (ed. Einaudi) di Cristopher Tyerman, medievista dello Hertford College di Oxford. Egli non dimostra certo che le crociate non sono ami esistite: si limita a far capire come, nel corso del primo secolo di quello che noi oggi usiamo definire "movimento crociato", esso non vi fu; né vi fu niente di quella che noi siamo soliti definire "idea di crociata". La spedizione - in parte pellegrinaggio, in parte campagna militare - conclusasi nel 1099 con la conquista di Gerusalemme da parte di alcune migliaia di cavalieri, di armati e di pellegrini provenienti dall'Europa occidentale, condusse certo alla formazione di una monarchia feudale nel territorio silopalestinese - il "regno franco di Gerusalemme" - e fu salutata fin dal suo nascere da un talora disorientato entusiasmo, ma non fondò alcuna consuetudine.
Non c'era la crociata. C'erano e cruce signati, coloro che avevano partecipato alla spedizione, si erano impegnati a farlo con una promessa solenne e per questo recavano ben in vista sulle loro vesti il simbolo dfella croce secondo una tradizione ch'era già tipica del pellegrinaggio. Ma la parola "crociata" non esisteva, e si sarebbe dovuto aspettare le fine del medioevo perché divenisse d'uso comune. La cosiddetta "seconda crociata" si mosse dall'Europa solo circa mezzo secolo dopo la prima: la distanza d'una vita umana media, all'epoca. Nessuna tradizione "crociata" si stabilì quindi, né allora, né più tardi. Solo nel corso del Duecento il papato assunse la gestione del movimento, che aveva ancora nomi incerti: iter, peregrinatio, expeditio, più tardi passagium,poi ancora negotium crucis e crux cismarina ("croce pellegrina" l'avrebbe chiamata un poeta italomeridionale del tempo di Federico II, Rinaldo d'Aquino).
Fu per successivi passaggi, per ulteriori "successive approssimazioni", che si arrivò a un diritto della crociata, a una sua dusciplina canonistica e fiscale, a un suo allargarsi anche degli obiettivi: dalla conquista (o riconquista)dei Luoghi Santi a spedizione militare contro i nemici musulmani, poi contro i "pagani" in genere, quindi contro i cristiani eretici, infine contro i nemici politici della Santa Sede. Per un paradosso abbastanza impressionante, la crociata assunse forma giuridica e "massmediale" definitiva solo quando ormai le speranze di riconquistare Gerusalemme erano ormai state abbandonate, e si espresse soprattutto - fra XV e XVIII secolo - contro i turchi ottomani. In tal modo si può dire che apologeti e propagandisti prima, storici poi, concorsero in un arco di tempo durato più di mezzo millennio alla costruzione di una "ideologia" che venne chiarita e articolata addirittura attraverso una nutrita trattatistica, ma che rispetto agli eventi del 1095-1099 che per noi stanno a fondamento della crociata ha tutti i caratteri della manipolazione e della "eterogenesi dei fini".
Il tyerman mostra come nell'Europa tardo medievale e protomoderna si costruisse una talora confusa, sempre comunque duttile e dinamica "cultura della crociata", che dal diritto passò alla letteratura, alla musica, alle arti, alla propaganda popolare, al sentire comune, alimentandosi di gesti, di riti, di tradizioni: sino alle polemiche illuministiche e al revival romantico che consacrò la crociata al mondo dei presupposti delle avventure colonialistiche, con tutto il loro bagaglio culturale che sarebbe andato a costruire l'esotismo; e a più recenti e più scopertamente strumentali revivals politici, come quelli durante le due guerre mondiali o la guerra civile di Spagna del 1936-39. Ma la parola "crociata", che avrebbe riempito di sé i secoli successivi, non venne poi neppure pronunziata in quel lungo periodo che da Goffredo di Buglione giunge fino a San Luigi, e che noi continuiamo a immaginare "l'età della crociata" per eccellenza.
Proprio questo è ciò che c'interessa di più in questa sede. Che rapporto c'è fra l'idea di crociata, il movimento crociato e la costruzione dell'identità europea? é stato scritto che le spedizioni crociate furono la prima guerra comune degli europei contro un nemico esterno. In un certo senso, è vero. Ed è anche vero che la crociata presiedette in qualche maniera anche al nascere e all'articolarsi del sentimento nazionale, primo vagito dell'Europa come "arcipelago di nazioni" consce delle loro reciproche distinzioni eppur ben consapevoli dell'unità culturale che le teneva insieme, la fede cristiana e l'eredità romana. Una fonte cronistica peraltro un po' dubbia sostiene che alla partenza per la cosiddetta "terza crociata", alla fine del XII secolo, i guerrieri-pellegrini si servirono come contrassegno di croci di differente colore: rossa i francesi, bianca gli inglesi, verde i fiamminghi. Più tardi, fra XV e XVI secolo, le "leghe sante" presiedute di solito dal papa unirono gli stati europei nel comune sforzo contro i turchi. Da questo punto di vista, il "congresso di mantova" del 1460, voluto da Pio II, fu uno degli atti di nascita dell'Europa moderna. Una realtà, questa da non intendersi in senso totalizzante: le crociate non "fecero l'Europa", che fra l'altro affonda le sue radici in due scismi, quello "d'Oriente" dell'XI secolo e la Riforma del XVI. Ma l'Europa, va caratterizzata da e per quel che unisce gli europei, o per quello che, se non proprio li divide, quanto meno li distingue?
Anche questo è argomento di riflessione necessaria.

Chi è questi che viene da Edom?

«Chi è questi che viene da Edom?

Egli da solo ha pigiato l'uva nel torchio.

Vi giunse uno che parlò della vergogna di Gerusalemme
e dei luoghi sacri profanati;
Pietro l'Eremita, che flagellava con le parole,
e fra chi lo ascoltò alcuni erano buoni,
molti erano malvagi,
e molti non erano niente.
Come tutti gli uomini in qualsiasi luogo.

Alcuni partirono per amore di gloria,
altri perché erano infaticabili e curiosi,
alcuni rapaci e lussuriosi;
molti lasciarono il loro corpo agli avvoltoi della Siria,
o furono dispersi in mare lungo il viaggio;
molti lasciarono l'anima in Siria,
continuando a vivere immersi nel peccato;
molti tornarono indietro a pezzi,
ammalati, costretti all'elemosina,
trovando, giunti alla loro porta,
che uno straniero aveva preso possesso delle loro cose;
giunsero a casa screpolati dal sole dell'Est
e dai sette peccati capitali della Siria...

E a dispetto di tutto il disonore,
degli stendardi spezzati, delle vite spezzate,
della fede spezzata in un luogo o in un altro,
c'era qualcosa che essi lasciarono,
ed era più che i racconti
di vecchi nelle sere d'inverno.
Solo la fede poté aver fatto quanto in ciò vi era di bene:
l'integra fede di pochi,
la fede parziale di molti.
Non avarizia, lascivia, tradimento,
invidia, accidia, gola, gelosia, superbia:
non queste cose fecero le crociate,
ma furono queste cose che le disfecero.

Ricordate la fede che trasse gli uomini dai loro focolari
al richiamo di un predicatore errante.
La nostra è un'età di virtù moderata,
e di vizio moderato,
in cui gli uomini non deporrannno la croce
perché mai l'hanno presa.
Eppure nulla è impossibile: nulla
agli uomini di fede vera.
Rendiamo quindi perfetta la nostra volontà.
O Dio aiutaci.»

Thomas S. Eliot
(dal VII Coro de "La Rocca")

09 novembre 2007

SPERPERO DELLA NOSTRA IDENTITA'

CHINA FATALE. NESSUNO CI CHIEDE DI ABBRACCIARLA

di CARLO CARDIA (l'Avvenire 9/11/2007)

Dagli Stati Uniti viene la proposta di togliere dalla datazione l’acronimo d.C. (perché il riferimento a Cristo offenderebbe chi è ­musulmano, o di altra religione) e sostituirlo con e.c. (era comune). In Gran Bretagna una scuola avrebbe indotto gli alunni e le loro famiglie a praticare per un giorno costumi musulmani: uso del chador per le ragazze, separazione tra ragazze e ragazzi, tra uomini e donne siano genitori o insegnanti. Però, alunni, docenti e genitori, erano per il 90 per cento di religione cristiana.
Questi gli ultimi segni di una china fatale che l’Occidente sta vivendo in tema di multiculturalità.
I precedenti più prossimi sono noti. In Italia, un alto tribunale ha perdonato due genitori per le percosse inflitte alla figliola Fatima perché la tradizione da cui provengono le giustificherebbe. In Germania, un giudice ha diminuito drasticamente la pena a chi aveva commesso violenza carnale perché la sua tradizione sarda legittimerebbe in qualche modo la prevaricazione sulla donna. A differenza che in passato, né a Roma né a Berlino si è trovato un giudice vero, cioè equo e umano.
Io credo si debba riflettere su un elemento importante. Siamo di fronte ad una china fatale che nessuno ci chiede di percorrere, a una condanna che ci infliggiamo da soli, come presi da una bramosia di anonimato che oscura tante cose, persi in un orizzonte di autopunizione nel quale ci rinchiudiamo. La nostra storia, le grandi svolte spirituali che ci hanno fatti come siamo, che hanno cambiato il mondo e il genere umano, tutto ciò può essere nascosto, messo nell’angolo, per ignavia o per paure inesistenti.
In questo modo, facciamo tutto il contrario di ciò che la multiculturalità potrebbe essere, cioè molteplicità e ricchezza, incontro di identità e confronto di valori. Il messaggio di Gesù è ­grande e decisivo per i cristiani, ma è ­rispettato, ascoltato in tutto il mondo, come abbiamo potuto vedere negli incontri che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno avuto e hanno con i leader religiosi del pianeta. A loro volta, i cristiani rispettano i valori e le esperienze spirituali di altre religioni come un patrimonio che può portar frutti e benefici.
Dall’incontro tra le religioni può iniziare un cammino di cui non conosciamo le tappe e gli esiti, ma che interessa l’umanità intera. Ma nascondere, svilire, la storia e il ruolo di una religione o dell’altra, incontrarsi facendo finta che non abbiamo radici, tutto ciò non porta al dialogo interreligioso, porta a dialoghi finti, pone i presupposti di nuovi conflitti.
Concepire il dialogo chiedendo a ragazze non musulmane di indossare il chador ­avvilente, toglie autenticità al rapporto interpersonale, impedisce una vera conoscenza reciproca. Così come legittimare pratiche violente con le tradizioni culturali vuol dire tornare indietro di secoli, fare del diritto uno strumento di legittimazione del più forte, anziché di affinamento del costume sociale. La multiculturalità è ­stravolta, finisce con l’offendere quei principi religiosi che gli uomini avvertono e sentono nella propria coscienza.
Di fronte a tanti fatti preoccupanti, a scelte distorte che trasformano le nostre società in terreni di battaglia,­ necessaria una presa di coscienza da parte di tutti. Nell’incontro leale, che si realizza con la propria autenticità religiosa, si constata quante cose abbiamo in comune e si percorre una strada che stempera gli errori del passato.
Ma un incontro mimetizzato­ è inficiato dall’ipocrisia, dal nascondimento. Celando i segni del cammino spirituale dell’umanità ci si adagia ad una visione piatta della persona, della sua storia, delle sue idealità, si aggiunge un piccolo tassello a una concezione nichilista che mortifica e umilia. A questa concezione si può rispondere con un atto di fiducia nell’essere umano, e nella sua capacità di vivere con gli altri nel rispetto delle rispettive religioni e identità culturali.

08 novembre 2007